L’acromegalia è una rara sindrome clinica caratterizzata da un’eccessiva secrezione dell’ormone della crescita (GH) derivante, nella quasi totalità dei casi, dalla presenza di un adenoma ipofisario GH secernente [Melmed S, NEJM 2006].
Oltre alle peculiari stigmate somatiche, l’eccesso sierico del GH e della sua molecola effettrice, l’IGF-I, si accompagna ad un coinvolgimento multi sistemico responsabile del maggior tasso di mortalità che si riscontra in questa classe di pazienti [Dekkers OM, JCEM 2008].
Le indagini epidemiologiche hanno posto in rilievo come l’aumento nella mortalità sia da imputare soprattutto alla frequente compromissione del sistema cardiovascolare (38-62%) [Melmed S, NEJM 2006; Holdaway IM et al., JCEM 2004; Ayuk J et al., JCEM 2004].
Numerosi studi hanno permesso di riconoscere la specificità della compromissione miocardica nel paziente acromegalico portando alla nascita del concetto di cardiomiopatia acromegalica [Lopez-Velasco R, et al., JCEM 1997; Clayton RN Endocr Rev 2003; Colao A et al., Endocr Rev 2004]. Questa si caratterizza dal punto di vista morfologico per un’ipertrofia concentrica bi-ventricolare e, dal punto di vista funzionale, per una compromissione del riempimento diastolico isolato o associato ad un deficit sistolico evidenziabile, almeno nelle fasi iniziali della malattia, unicamente sotto sforzo. Le alterazioni funzionali ora descritte spesso hanno un carattere progressivo che può condurre fino a quadri conclamati di insufficienza cardiaca congestizia (3-10% dei pazienti acromegalici) [Bihan H, et al., JCEM 2004].
Le cause che sottendono a queste alterazioni funzionali sono poco conosciute. Negli studi condotti in passato sono stati proposti diversi meccanismi fisiopatologici: (a) induzione GH mediata di ipertrofia dei cardiomiociti o di deposizione di fibre collagene con conseguente riduzione della distensibilità ventricolare [Courville C, et al, Arch Intern Med 1938; Hejtmancik MR, et al., Ann Intern Med 1950; Goldberg MB, et al., J Clin Endocrinol 1942, Lie JT, et al., Am Heart J. 1980]; (b) promozione da parte del GH dei fenomeni di apoptosi cardiomiocitaria [Frustaci A, et al., Circulation 1999].
Le ipotesi sopraelencate sono però in contrasto con i dati emersi da studi più recenti, che hanno dimostrato un ruolo del GH nell’inibire la fibrosi cardiaca TNF-α mediata nel modello animale [Imanishi, Mol Cell Endocrinol 2004], e un’azione anti-apoptotica del GH su linee cellulari cardiomiocitarie e non cardiomiocitarie [Costoya JA, et al., Endocrinology 1999, Gu Y, et al., Mol Cell Biochem 2001, Segard HB, et al., Cell Signal 2003, Baixeras E, et al., Endocrinol 2001, Jeay S et al., Endocrinol 2001].
Dagli studi clinici è inoltre emerso che un efficace controllo clinico e biochimico della malattia conduce alla regressione di gran parte delle alterazioni tipiche della cardiomiopatia acromegalica soprattutto nel paziente giovane e con breve durata della malattia[Chanson P, et al., Ann Intern Med 1990; Merola B, et al., JCEM 1993, Minniti G, et al., Clin Endocrinol 2001; Maison P, et al., JCEM 2007].
Scopo di questo lavoro di tesi è quello di: (1) valutare, attraverso metodiche ecocardiografiche e di risonanza magnetica cardiaca (CMR), la prevalenza di ipertrofia ventricolare (sinistra) e l’eventuale presenza di processi evidenti di fibrosi cardiaca nel paziente acromegalico di nuova diagnosi; (2) definire il ruolo del GH nella modulazione dell’apoptosi cardiomiocitaria attraverso esperimenti su linee cellulari di cardiomioblasti e sul modello murino bGH-MT di acromegalia.
(1) Risultati dall’imaging umano
Lo studio è stato effettuato su 14 soggetti con malattia acromegalica di nuova diagnosi.
La valutazione morfologica effettuata attraverso ecocardiografia mono e bi dimensionale ha evidenziato la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra (LVMi medio 110±24 g/m2) in 5 soggetti in esame (36%); dal punto di vista funzionale è stata riscontrata un’alterazione della funzione diastolica (riduzione di IVRT e/o aumento del rapporto E/A) in 4 pazienti (29%) con conservata funzione sistolica (LVEF% 72±12%) in tutti i pazienti.
L’analisi integrated backscatter (IBS), utilizzata per la valutazione qualitativa della composizione tissutale del miocardio, ha rilevato la presenza di anomalie nella riflettività miocardica in 6 pazienti (medio 57.46.2%).
La valutazione con risonanza magnetica cardiaca, metodica significativamente più sensibile, ha dimostrato la presenza di ipertrofia ventricolare sinistra in 10 pazienti (72%); non è stata riscontrata alcuna alterazione morfologica a carico del ventricolo destro. Inoltre, l’analisi del delayed contrast enhancement dopo somministrazione di gadolinio non ha mostrato la presenza di aree fibrotiche nel contesto dello spessore miocardico dei soggetti in studio.
L’ecocardiografia rimane al momento la metodica di prima istanza nella valutazione morfo-funzionale della cardiomiopatia acromegalica nonostante sia meno sensibile della CMR nell’identificare l’alterazione cardiaca più caratteristica della malattia acromegalica. Inoltre, la mancata individuazione di aree di fibrosi all’indagine CMR mette in discussione il ruolo della fibrosi cardiaca nella patogenesi della disfunzione diastolica osservata nella cardiomiopatia acromegalica. Va tuttavia sottolineato come le alterazioni all’ecografica backscatter riconosciute nel gruppo in studio rappresentano un indice di aumentata disomogeneità tissutale riconducibile, nella maggior parte dei casi, ad un modesto aumento nel contenuto di fibre collagene interstiziali tale da non esser individuato con la CMR, o, in alternativa, ad un aumento delle dimensioni dei cardiomiociti [Di Bello V, et al. Circulation 2004] o ad un’espansione della matrice extracellulare [Hall CS, et al., J Acoust Soc Am. 2000].
(2) Risultati dallo studio sperimentale del modello murino
Lo studio è stato effettuato su tre gruppi di animali ciascuno dei quali è stato valutato all’età di 3 e di 9 mesi: 1) topi wild type (Wt); 2) topi acromegalici bGH-MT (Acro); 3) topi bGH-MT trattati con Pegvisomant (AcroPeg).
Per ciascun gruppo e per le due età in studio sono stati sacrificati 5 animali. Su campioni tissutali provenienti dal ventricolo sinistro è stato valutato il tasso di apoptosi (mediante metodica TUNEL e con il saggio dell’ANNESSINA V) e l’espressione proteica attraverso metodica Western blot.
I dati preliminari su colture cellulari di cardiomioblasti (H9c2) sono coerenti con l’ipotesi emersa in letteratura di un’azione antiapoptotico del GH: (a) nelle colture esposte al GH (5 nM) è stato difatti riscontrata una riduzione nel numero di cellule apoptotiche, mentre nelle colture esposte a GH e pegvisomant (antagonista recettoriale del GH) non si è assistito a questo effetto. Inoltre, saggi effettuati dopo incubazione delle colture cellulari con specifici inibitori di vie coinvolte nella trasduzione del segnale (SB202190, PD098059 e Ly294002) suggeriscono un ruolo della via della p38MAPK (SB) e della p44/42MAPK (PD) nella modulazione GH mediata del fenomeno apoptotico. La via del PI3K (Ly) non sembra esser direttamente coinvolta in questo processo.
Nel gruppo Acro di tre mesi è stata riscontrata una riduzione nel tasso di apoptosi rispetto a quanto riscontrato nel topo wild type (P<0.0001). Questa sembra essere dovuta ad un’azione diretta del GH come dimostrato dal ripristino nei topi AcroPeg di un tasso di apoptosi paragonabile a quello osservato nel gruppo dei Wt (P<0.0001 vs. Acro). Il Western blotting delle principali molecole coinvolte nella via apoptotica intrinseca conferma questo dato evidenziando la riduzione dei livelli citosolici di citocromo C (P<0.002), Bad, Bax, Apaf-1, Caspasi 9 e Caspasi 3 (P<0.0001 per tutti queste vs. Wt) e di un aumento dei livelli mitocondriali del citocromo C e dell’espressione di Bcl-XL e Bcl-2 (P<0.0001 vs. Wt). Inoltre, la determinazione dell’espressione di molecole chiave nelle vie di trasduzione del segnale valutate in vitro, ha confermato (i) il mancato coinvolgimento della via della PI3K (di cui sono state valutate le subunita p110 alpha e gamma e l’espressione della proteina Akt, P=ns vs Wt) nella trasduzione del segnale antiapoptotico del GH e (ii) il coinvolgimento delle vie della p38MAPK (p38) e della p44/42MAPK (ERK1/2, MEK 1/2, p90RSK). Tuttavia nel modello murino queste vie sembrano esercitare un ruolo antitetico rispetto a quello evidenziato in vitro. Infatti, l’espressione di p38, ERK 1/2 e p90RSK appare ridotta nel topo Acro (P<0.0001 vs. Wt) suggerendo che l’effetto antiapoptotico del GH nel topo bGH-MT sia dovuto ad un’inattivazione di queste vie piuttosto che ad una loro attivazione. La somministrazione di pegvisomant modifica in modo sostanziale l’espressione proteica nei topi di 3 mesi portando ad un quadro sovrapponibile tra il gruppo dei topi AcroPeg e quello dei topi Wt. L’azione dell’antagonista recettoriale del GH è evidenziabile sia per l’espressione delle proteine coinvolte nella cascata apoptotica sia per quelle delle tre vie di trasduzione in studio.
Nei topi acromegalici più anziani (9 mesi) è stato riscontrato un aumento del tasso di apoptosi rispetto al gruppo Wt (P<0.0001). Questo non sembra tuttavia essere direttamente GH mediato, come suggerito dalla mancata riduzione del tasso di apoptosi nel gruppo dei topi AcroPeg rispetto al gruppo dei topi bGH-MT non esposti al pegvisomant. L’analisi dell’espressione proteica conferma l’attivazione della cascata finale comune dell’apoptosi rivelata dell’aumento nell’espressione di Apaf-1 e delle caspasi 9 e 3 (P<0.0001 vs. Wt). Il quadro che emerge dalla valutazione delle proteine della famiglia delle Bcl-2 non evidenzia una chiara modulazione positiva dell’apoptosi con aumento dell’espressione di Bad, Bcl-2, Bcl-XL e con una riduzione dell’espressione di Bax (P<0.0001). L’espressione di tutte queste proteine non sembra esser influenzata in maniera statisticamente significativa dalla somministrazione del pegvisomant.
La valutazione dell’espressione delle proteine coinvolte nelle vie di trasduzione del segnale sembrano evidenziare una perdita della sensibilità al GH della via della p38MAPK e della p44/42MAPK nel topo anziano mentre la via di trasduzione del segnale della PI3K si è dimostrata essere, almeno in parte, regolata dal GH (p110gamma).
Per verificare ulteriormente l’efficacia dell’azione antiapoptotica del GH abbiamo esposto un gruppo di topi bGH-MT e uno di topi Wt dell’età di 3 mesi a dosi progressivamente crescenti di adriamicina (0.05, 0,5 e 2 mg/kg). La valutazione del tasso di apoptosi in questi gruppi ha confermato la capacità del GH nel ridurre i fenomeni di apoptosi nei topi bGH-MT sottoposti a basse (riduzione del 50%) o moderate (riduzione del 35%) concentrazioni di adriamicina (P<0.005 vs gruppo Wt). Tuttavia, se sottoposti ad alte dosi dell’agente cardiotossico, l’azione protettiva del GH sembra venir meno come testimoniato dall’assenza di differenze statisticamente significative tra i due gruppi sottoposti all’antraciclina.
I dati emersi da questo studio suggeriscono che il GH possa esercitare, almeno nel modello murino, un’azione antiapoptotica sui cardiomiociti; questa si esplica attraverso un aumento delle concentrazioni cellulari di proteine coinvolte nella modulazione negativa dell’apoptosi ed una parallela riduzione di quelle ad azione proapoptotica. Questo dato è coerente con quanto emerso (i) dagli studi preliminari sulle colture cellulari, (ii) dall’analisi del miocardio del topo giovane e (iii) dalla riduzione della cardiotossicità da adriamicina nei topi esposti ad elevate concentrazioni di GH.
Più controverso è il dato emerso nel topo anziano dove l’aumento del tasso di apoptosi non appare direttamente correlato ad un’azione del GH. Questa affermazione è suffragata sia dalla valutazione all’immunofluorescenza sia da quella Western Blot. Inoltre, il quadro non univoco emerso dalla valutazione delle proteine ad azione modulatoria può rappresentare un indizio della contemporanea presenza di stimoli pro o antiapoptotici a carico dei cardiomiociti del topo esposto per un lungo periodo ad elevate concentrazioni di GH.
La natura degli stimoli in grado di attivare il processo apoptotico a livello cardiaco è varia e l’emergere di uno o più di questi processi (alcuni dei quali, come la deformazione meccanica ed il sovraccarico emodinamico possono esser osservati nel cuore acromegalico) potrebbe rendere conto dell’aumento nel tasso di apoptosi osservato nel topo anziano bGH-MT. E’ da sottolineare tuttavia come anche una reazione adattativa e fisiologica, quale è la risposta iniziale miocardica al GH, possa condurre, qualora lo stimolo permanga per un intervallo di tempo non fisiologico, all’insorgenza di quadri di rimodellamento miocardico mal adattativo e quindi ad una progressiva perdita di cardiomiociti non più direttamente correlata allo stimolo iniziale e, pertanto, non più sensibile alla correzione dello squilibrio iniziale [Selvetella G, et al., Cardiovasc Res 2004].
(3) Conclusioni
Il primo concetto che emerge da questo lavoro di tesi è che l’utilizzo di metodiche di imaging caratterizzate da elevata sensibilità permette di riconoscere una maggiore prevalenza delle alterazioni cardiache tipiche della malattia acromegalica rispetto a quanto evidenziato con il tradizionale esame ecocardiografico.
Questo dato suggerisce chiaramente l’importanza dell’imaging cardiaco nell’attuale inquadramento clinico - patologico del paziente acromegalico. Difatti, le alterazioni morfo-funzionali evidenziabili da queste metodiche possono rappresentare un indice periferico di attività di malattia in grado di indirizzare il medico nella scelta del più corretto iter terapeutico.
Questa affermazione è corretta soprattutto in virtù degli studi clinici sull’efficacia della terapia, soprattutto nel paziente giovane e con un’acromegalia di breve durata, nel condurre ad una regressione delle anomalie caratteristiche della cardiomiopatia acromegalica.
Inoltre, a supporto dell’ipotesi della reversibilità delle alterazioni miocardiche del paziente acromegalico possono esser portati i risultati acquisiti dalla valutazione del delayed contrast enhancement in CMR. Infatti, il mancato riconoscimento di aree evidenti di fibrosi miocardica nel contesto dello spessore miocardico pone in dubbio il ruolo della deposizione di fibre collagene, e quindi di un processo di rimodellamento ritenuto irreversibile, nella genesi delle alterazioni diastoliche tipiche del paziente acromegalico.
Anche gli studi effettuati in vitro e sul modello sperimentale supportano il concetto dell’importanza di un precoce riconoscimento e di un’efficace terapia della cardiomiopatia acromegalica. Infatti, sebbene i risultati della nostra indagine escludano un diretto ruolo del GH nella stimolazione dell’apoptosi cardiomiocitaria, il dato che emerge dai gruppi Acro e AcroPeg anziani indica comunque che la stimolazione prolungata da parte del GH si può accompagnare all’insorgenza di fenomeni di sofferenza tissutale e di rimodellamento mal adattativo secondari attivati da meccanismi secondari ma non direttamente correlabili con l’azione del GH a livello miocardico.
I dati emersi dallo studio delle vie di trasduzione del segnale non possono esser considerati conclusivi. In particolar modo deve esser chiarito il reale ruolo delle vie di p38MAPK e di p44/42MAPK nella modulazione GH dipendente dell’apoptosi. Tuttavia, i dati ottenuti dal nostro studio forniscono uno schema molecolare, seppur generico, delle vie cellulari di trasduzione del segnale attivate dal GH a livello miocardio.
Infine, la dimostrazione del coinvolgimento delle vie di p38MAPK, p44/42MAPK e PI3K nella trasduzione del segnale del GH a livello cardiaco apre interessanti prospettive di ricerca sul ruolo del GH e di queste vie nel controllo della proliferazione cellulare e dell’ipertrofia cardiomiocitaria