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    Cardiomiopatia acromegalica: nuove acquisizioni dall'imaging umano e dal modello murino

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    L’acromegalia è una rara sindrome clinica caratterizzata da un’eccessiva secrezione dell’ormone della crescita (GH) derivante, nella quasi totalità dei casi, dalla presenza di un adenoma ipofisario GH secernente [Melmed S, NEJM 2006]. Oltre alle peculiari stigmate somatiche, l’eccesso sierico del GH e della sua molecola effettrice, l’IGF-I, si accompagna ad un coinvolgimento multi sistemico responsabile del maggior tasso di mortalità che si riscontra in questa classe di pazienti [Dekkers OM, JCEM 2008]. Le indagini epidemiologiche hanno posto in rilievo come l’aumento nella mortalità sia da imputare soprattutto alla frequente compromissione del sistema cardiovascolare (38-62%) [Melmed S, NEJM 2006; Holdaway IM et al., JCEM 2004; Ayuk J et al., JCEM 2004]. Numerosi studi hanno permesso di riconoscere la specificità della compromissione miocardica nel paziente acromegalico portando alla nascita del concetto di cardiomiopatia acromegalica [Lopez-Velasco R, et al., JCEM 1997; Clayton RN Endocr Rev 2003; Colao A et al., Endocr Rev 2004]. Questa si caratterizza dal punto di vista morfologico per un’ipertrofia concentrica bi-ventricolare e, dal punto di vista funzionale, per una compromissione del riempimento diastolico isolato o associato ad un deficit sistolico evidenziabile, almeno nelle fasi iniziali della malattia, unicamente sotto sforzo. Le alterazioni funzionali ora descritte spesso hanno un carattere progressivo che può condurre fino a quadri conclamati di insufficienza cardiaca congestizia (3-10% dei pazienti acromegalici) [Bihan H, et al., JCEM 2004]. Le cause che sottendono a queste alterazioni funzionali sono poco conosciute. Negli studi condotti in passato sono stati proposti diversi meccanismi fisiopatologici: (a) induzione GH mediata di ipertrofia dei cardiomiociti o di deposizione di fibre collagene con conseguente riduzione della distensibilità ventricolare [Courville C, et al, Arch Intern Med 1938; Hejtmancik MR, et al., Ann Intern Med 1950; Goldberg MB, et al., J Clin Endocrinol 1942, Lie JT, et al., Am Heart J. 1980]; (b) promozione da parte del GH dei fenomeni di apoptosi cardiomiocitaria [Frustaci A, et al., Circulation 1999]. Le ipotesi sopraelencate sono però in contrasto con i dati emersi da studi più recenti, che hanno dimostrato un ruolo del GH nell’inibire la fibrosi cardiaca TNF-α mediata nel modello animale [Imanishi, Mol Cell Endocrinol 2004], e un’azione anti-apoptotica del GH su linee cellulari cardiomiocitarie e non cardiomiocitarie [Costoya JA, et al., Endocrinology 1999, Gu Y, et al., Mol Cell Biochem 2001, Segard HB, et al., Cell Signal 2003, Baixeras E, et al., Endocrinol 2001, Jeay S et al., Endocrinol 2001]. Dagli studi clinici è inoltre emerso che un efficace controllo clinico e biochimico della malattia conduce alla regressione di gran parte delle alterazioni tipiche della cardiomiopatia acromegalica soprattutto nel paziente giovane e con breve durata della malattia[Chanson P, et al., Ann Intern Med 1990; Merola B, et al., JCEM 1993, Minniti G, et al., Clin Endocrinol 2001; Maison P, et al., JCEM 2007]. Scopo di questo lavoro di tesi è quello di: (1) valutare, attraverso metodiche ecocardiografiche e di risonanza magnetica cardiaca (CMR), la prevalenza di ipertrofia ventricolare (sinistra) e l’eventuale presenza di processi evidenti di fibrosi cardiaca nel paziente acromegalico di nuova diagnosi; (2) definire il ruolo del GH nella modulazione dell’apoptosi cardiomiocitaria attraverso esperimenti su linee cellulari di cardiomioblasti e sul modello murino bGH-MT di acromegalia. (1) Risultati dall’imaging umano Lo studio è stato effettuato su 14 soggetti con malattia acromegalica di nuova diagnosi. La valutazione morfologica effettuata attraverso ecocardiografia mono e bi dimensionale ha evidenziato la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra (LVMi medio 110±24 g/m2) in 5 soggetti in esame (36%); dal punto di vista funzionale è stata riscontrata un’alterazione della funzione diastolica (riduzione di IVRT e/o aumento del rapporto E/A) in 4 pazienti (29%) con conservata funzione sistolica (LVEF% 72±12%) in tutti i pazienti. L’analisi integrated backscatter (IBS), utilizzata per la valutazione qualitativa della composizione tissutale del miocardio, ha rilevato la presenza di anomalie nella riflettività miocardica in 6 pazienti (medio 57.46.2%). La valutazione con risonanza magnetica cardiaca, metodica significativamente più sensibile, ha dimostrato la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra in 10 pazienti (72%); non è stata riscontrata alcuna alterazione morfologica a carico del ventricolo destro. Inoltre, l’analisi del delayed contrast enhancement dopo somministrazione di gadolinio non ha mostrato la presenza di aree fibrotiche nel contesto dello spessore miocardico dei soggetti in studio. L’ecocardiografia rimane al momento la metodica di prima istanza nella valutazione morfo-funzionale della cardiomiopatia acromegalica nonostante sia meno sensibile della CMR nell’identificare l’alterazione cardiaca più caratteristica della malattia acromegalica. Inoltre, la mancata individuazione di aree di fibrosi all’indagine CMR mette in discussione il ruolo della fibrosi cardiaca nella patogenesi della disfunzione diastolica osservata nella cardiomiopatia acromegalica. Va tuttavia sottolineato come le alterazioni all’ecografica backscatter riconosciute nel gruppo in studio rappresentano un indice di aumentata disomogeneità tissutale riconducibile, nella maggior parte dei casi, ad un modesto aumento nel contenuto di fibre collagene interstiziali tale da non esser individuato con la CMR, o, in alternativa, ad un aumento delle dimensioni dei cardiomiociti [Di Bello V, et al. Circulation 2004] o ad un’espansione della matrice extracellulare [Hall CS, et al., J Acoust Soc Am. 2000]. (2) Risultati dallo studio sperimentale del modello murino Lo studio è stato effettuato su tre gruppi di animali ciascuno dei quali è stato valutato all’età di 3 e di 9 mesi: 1) topi wild type (Wt); 2) topi acromegalici bGH-MT (Acro); 3) topi bGH-MT trattati con Pegvisomant (AcroPeg). Per ciascun gruppo e per le due età in studio sono stati sacrificati 5 animali. Su campioni tissutali provenienti dal ventricolo sinistro è stato valutato il tasso di apoptosi (mediante metodica TUNEL e con il saggio dell’ANNESSINA V) e l’espressione proteica attraverso metodica Western blot. I dati preliminari su colture cellulari di cardiomioblasti (H9c2) sono coerenti con l’ipotesi emersa in letteratura di un’azione antiapoptotico del GH: (a) nelle colture esposte al GH (5 nM) è stato difatti riscontrata una riduzione nel numero di cellule apoptotiche, mentre nelle colture esposte a GH e pegvisomant (antagonista recettoriale del GH) non si è assistito a questo effetto. Inoltre, saggi effettuati dopo incubazione delle colture cellulari con specifici inibitori di vie coinvolte nella trasduzione del segnale (SB202190, PD098059 e Ly294002) suggeriscono un ruolo della via della p38MAPK (SB) e della p44/42MAPK (PD) nella modulazione GH mediata del fenomeno apoptotico. La via del PI3K (Ly) non sembra esser direttamente coinvolta in questo processo. Nel gruppo Acro di tre mesi è stata riscontrata una riduzione nel tasso di apoptosi rispetto a quanto riscontrato nel topo wild type (P<0.0001). Questa sembra essere dovuta ad un’azione diretta del GH come dimostrato dal ripristino nei topi AcroPeg di un tasso di apoptosi paragonabile a quello osservato nel gruppo dei Wt (P<0.0001 vs. Acro). Il Western blotting delle principali molecole coinvolte nella via apoptotica intrinseca conferma questo dato evidenziando la riduzione dei livelli citosolici di citocromo C (P<0.002), Bad, Bax, Apaf-1, Caspasi 9 e Caspasi 3 (P<0.0001 per tutti queste vs. Wt) e di un aumento dei livelli mitocondriali del citocromo C e dell’espressione di Bcl-XL e Bcl-2 (P<0.0001 vs. Wt). Inoltre, la determinazione dell’espressione di molecole chiave nelle vie di trasduzione del segnale valutate in vitro, ha confermato (i) il mancato coinvolgimento della via della PI3K (di cui sono state valutate le subunita p110 alpha e gamma e l’espressione della proteina Akt, P=ns vs Wt) nella trasduzione del segnale antiapoptotico del GH e (ii) il coinvolgimento delle vie della p38MAPK (p38) e della p44/42MAPK (ERK1/2, MEK 1/2, p90RSK). Tuttavia nel modello murino queste vie sembrano esercitare un ruolo antitetico rispetto a quello evidenziato in vitro. Infatti, l’espressione di p38, ERK 1/2 e p90RSK appare ridotta nel topo Acro (P<0.0001 vs. Wt) suggerendo che l’effetto antiapoptotico del GH nel topo bGH-MT sia dovuto ad un’inattivazione di queste vie piuttosto che ad una loro attivazione. La somministrazione di pegvisomant modifica in modo sostanziale l’espressione proteica nei topi di 3 mesi portando ad un quadro sovrapponibile tra il gruppo dei topi AcroPeg e quello dei topi Wt. L’azione dell’antagonista recettoriale del GH è evidenziabile sia per l’espressione delle proteine coinvolte nella cascata apoptotica sia per quelle delle tre vie di trasduzione in studio. Nei topi acromegalici più anziani (9 mesi) è stato riscontrato un aumento del tasso di apoptosi rispetto al gruppo Wt (P<0.0001). Questo non sembra tuttavia essere direttamente GH mediato, come suggerito dalla mancata riduzione del tasso di apoptosi nel gruppo dei topi AcroPeg rispetto al gruppo dei topi bGH-MT non esposti al pegvisomant. L’analisi dell’espressione proteica conferma l’attivazione della cascata finale comune dell’apoptosi rivelata dell’aumento nell’espressione di Apaf-1 e delle caspasi 9 e 3 (P<0.0001 vs. Wt). Il quadro che emerge dalla valutazione delle proteine della famiglia delle Bcl-2 non evidenzia una chiara modulazione positiva dell’apoptosi con aumento dell’espressione di Bad, Bcl-2, Bcl-XL e con una riduzione dell’espressione di Bax (P<0.0001). L’espressione di tutte queste proteine non sembra esser influenzata in maniera statisticamente significativa dalla somministrazione del pegvisomant. La valutazione dell’espressione delle proteine coinvolte nelle vie di trasduzione del segnale sembrano evidenziare una perdita della sensibilità al GH della via della p38MAPK e della p44/42MAPK nel topo anziano mentre la via di trasduzione del segnale della PI3K si è dimostrata essere, almeno in parte, regolata dal GH (p110gamma). Per verificare ulteriormente l’efficacia dell’azione antiapoptotica del GH abbiamo esposto un gruppo di topi bGH-MT e uno di topi Wt dell’età di 3 mesi a dosi progressivamente crescenti di adriamicina (0.05, 0,5 e 2 mg/kg). La valutazione del tasso di apoptosi in questi gruppi ha confermato la capacità del GH nel ridurre i fenomeni di apoptosi nei topi bGH-MT sottoposti a basse (riduzione del 50%) o moderate (riduzione del 35%) concentrazioni di adriamicina (P<0.005 vs gruppo Wt). Tuttavia, se sottoposti ad alte dosi dell’agente cardiotossico, l’azione protettiva del GH sembra venir meno come testimoniato dall’assenza di differenze statisticamente significative tra i due gruppi sottoposti all’antraciclina. I dati emersi da questo studio suggeriscono che il GH possa esercitare, almeno nel modello murino, un’azione antiapoptotica sui cardiomiociti; questa si esplica attraverso un aumento delle concentrazioni cellulari di proteine coinvolte nella modulazione negativa dell’apoptosi ed una parallela riduzione di quelle ad azione proapoptotica. Questo dato è coerente con quanto emerso (i) dagli studi preliminari sulle colture cellulari, (ii) dall’analisi del miocardio del topo giovane e (iii) dalla riduzione della cardiotossicità da adriamicina nei topi esposti ad elevate concentrazioni di GH. Più controverso è il dato emerso nel topo anziano dove l’aumento del tasso di apoptosi non appare direttamente correlato ad un’azione del GH. Questa affermazione è suffragata sia dalla valutazione all’immunofluorescenza sia da quella Western Blot. Inoltre, il quadro non univoco emerso dalla valutazione delle proteine ad azione modulatoria può rappresentare un indizio della contemporanea presenza di stimoli pro o antiapoptotici a carico dei cardiomiociti del topo esposto per un lungo periodo ad elevate concentrazioni di GH. La natura degli stimoli in grado di attivare il processo apoptotico a livello cardiaco è varia e l’emergere di uno o più di questi processi (alcuni dei quali, come la deformazione meccanica ed il sovraccarico emodinamico possono esser osservati nel cuore acromegalico) potrebbe rendere conto dell’aumento nel tasso di apoptosi osservato nel topo anziano bGH-MT. E’ da sottolineare tuttavia come anche una reazione adattativa e fisiologica, quale è la risposta iniziale miocardica al GH, possa condurre, qualora lo stimolo permanga per un intervallo di tempo non fisiologico, all’insorgenza di quadri di rimodellamento miocardico mal adattativo e quindi ad una progressiva perdita di cardiomiociti non più direttamente correlata allo stimolo iniziale e, pertanto, non più sensibile alla correzione dello squilibrio iniziale [Selvetella G, et al., Cardiovasc Res 2004]. (3) Conclusioni Il primo concetto che emerge da questo lavoro di tesi è che l’utilizzo di metodiche di imaging caratterizzate da elevata sensibilità permette di riconoscere una maggiore prevalenza delle alterazioni cardiache tipiche della malattia acromegalica rispetto a quanto evidenziato con il tradizionale esame ecocardiografico. Questo dato suggerisce chiaramente l’importanza dell’imaging cardiaco nell’attuale inquadramento clinico - patologico del paziente acromegalico. Difatti, le alterazioni morfo-funzionali evidenziabili da queste metodiche possono rappresentare un indice periferico di attività di malattia in grado di indirizzare il medico nella scelta del più corretto iter terapeutico. Questa affermazione è corretta soprattutto in virtù degli studi clinici sull’efficacia della terapia, soprattutto nel paziente giovane e con un’acromegalia di breve durata, nel condurre ad una regressione delle anomalie caratteristiche della cardiomiopatia acromegalica. Inoltre, a supporto dell’ipotesi della reversibilità delle alterazioni miocardiche del paziente acromegalico possono esser portati i risultati acquisiti dalla valutazione del delayed contrast enhancement in CMR. Infatti, il mancato riconoscimento di aree evidenti di fibrosi miocardica nel contesto dello spessore miocardico pone in dubbio il ruolo della deposizione di fibre collagene, e quindi di un processo di rimodellamento ritenuto irreversibile, nella genesi delle alterazioni diastoliche tipiche del paziente acromegalico. Anche gli studi effettuati in vitro e sul modello sperimentale supportano il concetto dell’importanza di un precoce riconoscimento e di un’efficace terapia della cardiomiopatia acromegalica. Infatti, sebbene i risultati della nostra indagine escludano un diretto ruolo del GH nella stimolazione dell’apoptosi cardiomiocitaria, il dato che emerge dai gruppi Acro e AcroPeg anziani indica comunque che la stimolazione prolungata da parte del GH si può accompagnare all’insorgenza di fenomeni di sofferenza tissutale e di rimodellamento mal adattativo secondari attivati da meccanismi secondari ma non direttamente correlabili con l’azione del GH a livello miocardico. I dati emersi dallo studio delle vie di trasduzione del segnale non possono esser considerati conclusivi. In particolar modo deve esser chiarito il reale ruolo delle vie di p38MAPK e di p44/42MAPK nella modulazione GH dipendente dell’apoptosi. Tuttavia, i dati ottenuti dal nostro studio forniscono uno schema molecolare, seppur generico, delle vie cellulari di trasduzione del segnale attivate dal GH a livello miocardio. Infine, la dimostrazione del coinvolgimento delle vie di p38MAPK, p44/42MAPK e PI3K nella trasduzione del segnale del GH a livello cardiaco apre interessanti prospettive di ricerca sul ruolo del GH e di queste vie nel controllo della proliferazione cellulare e dell’ipertrofia cardiomiocitaria

    Mutational and large deletion study of genes implicated in hereditary forms of primary hyperparathyroidism and correlation with clinical features

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    The aim of this study was to carry out genetic screening of the MEN1, CDKN1B and AIP genes, both by direct sequencing of the coding region and multiplex ligation-dependent probe amplification (MLPA) assay in the largest monocentric series of Italian patients with Multiple Endocrine Neoplasia type 1 syndrome (MEN1) and Familial Isolated Hyperparathyroidism (FIHP). The study also aimed to describe and compare the clinical features of MEN1 mutation-negative and mutation-positive patients during long-term follow-up and to correlate the specific types and locations of MEN1 gene mutations with onset and aggressiveness of the main MEN1 manifestations. A total of 69 index cases followed at the Endocrinology Unit in Pisa over a period of 19 years, including 54 MEN1 and 15 FIHP kindreds were enrolled. Seven index cases with MEN1 but MEN1 mutation-negative, followed at the University Hospital of Cagliari, were also investigated. FIHP were also tested for CDC73 and CaSR gene alterations. MEN1 germline mutations were identified in 90% of the index cases of familial MEN1 (F-MEN1) and in 23% of sporadic cases (S-MEN1). MEN1 and CDC73 mutations accounted for 13% and 7% of the FIHP cohort, respectively. A CDKN1B mutation was identified in one F-MEN1. Two AIP variants of unknown significance were detected in two MEN1-negative S-MEN1. A MEN1 positive test best predicted the onset of all three major MEN1-related manifestations or parathyroid and gastro-entero-pancreatic tumors during follow-up. A comparison between the clinical characteristics of F and S-MEN1 showed a higher prevalence of a single parathyroid disease and pituitary tumors in sporadic compared to familial MEN1 patients. No significant correlation was found between the type and location of MEN1 mutations and the clinical phenotype. Since all MEN1 mutation-positive sporadic patients had a phenotype resembling that of familial MEN1 (multiglandular parathyroid hyperplasia, a prevalence of gastro-entero-pancreatic tumors and/or the classic triad) we might hypothesize that a subset of the sporadic MEN1 mutation-negative patients could represent an incidental coexistence of sporadic primary hyperparathyroidism and pituitary tumors or a MEN1 phenocopy, in our cohort, as in most cases described in the literature

    Growth Hormone Is Necessary for the p53-Mediated, Obesity-Induced Insulin Resistance in Male C57BL/6J × CBA Mice

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    Insulin resistance is a key marker of both obesity and GH excess. The purpose of the study was to assess the role of GH on p53-mediated insulin resistance of male mice with obesity due to a high-fat diet. C57BL/6J CBA male mice fed on a high-fat diet (Obe) were studied; male mice fed a normal diet (Lean) or transgenic mice for bovine GH under the same genetic background (Acro) served as controls. The convergence of p53 and GH pathways was evaluated by Western blot. Obe mice had insulin resistance, which was sustained by a selective increased expression of p53 in adipose tissue. Normal insulin sensitivity was restored, and adipose p53 expression normalized when the GH pathway was blocked. Only the adipose p53 expression was sensitive to the GH blockage, which occurred through the p38 pathway. Adipose tissue of Obe mice had a coordinate overexpres- sion of suppressors of cytokine signal 1–3 and signal transducers and activators of transcrip- tion-1, -3, and -5b, not different from that of Acro mice, suggesting an increased sensitivity of adipose tissue to GH. On the contrary, Lean mice were unaffected by changes of GH action. GH seems to be necessary for the increased adipose p53 expression and for insulin resistance of obese mice

    Evaluación de la calidad sensorial del músculo semitendinosus cocido sous vide de vacas alimentadas a distintas dietas y tratadas con taninos.

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    El objetivo de este trabajo fue evaluar el efecto de la suplementación con taninos en diferentes dietas bases sobre los atributos sensoriales del músculo Semitendinosus, de vacas de refugo, procesado mediante tecnología de cocción sous vide y conservado durante 21 días a 2 ± 0,5 °C. Se analizaron un total de 48 muestras del músculo Semitendinosus, provenientes de vacas de refugo de raza Hereford. Se realizaron dos ensayos: 24 animales fueron alimentados a campo natural y los 24 restantes fueron alimentados a silo sorgo. En cada uno, los animales se asignaron aleatoriamente a dos tratamientos: T1, dieta base con suplementación energética/proteica con agregado de taninos de quebracho colorado (Schinopsis balansae) y T2, dieta base con suplementación energética/proteica sin agregado de taninos. Luego que los animales alcanzaron una condición corporal igual o mayor a 6 puntos y un espesor de grasa dorsal igual o mayor a 6 mm, se faenaron y se obtuvieron las muestras de carne del músculo Semitendinosus las cuales se envasaron al vacío y se almacenaron a -18°C hasta su procesamiento. Los músculos se sometieron al proceso de cocción-pasteurización sous vide en autoclave con cesto estático. La cocción se finalizó cuando se alcanzó los 70 °C - 2 min en el centro geométrico del músculo. Posteriormente, los mismos se conservaron a 2 ± 0,5 °C durante 21 días y a intervalos de 7 días se tomaron piezas y se almacenaron a - 18°C para su posterior análisis sensorial. El ensayo sensorial se realizó mediante un panel de 8 jueces entrenados utilizando una escala no estructurada de 10 cm para evaluar los atributos flavor, flavores extraños, olor, olores extraños, terneza inicial y sostenida, jugosidad y cantidad de tejido conectivo. Los resultados se analizaron estadísticamente mediante ANOVA. En los casos en lo que se hallaron diferencias significativas se aplicó el test de comparación de medias de Duncan. En el ensayo a campo natural los resultados obtenidos mostraron que la suplementación y el tiempo de almacenamiento no provocaron diferencias significativas (p>0,05) en ninguno de los atributos evaluados. En el ensayo a feedlot los resultados indican que la terneza es afectada por los distintos tratamientos (exceptuando las muestras del tiempo 14). En ambos ensayos no se encontraron diferencias en el resto de los atributos evaluados y la aparición de sabores y olores extraños puede enmascarar alguna variación en los atributos evaluados. Acorde a los resultados obtenidos se puede concluir que la adición de taninos no provocó cambios apreciables en los atributos sensoriales de las muestras estudiadas a campo natural no así en el ensayo a base de granos que se encontraron algunas influencias anteriormente mencionadas. ABSTRACT The aim of this study was to evaluate the effect of feeding system and of supplementation of tannins on the sensory attributes in the Semitendinosus muscle of cull cow processed by sous vide cooking technology and preserved for 21 days at 2 ± 0.5 °C. A total of 48 samples of semitendinosus muscle, from Hereford breed cows, were analyzed. Twenty four animals were fed to herbage diet and the remaining 24 came from animals fed concentrate. They were randomly assigned to two treatments, T1: base diet with energy / protein supplementation without addition of tannin and T2: base diet with energy / protein supplementation with addition of tannins from quebracho (Schinopsis balansae). The meat samples obtained from semitendinosus muscle were subjected to the process of cooking-pasteurization sous vide in an autoclave with a static basket. The cooking was completed when it reached 70 °C - 2 min in the geometric center of the muscle. Subsequently, they were kept at 2 ± 0.5 ° C for 21 days and at intervals of 7 days’ pieces were taken and stored at -18 °C for their subsequent sensory analysis. The evaluation sensory it was done through 8 trained judges. and it was used an unstructured scale of 10 cm to evaluate the flavor attributes, strange flavors, odor, strange smells, initial and sustained tenderness, juiciness and amount of connective tissue. The results were analyzed statistically by ANOVA. In the cases in which significant differences were found, Duncan's means comparison test was applied. In the herbage diet test, the results obtained showed that supplementation and storage time did not cause significant differences (p> 0.05) in any of the evaluated attributes. In the test to concentrate the results showed that the tenderness is affected by the different treatments. However, in both trials, no differences were found in the rest of the attributes evaluated and the appearance of foreign tastes and smells may mask some variation in the evaluated attributes.The aim of this study was to evaluate the effect of feeding system and of supplementation of tannins on the sensory attributes in the Semitendinosus muscle of cull cow processed by sous vide cooking technology and preserved for 21 days at 2 ± 0.5 °C. A total of 48 samples of semitendinosus muscle, from Hereford breed cows, were analyzed. Twenty four animals were fed to herbage diet and the remaining 24 came from animals fed concentrate. They were randomly assigned to two treatments, T1: base diet with energy / protein supplementation without addition of tannin and T2: base diet with energy / protein supplementation with addition of tannins from quebracho (Schinopsis balansae). The meat samples obtained from semitendinosus muscle were subjected to the process of cooking-pasteurization sous vide in an autoclave with a static basket. The cooking was completed when it reached 70 °C - 2 min in the geometric center of the muscle. Subsequently, they were kept at 2 ± 0.5 ° C for 21 days and at intervals of 7 days’ pieces were taken and stored at -18 °C for their subsequent sensory analysis. The evaluation sensory it was done through 8 trained judges. and it was used an unstructured scale of 10 cm to evaluate the flavor attributes, strange flavors, odor, strange smells, initial and sustained tenderness, juiciness and amount of connective tissue. The results were analyzed statistically by ANOVA. In the cases in which significant differences were found, Duncan's means comparison test was applied. In the herbage diet test, the results obtained showed that supplementation and storage time did not cause significant differences (p> 0.05) in any of the evaluated attributes. In the test to concentrate the results showed that the tenderness is affected by the different treatments. However, in both trials, no differences were found in the rest of the attributes evaluated and the appearance of foreign tastes and smells may mask some variation in the evaluated attributes.Fil: Urbani, Valeria Maria. Instituto Nacional de Tecnología Agropecuaria (INTA). Estación Experimental Agropecuaria Concepción del Uruguay. Entre Ríos; ArgentinaFil: Biolatto, Andrea. Instituto Nacional de Tecnología Agropecuaria (INTA). Estación Experimental Agropecuaria Concepción del Uruguay. Entre Ríos; Argentina.Fil: Carduza, Fernando Jose. Instituto Nacional de Tecnología Agropecuaria (INTA). Instituto de Tecnología de Alimentos; Argentina.Fil: Maitia, Carolina Soledad. Instituto Nacional de Tecnología Agropecuaria (INTA). Instituto de Tecnología de Alimentos; Argentina.Fil: Sanow, Luis Claudio. Instituto Nacional de Tecnología Agropecuaria (INTA). Instituto de Tecnología de Alimentos; Argentina

    Novel N-(Heterocyclylphenyl)benzensulfonamide Sharing an Unreported Binding Site with T-Cell Factor 4 at the β-Catenin Armadillo Repeats Domain as an Anticancer Agent

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    Despite intensive efforts, no inhibitors of the Wnt/beta-catenin signaling pathway have been approved so far for the clinical treatment of cancer. We synthesized novel N-(heterocyclylphenyl)benzenesulfonamides as beta-catenin inhibitors. Compounds 5-10 showed strong inhibition of the luciferase activity. Compounds 5 and 6 inhibited the MDA-MB-231, HCC1806, and HCC1937 TNBC cells. Compound 9 induced in vitro cell death in SW480 and HCT116 cells and in vivo tumorigenicity of a human colorectal cancer line HCT116. In a co-immunoprecipitation study in HCT116 cells transfected with Myc-tagged T-cell factor 4 (Tcf-4), compound 9 abrogated the association between beta-catenin and Tcf-4. The crystallographic analysis of the beta-catenin Armadillo repeats domain revealed that compound 9 and Tcf-4 share a common binding site within the hotspot binding region close to Lys508. To our knowledge, compound 9 is the first small molecule ligand of this region to be reported. These results highlight the potential of this novel class of beta-catenin inhibitors as anticancer agents

    Comparison of the effects of primary somatostatin analogue therapy and pituitary adenomectomy on survival in patients with acromegaly: a retrospective cohort study

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    Objective: Acromegalic patients have an increased risk of mortality. The objective of this study was to compare the effect of different therapies for acromegaly on mortality. Design and methods: The mortality rate of 438 consecutive acromegalic patients was compared with that of the general population using the standardized mortality ratio (SMR); the effect of different therapies on survival was evaluated using Cox regression analysis. Results: Twenty patients (4.5%) died between 1999 and 2009. Age- and sex-adjusted SMR was 0.70 (95% CI 0.43–1.08). The Cox regression analysis revealed that, in the whole population, both general risk factors (age and physical status) and specific factors for acromegaly (macroadenoma, hypopituitarism and uncontrolled disease) were associated with death. The most compromised patients at diagnosis had a higher mortality rate (PZ0.001), which also occurred in patients with controlled acromegaly. Death occurred in 2.4% (adenomectomy), 2.6% (adenomectomy followed by somatostatin analogue (SSA) therapy) and 11.4% (SSA therapy as the primary therapy) of the patients. The risk of death was higher in patients receiving SSA therapy as the primary therapy (hazard ratio (HR) 5.52, 95% CI 1.06–28.77, PZ0.043) than in all patients submitted to adenomectomy; however, a higher risk of death occurred only in diabetic patients treated with SSAs alone (HR 21.94, 95% CI 1.56–309.04, PZ0.022). Radiotherapy was associated with an increased risk of mortality, which occurred in patients with the more locally advanced disease. Conclusions: Therapies for acromegaly and comorbidities have lowered the risk of mortality to the level of the general population; the effect of SSA therapy alone or that following pituitary adenomectomy was comparable to that of curative neurosurgery on survival in non-diabetic patients; on the contrary, SSA therapy as the primary therapy may be less effective than adenomectomy in reducing mortality rate in diabetic patients

    Basic and Preclinical Research for Personalized Medicine

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    Basic and preclinical research founded the progress of personalized medicine by providing a prodigious amount of integrated profiling data and by enabling the development of biomedical applications to be implemented in patient-centered care and cures. If the rapid development of genomics research boosted the birth of personalized medicine, further development in omics technologies has more recently improved our understanding of the functional genome and its relevance in profiling patients\u2019 phenotypes and disorders. Concurrently, the rapid biotechnological advancement in diverse research areas enabled uncovering disease mechanisms and prompted the design of innovative biological treatments tailored to individual patient genotypes and phenotypes. Research in stem cells enabled clarifying their role in tissue degeneration and disease pathogenesis while providing novel tools toward the development of personalized regenerative medicine strategies. Meanwhile, the evolving field of integrated omics technologies ensured translating structural genomics information into actionable knowledge to trace detailed patients\u2019 molecular signatures. Finally, neuroscience research provided invaluable models to identify preclinical stages of brain diseases. This review aims at discussing relevant milestones in the scientific progress of basic and preclinical research areas that have considerably contributed to the personalized medicine revolution by bridging the bench-to-bed gap, focusing on stem cells, omics technologies, and neuroscience fields as paradigms

    L’anziano attivo. Proposte e riflessioni per la terza e la quarta età

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    Il problema della senilità si pone ormai in Italia, come in tutte le società avanzate, in termini assai diversi dal passato. I saggi compresi nel presente volume intervengono su tutti gli aspetti della senilità - da quelli psicologici, sanitari e affettivi a quelli assistenziali, economici e giuridici - per suggerire indicazioni operative e possibili soluzioni.- Indice #4- Prefazione, Marcello Pacini #10- Introduzione, Giuliano Urbani #12- Prima parte Per una nuova concezione della condizione anziana #20- L’età del tempo libero, Norberto Bobbio #22- L’anziano protagonista in una società che cambia, Gian Maria Capuani e Giannino Piana #26- La piccola immortalità, Nando dalla Chiesa #36- L’anziano come risorsa sociale: il volontariato dopo la pensione, Fausto Melloni #44- Seconda Parte Aspetti sociali della condizione anziana #62- Psicogerontologia: attualità e nuove prospettive, Maria Antonietta Aveni Casucci #64- L’invecchiamento della popolazione italiana in un contesto internazionale, Antonio Golini e Agostino Lori #82- L’anziano e l’innovazione tecnologica, Francesco Jovane e Roberto Groppetti #114- La tutela giuridica dell’anziano, Luigi Mengoni #128- La salute dell’anziano: valutazione dei meccanismi di plasticità, Renzo Rozzini, Angelo Bianchetti e Marco Trabucchi #140- Lavoratori anziani: ambivalenza e interventi, Harris T. Schrank e Joan M. Waring #156- Il medico e l’anziano, Carlo Vergani #176- La normalità incerta, Virginio Oddone e Fabrizio Fabris #188- Il quadro organizzativo per una corretta assistenza socio-sanitaria alla popolazione anziana, Gaetano Maria Fara #200- Terza Parte Le tendenze della riflessione #216- La condizione degli anziani in Italia, Claudio Calvaruso #218- Anziani attivi: un possibile esempio di nuova centralità del sociale, Vincenzo Cesareo #228- Appendice Un contributo di ricerca #246- Figli adulti e genitori anziani: una nuova relazione tra le generazioni, Giovanna Rossi #24

    How future surgery will benefit from SARS-COV-2-related measures: a SPIGC survey conveying the perspective of Italian surgeons

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    COVID-19 negatively affected surgical activity, but the potential benefits resulting from adopted measures remain unclear. The aim of this study was to evaluate the change in surgical activity and potential benefit from COVID-19 measures in perspective of Italian surgeons on behalf of SPIGC. A nationwide online survey on surgical practice before, during, and after COVID-19 pandemic was conducted in March-April 2022 (NCT:05323851). Effects of COVID-19 hospital-related measures on surgical patients' management and personal professional development across surgical specialties were explored. Data on demographics, pre-operative/peri-operative/post-operative management, and professional development were collected. Outcomes were matched with the corresponding volume. Four hundred and seventy-three respondents were included in final analysis across 14 surgical specialties. Since SARS-CoV-2 pandemic, application of telematic consultations (4.1% vs. 21.6%; p &lt; 0.0001) and diagnostic evaluations (16.4% vs. 42.2%; p &lt; 0.0001) increased. Elective surgical activities significantly reduced and surgeons opted more frequently for conservative management with a possible indication for elective (26.3% vs. 35.7%; p &lt; 0.0001) or urgent (20.4% vs. 38.5%; p &lt; 0.0001) surgery. All new COVID-related measures are perceived to be maintained in the future. Surgeons' personal education online increased from 12.6% (pre-COVID) to 86.6% (post-COVID; p &lt; 0.0001). Online educational activities are considered a beneficial effect from COVID pandemic (56.4%). COVID-19 had a great impact on surgical specialties, with significant reduction of operation volume. However, some forced changes turned out to be benefits. Isolation measures pushed the use of telemedicine and telemetric devices for outpatient practice and favored communication for educational purposes and surgeon-patient/family communication. From the Italian surgeons' perspective, COVID-related measures will continue to influence future surgical clinical practice

    Mortality and pulmonary complications in patients undergoing surgery with perioperative SARS-CoV-2 infection: an international cohort study

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    Background: The impact of severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 (SARS-CoV-2) on postoperative recovery needs to be understood to inform clinical decision making during and after the COVID-19 pandemic. This study reports 30-day mortality and pulmonary complication rates in patients with perioperative SARS-CoV-2 infection. Methods: This international, multicentre, cohort study at 235 hospitals in 24 countries included all patients undergoing surgery who had SARS-CoV-2 infection confirmed within 7 days before or 30 days after surgery. The primary outcome measure was 30-day postoperative mortality and was assessed in all enrolled patients. The main secondary outcome measure was pulmonary complications, defined as pneumonia, acute respiratory distress syndrome, or unexpected postoperative ventilation. Findings: This analysis includes 1128 patients who had surgery between Jan 1 and March 31, 2020, of whom 835 (74·0%) had emergency surgery and 280 (24·8%) had elective surgery. SARS-CoV-2 infection was confirmed preoperatively in 294 (26·1%) patients. 30-day mortality was 23·8% (268 of 1128). Pulmonary complications occurred in 577 (51·2%) of 1128 patients; 30-day mortality in these patients was 38·0% (219 of 577), accounting for 81·7% (219 of 268) of all deaths. In adjusted analyses, 30-day mortality was associated with male sex (odds ratio 1·75 [95% CI 1·28–2·40], p\textless0·0001), age 70 years or older versus younger than 70 years (2·30 [1·65–3·22], p\textless0·0001), American Society of Anesthesiologists grades 3–5 versus grades 1–2 (2·35 [1·57–3·53], p\textless0·0001), malignant versus benign or obstetric diagnosis (1·55 [1·01–2·39], p=0·046), emergency versus elective surgery (1·67 [1·06–2·63], p=0·026), and major versus minor surgery (1·52 [1·01–2·31], p=0·047). Interpretation: Postoperative pulmonary complications occur in half of patients with perioperative SARS-CoV-2 infection and are associated with high mortality. Thresholds for surgery during the COVID-19 pandemic should be higher than during normal practice, particularly in men aged 70 years and older. Consideration should be given for postponing non-urgent procedures and promoting non-operative treatment to delay or avoid the need for surgery. Funding: National Institute for Health Research (NIHR), Association of Coloproctology of Great Britain and Ireland, Bowel and Cancer Research, Bowel Disease Research Foundation, Association of Upper Gastrointestinal Surgeons, British Association of Surgical Oncology, British Gynaecological Cancer Society, European Society of Coloproctology, NIHR Academy, Sarcoma UK, Vascular Society for Great Britain and Ireland, and Yorkshire Cancer Research
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