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La pesca in Alto Adriatico dalla caduta della Serenissima ad oggi : un analisi storica ed ecologica
2008/2009L’ecologia è una disciplina storica: i processi ecologici in corso sono il risultato di quello che è accaduto nel passato. Non conosciamo però quando e con che intensità l’uomo ha iniziato ad alterare l’ambiente marino, e non conosciamo lo stato “naturale” degli ecosistemi. L’ecologia storica ha come obiettivo lo studio degli ecosistemi e delle sue componenti a posteriori, attraverso il recupero e la meta-analisi di documenti del passato. La ricostruzione dello stato passato (historical baseline) degli ecosistemi è essenziale per la definizione di punti di riferimento (reference points) e direzioni di riferimento (reference directions) per valutare i cambiamenti e per stabilire obiettivi di ripristino. Basare gli studi di biomonitoraggio solo su dati recenti può, infatti, indurre la sindrome del “shifting baseline”, ovvero uno spostamento di generazione in generazione del punto di riferimento cui confrontare i cambiamenti, con la conseguenza di sottostimare eventuali processi di degrado in atto. Inoltre, i processi ecologici agiscono su scale temporali diverse (da anni a decenni), e per capirne le dinamiche è quindi necessario considerare un’adeguata finestra temporale.
Studiare le dinamiche a lungo termine delle comunità marine permette quindi di monitorare e valutare lo stato e i cambiamenti degli ecosistemi rispetto ad un adeguato riferimento, in cui le comunità marine sono usate come indicatori. La raccolta e lo studio di documentazione storica rappresentano, quindi, un’attività imprescindibile nell’ambito del monitoraggio ambientale. La pesca rappresenta uno dei principali fattori di alterazione negli ecosistemi marini, ed è considerata la principale causa di perdita di biodiversità e del collasso delle popolazioni. I suoi effetti, diretti e indiretti, costituiscono una fonte di disturbo ecologico in grado di modificare l’abbondanza delle specie, gli habitat, la rete trofica e quindi la struttura e il funzionamento degli ecosistemi stessi. Essa rappresenta una fonte “storica” di disturbo, essendo una delle prime attività antropiche di alterazione dell’ambiente marino. Inoltre, la sovra-pesca (overfishing) sembra essere un pre-requisito perché altre forme di alterazione, come l’eutrofizzazione o la diffusione di specie alloctone, si manifestino con effetti più pervicaci.
La pesca rappresenta però anche una sorta di campionamento estensivo non standardizzato delle popolazioni marine. Dal momento che dati raccolti ad hoc per il monitoraggio delle risorse alieutiche (fishery-independent) sono disponibili solo dopo la seconda metà del 20° secolo, e in alcuni casi (come in Mediterraneo) solo per le ultime decadi, lo studio delle dinamiche a lungo termine richiede il recupero di informazioni che sostituiscono le osservazioni strumentali moderne e possono essere comunque considerati descrittori dei processi di interesse (proxy). La principale criticità nel ricostruire serie storiche a lungo termine nasce dall’eterogeneità dei dati storici e dalla necessità di elaborare metodologie per l’analisi e l’integrazione dei dati qualitativi o semi-quantitativi del passato con i dati moderni. A seconda del periodo considerato e dell’ampiezza della finestra temporale di studio, quindi, è necessario applicare diverse metodologie d’analisi.
La gestione sostenibile dello sfruttamento delle risorse alieutiche è un tema sempre più rilevante nel contesto della pesca mondiale, come conseguenza del progressivo aumento della capacità e dell’efficenza di pesca stimolati dal progresso tecnologico. Ciò ha portato all’impoverimento delle risorse ittiche determinando effetti negativi sia in termini ecologici che socio-economici. Tradizionalmente la gestione della pesca si è basata sulla massimizzazione delle catture di singole specie bersaglio, ignorando gli effetti sugli habitat, sulle interazioni trofiche tra le specie sfruttate e le specie non bersaglio, e su altre componenti dell’ecosistema. Questo ha portato al depauperamento delle risorse e all’alterazione della struttura e funzionamento degli ecosistemi, rendendo le misure gestionali spesso inefficaci. Per questo motivo è necessario applicare una gestione della pesca basata sull’ecosistema (Ecosystem-based fishery management), che ha come obiettivi: prevenire o contenere l’alterazione indotta dalla pesca sull’ ecosistema, valutata mediante l’applicazione di indicatori; tenere in considerazione gli effetti indiretti del prelievo sull’insieme delle componenti dell’ecosistema e non solo sulle specie bersaglio (cascading effect); proteggere habitat essenziali per il completamento del ciclo vitale di diverse specie; tutelare importanti componenti dell’ecosistema (keystone species) da pratiche di pesca distruttive; monitorare affinchè le attività antropiche non compromettano le caratteristiche di struttura delle comunità biotiche, per preservare caratteristiche funzionali quali la resilienza e la resistenza dell’ecosistema, prevenendo cambiamenti che potrebbero essere irreversibili (regime-shifts).
A tale scopo è necessario essere in possesso di adeguate conoscenze relative alle caratteristiche ecologiche ed allo stato degli stock sfruttati, monitorandone le dinamiche e consentendo l’applicazione di modalità gestionali adeguate. L’approccio ecosistemico alla gestione della pesca prevede l’applicazione di indicatori che siano in grado di descrivere lo stato degli ecosistemi marini, le pressioni antropiche esercitate su di essi e gli effetti di eventuali politiche gestionali sull’ambiente marino e sulla società.
Nell’ambito dell’ecologia storica l’Alto Adriatico rappresenta un caso di studio interessante, sia per la disponibilità di fonti storiche, sia perché è un ecosistema che nei secoli ha subito diversi impatti ed alterazioni. La presente tesi di dottorato si inserisce nell’ambito del progetto internazionale History of Marine Animal Populations (HMAP), la componente storica del Census of Marine Life (CoML), uno studio decennale (che si concluderà nel 2010) per valutare e spiegare i cambiamenti della diversità, della distribuzione e dell’abbondanza della vita negli oceani nel passato, nel presente e nel futuro. HMAP è un progetto multidisciplinare che, attraverso una lettura in chiave ecologica delle interazioni storiche tra uomo e ambiente, ha come obiettivo la ricostruzione delle dinamiche a lungo termine degli ecosistemi marini e delle forzanti (sia naturali che antropiche) che li hanno influenzati. Tale ricostruzione permette di migliorare la nostra comprensione dei processi ecologici, di ridefinire i punti di riferimento sullo stato dell’ecosistema (historical baseline), e di valutare la variabilità naturale su ampia scala temporale (historical range of variation).
Gli obiettivi del presente progetto di dottorato sono: i) descrivere le attività di pesca in Alto Adriatico negli ultimi due secoli, quale principale forzante che ha agito sull’ecosistema; ii) analizzare i cambiamenti a lungo termine della struttura della comunità marina; iii) valutare ed interpretare i cambiamenti intercorsi mediante applicazione di indicatori.
Allo scopo è stata condotta un’estensiva ricerca bibliografica nei principali archivi storici e biblioteche di Venezia, Chioggia, Trieste, Roma e Spalato al fine di individuare, catalogare e acquisire informazioni e dati sulle popolazioni marine e le attività di pesca nell’Alto Adriatico nel 19° e 20° secolo. La tipologia delle fonti raccolte include documenti storici e archivistici, cataloghi di specie, fonti statistiche come i dati di sbarcato dei mercati ittici e informazioni sulla consistenza delle flotte e gli attrezzi da pesca utilizzati. Si rileva come la ricerca d’archivio abbia evidenziato un’ampia disponibilità di documenti storici, inerenti sia le popolazioni marine che le attività di pesca.
La tesi è organizzata in tre capitoli. Il primo è parzialmente tratto dal libro “T. Fortibuoni, O. Giovanardi, e S. Raicevich, 2009. Un altro mare. Edizioni Associazione Tegnue di Chioggia – onlus, 221 pp.” e ricostruisce la storia della pesca in Alto Adriatico negli ultimi due secoli; il secondo rappresenta una versione estesa del manoscritto “T. Fortibuoni, S. Libralato, S. Raicevich, O. Giovanardi e C. Solidoro. Coding early naturalists’ accounts into historical fish community changes” (attualmente sottomesso presso rivista internazionale ISI), e ricostruisce, attraverso l’intercalibrazione ed integrazione di fonti qualitative e quantitative, i cambiamenti della struttura della comunità ittica avvenuti tra il 1800 e il 2000; il terzo capitolo analizza, mediante l’applicazione di indicatori, i cambiamenti qualitativi e quantitativi della produzione alieutica dell’Alto Adriatico dal secondo dopoguerra ad oggi (1945-2008), inferendo informazioni sui cambiamenti cui è stata sottoposta la comunità marina alla luce di diverse forzanti (manoscritto in preparazione).
L’obiettivo del primo capitolo è descrivere l’evoluzione della capacità di pesca, principale forzante che storicamente ha interagito con l’ecosistema marino, in Alto Adriatico dal 1800 ad oggi.
La diversificazione, sia per varietà di attrezzi utilizzati che per la molteplicità delle specie sfruttate, delle attività di pesca storicamente condotte in Alto Adriatico è un tratto caratteristico di tale area. Le differenze morfologiche e biologiche delle due sponde, occidentale e orientale, e le diverse vicende storiche e politiche, hanno portato infatti ad uno sviluppo delle attività di pesca nettamente diversificato. Sulla sponda orientale la pesca ha rappresentato, almeno fino all’inizio del 20° secolo, un’attività di sussistenza. Era praticata quasi esclusivamente nelle acque costiere, con un’ampia varietà di attrezzi artigianali e mono-specifici, concepiti cioè per lo sfruttamento di poche specie e adattati a particolari ambienti. Al contrario, lungo la costa occidentale operavano flotte ben sviluppate, come quella di Chioggia, che si dedicavano alla pesca in mare su entrambe le sponde adriatiche con attrezzi a strascico, compiendo migrazioni stagionali tra le due sponde per seguire le migrazioni del pesce.
La capacità di pesca in Alto Adriatico è aumentata a partire dalla seconda metà del 19° secolo, periodo in cui si è osservato uno sviluppo sia in termini di numero di imbarcazioni che di addetti, grazie ad una congiuntura economica, sociale e storica favorevole. Fino alla I Guerra Mondiale, però, le tecniche di pesca sono rimaste pressoché invariate, e le attività erano condotte con barche a vela o a remi. Già all’inizio del 20° secolo l’Alto Adriatico era sottoposto ad un’intensa attività di pesca che, compatibilmente con le tecnologie disponibili all’epoca, riguardava principalmente le aree costiere, mentre l’attività era più moderata in alto mare. Durante la II Guerra Mondiale si è assistito al fermo quasi totale della pesca, con conseguente disarmo della maggior parte dei pescherecci. Nell’immediato dopoguerra il numero di imbarcazioni è aumentato molto velocemente, e sono state introdotte alcune innovazioni che in breve tempo hanno cambiato radicalmente le attività di pesca tradizionali (industrializzazione della pesca). Innanzitutto l’introduzione del motore, con conseguente espansione delle aree di pesca ed aumento delle giornate in mare, grazie all’indipendenza della navigazione dalle condizioni di vento. Il motore ha anche permesso l’introduzione di nuovi attrezzi da pesca, più efficienti ma al contempo più impattanti, che richiedono un’elevata potenza per essere manovrati (ad esempio il rapido e la draga idraulica). Altre innovazioni hanno determinato un miglioramento delle condizioni dei pescatori e un aumento consistente delle catture.
Analizzando la storia della pesca in Alto Adriatico negli ultimi due secoli si possono quindi distinguere principalmente due periodi diversi: pre-1950, quando aveva notevole importanza su entrambe le coste la pesca strettamente costiera, praticata con attrezzi artigianali e mono-specifici, mentre la pesca a strascico in mare aperto era prerogativa delle flotte italiane (ed in particolare di Chioggia) ed era praticata con barche a vela; il periodo successivo al 1950, che ha visto l’introduzione del motore, un aumento esponenziale del tonnellaggio e del numero di barche e la sostituzione graduale di attrezzi artigianali mono-specifici con attrezzi multi-specifici ad elevato impatto. Se nel primo periodo la pesca si basava sulle conoscenze ecologiche del pescatore, che adattava le proprie tecniche in funzione della stagione, dell’habitat e degli spostamenti delle specie, nel secondo si è visto un maggior investimento nella tecnologia e nell’utilizzo di attrezzi multi-specifici. Negli ultimi vent’anni la capacità di pesca delle principali flotte italiane operanti in Alto Adriatico si è stabilizzata su valori elevati, e in alcune marinerie all’inizio del 21° secolo è iniziata una lieve diminuzione, in linea con i dettami della Politica Comune della Pesca dell’Unione Europea. A tutt’oggi comunque lo sforzo di pesca in questo ecosistema è molto elevato; ad esempio, alcuni fondali possono essere disturbati dalla pesca a strascico con intensità superiori a dieci volte in un anno, determinando un disturbo cronico su habitat e biota.
Il secondo capitolo presenta una nuova metodologia per intercalibrare ed integrare informazioni qualitative e quantitative sull’abbondanza delle specie, per ottenere una descrizione semi-quantitativa della comunità ittica su ampia scala temporale. La disponibilità di dati quantitativi sulle popolazioni marine dell’Alto Adriatico prima della seconda metà del 20° secolo è, infatti, scarsa, e la ricostruzione di cambiamenti a lungo termine richiede l’integrazione e l’analisi di dati provenienti da altre tipologie di fonti (proxy), tra cui i cataloghi dei naturalisti e le statistiche di sbarcato dei mercati ittici.
Le opere dei naturalisti rappresentano la principale e più completa fonte d’informazione sulle popolazioni ittiche dell’Alto Adriatico nel 19° secolo e almeno fino alla seconda metà del 20° secolo. Consistono in cataloghi di specie in cui ne vengono descritte l’abbondanza (in termini qualitativi: ad esempio raro, comune, molto comune), le aree di distribuzione, la taglia, gli aspetti riproduttivi e altre informazioni ancillari. Sono stati raccolti trentasei cataloghi di specie per il periodo 1818-1956, in cui sono descritte un totale di 255 specie ittiche.
I dati di sbarcato costituiscono l’unica fonte quantitativa per un elevato numero di specie disponibile per l’Alto Adriatico a partire dalla fine del 19° secolo. I dati utilizzati nel presente lavoro sono riferiti ai principali mercati e aree di pesca dell’Alto Adriatico e coprono il periodo 1874-2000, e sono espressi come peso umido di specie o gruppi di specie commerciate in un anno (kg/anno).
Poiché i naturalisti basavano le proprie valutazioni sull’abbondanza delle specie su osservazioni fatte presso mercati ittici, porti e interviste a pescatori, è stato possibile sviluppare una metodologia per intercalibrare ed integrare le due fonti di dati, permettendo un’analisi di lungo periodo dei cambiamenti della comunità ittica. L’intercalibrazione e l’integrazione dei due datasets ha infatti permesso di descrivere, con una scala semi-quantitativa, l’abbondanza di circa 90 taxa nell’arco di due secoli (1800-2000). Mediante l’applicazione di indicatori basati sulle caratteristiche ecologiche dei taxon è stato così possibile analizzare cambiamenti a lungo termine della comunità ittica. Sono stati evidenziati segnali di cambiamento che precedono l’industrializzazione della pesca, con una diminuzione significativa dell’abbondanza relativa dei predatori apicali (pesci cartilaginei e specie di taglia elevata) e delle specie più vulnerabili (specie che raggiungono la maturità sessuale tardi). Questo lavoro rappresenta uno dei pochi casi in cui è stato studiato il cambiamento della struttura di un’intera comunità ittica su un’ampia scala temporale (due secoli), e presenta una nuova metodologia per l’intercalibrazione ed integrazione di dati qualitativi e quantitativi. In particolare le testimonianze dirette dei naturalisti – considerate per molto tempo dai biologi della pesca “aneddoti” e non “scienza” – si sono rilevate un’ottima fonte per ricostruire cambiamenti a lungo termine delle comunità marine. La metodologia elaborata in questo lavoro può essere estesa ad altri casi-studio in cui è necessario integrare informazioni qualitative e quantitative, permettendo di estrarre nuove informazioni da vecchie – e talvolta sottovalutate – fonti, e riscoprire l’importanza delle testimonianze di naturalisti, viaggiatori e storici.
Il terzo capitolo affronta un’analisi quantitativa dei cambiamenti ecologici dell’Alto Adriatico, condotta mediante analisi dello sbarcato del Mercato Ittico di Chioggia tra il 1945 e il 2008 e l’applicazione di indicatori. È stato scelto questo mercato per la disponibilità di dati per un ampio periodo storico (circa 60 anni), che ha permesso di valutare i cambiamenti avvenuti in un arco di tempo in cui si è assistito all’industrializzazione, ad una rapida ascesa e al successivo declino della pesca. Chioggia rappresenta il principale mercato ittico dell’Alto Adriatico rifornito dalla più consistente flotta peschereccia dell’area, che sfrutta sia zone costiere che di mare aperto.
Oltre ad un’analisi dell’andamento temporale dello sbarcato totale, sono stati applicati alcuni indicatori trofodinamici (livello trofico medio, Fishing-in-Balance, Relative Price Index e rapporto Pelagici/Demersali) e indicatori basati sulle caratteristiche di life-history delle specie (lunghezza media della comunità ittica e rapporto Elasmobranchi/Teleostei). L’utilizzo complementare di più indicatori, sensibili in misura diversa alle fonti di disturbo ecologico e riferite a diverse proprietà emergenti dell’ecosistema e delle relative caratteristiche strutturali, ha permesso di descrivere i cambiamenti avvenuti dal secondo dopoguerra ad oggi e identificare le potenziali forzanti che hanno agito sull’ecosistema.
Ad una rapida espansione della pesca, cui è conseguito un aumento significativo delle catture (che hanno raggiunto il massimo negli anni ’80), è seguita una fase di acuta crisi ambientale. L’effetto sinergico di diverse forzanti (pesca, eutrofizzazione, crisi anossiche, fioriture di mucillaggini) ha modificato la struttura e la composizione della comunità biologica, inducendo una graduale semplificazione della rete trofica. Fino agli anni ’80 l’aumento della produttività legato all’incremento di apporto di nutrienti ha sostenuto l’elevata e crescente pressione di pesca, malgrado progressivi cambiamenti strutturali della comunità (regime-shifts), rendendo l’Adriatico il più pescoso mare italiano. Successivamente il sistema sembra essere entrato in una situazione di instabilità, manifestatasi con un drastico calo della produzione alieutica, bloom di meduse (soprattutto Pelagia noctiluca), maree rosse (fioriture di dinoflagellati potenzialmente tossici), crisi anossiche e conseguenti mortalità di massa, regressione di alcune specie importanti per la pesca come la vongola (Chamelea gallina), e fioriture sempre più frequenti di mucillaggini. L’analisi conferma che la sovra-pesca ha agito da pre-requisito perché altre forme di alterazione si manifestassero, e attualmente non sono evidenti segnali di recupero, probabilmente a causa sia di una diminuzione della produttività primaria che della pressione cronica e tuttora crescente indotta dalla pesca.
L’approccio di ecologia storica utilizzato ha permesso di ricostruire la storia della pesca in Alto Adriatico, evidenziandone le dinamiche di sviluppo, i cambiamenti tecnologici, strutturali e di pressione ambientale. L’insieme delle analisi e delle fonti raccolte ha permesso di ricostruire - in termini semi-quantitativi - le attività di pesca in Alto Adriatico dal 19° secolo a oggi, analizzare i cambiamenti della comunità ittica nell’arco di due secoli, e infine approfondire le analisi per gli ultimi sessanta anni attraverso l’applicazione di indicatori quantitativi. Da questo studio emerge come già all’inizio del 20° secolo la pesca fosse pienamente sviluppata nell’area, causando cambiamenti strutturali nella comunità ittica, ben prima dell’industrializzazione. Dal secondo dopoguerra si è verificato un rapido incremento dell’intensità delle diverse forzanti antropiche, il cui effetto sinergico ha alterato profondamente l’ecosistema portandolo ad uno stato di inabilità, culminato in gravi crisi ambientali e un netto calo della produzione alieutica.XXII Ciclo197
Editorial : The sustainability series : the plastics problem - pathways towards sustainable solutions against plastic pollution
publishedVersio
Pojava volonje Hexanchus griseus (Bonnaterre, 1788.) u Tršćanskom zaljevu (sjeverni Jadran) s posebnim osvrtom na povijesne i nove zapise u Jadranskom moru
A specimen of a sixgill bluntnose shark, Hexanchus griseus (Bonnaterre, 1788), was caught 1.5
NM north of Cape Ronek (Izola, Slovenia) in a fishing net for large-sized flatfish (such as turbot) on
28 January 2018. Three other older cases of catch of sixgill bluntnose sharks were recorded in Slo-
venia and the Gulf of Trieste. Among these, the finding of the specimen in the Lagoon of Marano and
Grado is unusual although there are reported cases of sixgill bluntnose sharks in rivers. An analy-
sis of the available data on the bluntnose sixgill shark in the Adriatic Sea, obtained from different
published papers, social media and other sources, was done to understand whether the occurrence
of H. griseus in the northern Adriatic differs from other parts. A generalised linear model (GLM)
approach revealed that larger specimens are more frequently sighted across the Adriatic Sea, while
in the Northern Adriatic part, significantly smaller specimens (juveniles) were recorded in compari-
son to the Central and Southern parts. It seems that the bluntnose sixgill shark is not in conjunction
with a common large shark decreasing trend across the whole Mediterranean Sea.Primjerak volonje Hexanchus griseus (Bonnaterre, 1788), ulovljen je 28. siječnja 2018. 1,5 NM
sjeverno od rta Ronek (Izola, Slovenija) u mrežu za lov na velike plosnate ribe (kao što su plosnati-
ce). Još dva prethodna slučaja ulova volonje zabilježena su u Sloveniji i Tršćanskom zaljevu. Među
njima, neobičan je pronalazak primjerka u lagunama Marano i Grado, iako postoje prijavljeni ulovi
volonje u rijekama. Učinjena je analiza dostupnih podataka o volonji u Jadranskom moru, dobivenih
iz različitih objavljenih radova, društvenih mreža i drugih izvora, kako bi se ustanovilo razlikuje li
se pojava H. griseusa u sjevernom Jadranu od ostalih dijelova. Pristup generaliziranog linearnog
modela (GLM) otkrio je da se veći primjerci češće viđaju diljem Jadranskog mora, dok su u sjever-
nom dijelu Jadrana zabilježeni znatno manji primjerci (mladi) u odnosu na srednji i južni dio. Čini
se da volonja nije povezan s uobičajenim trendom smanjenja broja velikih morskih pasa u cijelom
Sredozemnom moru
Gradients of Variation in the At-Vessel Mortality Rate between Twelve Species of Sharks and Skates Sampled through a Fishery-Independent Trawl Survey in the Asinara Gulf (NW Mediterranean Sea)
Elasmobranchs are priority species for conservation due to their rapid decline determined by the unbalanced struggle between a fragile bio-ecology and strong anthropogenic impacts, such as bycatch from professional fishing. In this context, measuring species resistance to catch of poorly selective gear is of paramount importance. During June-October 2022, five experimental fishing campaigns were carried out in the Asinara Gulf (northern Sardinia) through 35 geographically and bathymetrically representative hauls of an area between 30 and 600 m in depth. Skates prevailed over sharks in the number of species, with seven and five species, respectively. We first evaluated the status of each individual with respect to stress due to the trawl's catch using a three-graded scale. We also recorded individual biometrics (total and disk length, weight and sex, and maturity for males) on board by implementing the best practices in manipulating individuals for physiological recovery and release at sea. After capture, skates resulted in generally better conditions than sharks, although deepwater species of both groups exhibited a worse state than coastal species. The estimated vitality rates also depended on the size of the individuals. This work provides standardized data on the intermingled effect of size, species type, and inhabited depth on the resistance response of some elasmobranch species against capture by trawl fishery activities
Spatial distribution of demersal fishery resources, environmental factors and fishing activities in GSA 15 (Malta Island)
The FAO–MedSudMed Regional Project has promoted research on the improvement of knowledge on fishery ecosystems, with a view to the sustainable management of living marine resources in the central Mediterranean (Straits of Sicily). A pilot study focused on the waters around the Maltese Islands (GSA 15), with the aim of providing a comprehensive overview of the spatial distribution of the different life stages of exploitable demersal fishes in relation to the type and distribution of fishing, as well as to the oceanographic factors characteristic of the area of study. Critical zones for their role in the ecology of the main demersal fishery target species were investigated using species abundance data disaggregated by life stage. Spatial analysis and the application of GIS techniques allowed the identification of preferred habitats (e.g. nursery, feeding and spawning areas) for Merluccius merluccius, Mullus barbatus, Parapenaeus longirostris, Raja clavata and Raja miraletus. The impact of fishing on these species was assessed, particularly in terms of fish assemblages. The transport paths of early life stages were also hypothesized on the basis of oceanographic factors typical of the area. The results revealed that the spatial distribution of the main fishery resources overlaps the limits of the current GSAs. The analysis of oceanographic factors showed that some fishery resources are sustained by young individuals transported from adjacent GSAs. The results also demonstrated that the spatial distribution of the main demersal fishery resources in the Mediterranean GSA 15 straddle other GSAs, in particular as concerns nursery and spawning areas, indicating that some fishery resources are shared. This implies that harmonized fishery management should be applied over a larger area than is implied by the GSA concept. Finally, the study showed how data provided by different methods could be integrated to enhance the available scientific information in a data-limited situation.peer-reviewe
Combining Litter Observations with a Regional Ocean Model to Identify Sources and Sinks of Floating Debris in a Semi-enclosed Basin: The Adriatic Sea
Visual ship transect surveys provide crucial information about the density, and spatial distribution of floating anthropogenic litter in a basin. However, such observations provide a ‘snapshot’ of local conditions at a given time and cannot be used to deduce the provenance of the litter or to predict its fate, crucial information for management and mitigation policies. Particle tracking techniques have seen extensive use in these roles, however, most previous studies have used simplistic initial conditions based on bulk average inputs of debris to the system. Here, observations of floating anthropogenic macro debris in the Adriatic Sea are used to define initial conditions (number of particles, location, and time) in a Lagrangian particle tracking model. Particles are advected backward and forward in time for 60 days (120 days total) using surface velocities from an operational regional ocean model. Sources and sinks for debris observed in the central and southern Adriatic in May 2013 and March 2015 included the Italian coastline from Pescara to Brindisi, the Croatian island of Mljet, and the coastline from Dubrovnik through Montenegro to Albania. Debris observed in the northern Adriatic originated from the Istrian peninsula to the Italian city of Termoli, as well as the Croatian island of Cres and the Kornati archipelago. Particles spent a total of roughly 47 days afloat. Coastal currents, notably the eastern and western Adriatic currents, resulted in large alongshore displacements. Our results indicate that anthropogenic macro debris originates largely from coastal sources near population centers and is advected by the cyclonic surface circulation until it strands on the southwest (Italian) coast, exits the Adriatic, or recirculates in the southern gyreVersión del edito
Habitat Suitability Modeling to Identify the Potential Nursery Grounds of the Atlantic Mackerel and Its Relation to Oceanographic Conditions in the Mediterranean Sea
Our knowledge for the distribution of Atlantic mackerel (Scomber scombrus) in the Mediterranean Sea is limited and fragmented. In the current work habitat suitability modeling was applied to summer acoustic surveys data of Atlantic mackerel juveniles derived from the north part of the Mediterranean (i.e., acoustic data from the Gulf of Lions, pelagic trawls held during acoustic surveys in Spanish Mediterranean waters, south Adriatic Sea, Strait of Sicily, and North Aegean Sea) using generalized additive models (GAMs) along with satellite environmental and bathymetry data. Bathymetry along with sea surface temperature and circulation patterns, expressed through sea level anomaly and the zonal component of the absolute geostrophic velocity, were the environmental variables best to describe nursery grounds. The selected model was used to produce maps presenting the potential nursery grounds of Atlantic mackerel throughout the Mediterranean Sea as a measure of habitat adequacy. However, the assessed potential nursery grounds were generally marked as “occasional,” implying that although there are areas presenting high probability to encounter Atlantic mackerel, this picture can largely vary from year to year stressing the high susceptibility of the species to environmental conditions. In a further step and toward a spatial management perspective, we have estimated and visualized the overlap between Atlantic mackerel and anchovy/ sardine juvenile grounds throughout the basin. Results showed that although the degree of overlapping was generally low, not exceeding 15% in general, this varied at a regional level going up to 30%. The potential of the output of this work for management purposes like the implementation of spatially-explicit management tools is discussedVersión del edito
Long-term changes in a Mediterranean marine ecosystem
In the Mediterranean Sea, structured and standardized monitoring programs of marine resources were set only in the last decades, so the analysis of changes in marine communities over longer time scale has to rely on other sources. In this work, we used seven decades (1945–2014) of disaggregated landings statistics for the Northern Adriatic Sea (Mediterranean) to infer changes in the ecosystem. Analysis of landings composition was enriched with the application of a suite of ecological indicators (e.g., trophodynamic indicators, such as the primary production required to sustain the catches—PPR; size-based indicators, such as the large species indicator—LSI; other indicators, such as the elasmobranchs-bony fish ratio—E/B ratio). Indicators were further compared with main ecosystem drivers, i.e., fishing capacity, nutrient loads and climate change. Species most vulnerable to fishing (i.e., elasmobranchs and large-sized species) dramatically declined at the beginning of the industrialization of fishery that occurred right afterwards World War II, as can be inferred by the negative drop of LSI and E/B ratio in the mid-1950s. However, until the mid-1980s landings and PPR increased due to improvements in fishing activities (e.g., the introduction of more efficient fishing gears) increasing fishing capacity, high productivity of the ecosystem. Overall, the effects of fishing were buffered by an increase in productivity in the period of high nutrient discharge (up to mid-1980s), while significant changes in fish community structure were already occurring. From the mid-1980s, a reduction in nutrient load caused a decline in productivity but the food-web structure was already modified and unable to support, or recover from, such unbalanced situation, resulting in the collapse of landings. This collapse is coherent with alternative stable states hypothesis, typical of complex real systems, that implies drastic interventions that go beyond fisheries management and include regulation of nutrient release for recovery. The work highlights that, despite poor capabilities to track species dynamics, landings and applied indicators might help to shed light on the long-term dynamics of marine communities, thus contributing to place current situation in an historical framework with potential for supporting management
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