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    Contraepifanía de la cara. El trauma de la guerra en el cuento poético de Giorgio Caproni

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    El ensayo propone la lectura de la obra poética de Giorgio Caproni (1912-1990) –publicada entre 1956 y su muerte– como si se tratase de un único cancionero perpetuo, centrado en la presencia recursiva de algunos temas y motivos específicos. Todo ellos, como el «viento», la «página del periódico» o el «rostro», tienen que ver con la guerra y con su traumático recuerdo en el yo poético. Más particularmente, el tema del «rostro» es utilizado asiduamente por Caproni, hasta covertirlo en emblema central de ese cancionero perpetuo. Siguiendo la reflexión del filósofo francés Emmanuel Lévinas, si el rostro es el modo en el cual el otro se presenta ante nosotros como semejante (ser humano) y en su diversidad (algo diferente a nosotros), se convierte por ello en el símbolo de la ruptura traumática del contínuo temporal del antes y el después de la guera, ante la evidente imposibilidad de construir una comunidad a partir del reconocimiento del «otro».This essay proposes an interpretation of the poetical works Giorgio Caproni (1912-1990) published from 1956 to his death as an only and coherent «perpetual canzoniere» based on the recursive presence of some specifical themes and motives. All of these (the «wind», the «newspaper’s page», the «face») are referred to the war and its traumatical effect on the lyrical I. In particular, Caproni appears to use the «face»-theme as a kind of basic «emblem» of his perpetual canzoniere: if, according to the French philosopher Emmanuel Lévinas, the face is the way the «other» presents himself to us in his similarity (as a human being like us) and in his difference (as an individual differing from all other individuals), in Caproni’s poetical works the face becomes the sign of the traumatical brake in the temporal continuity before and after the war, and, consequently, the sign of the impossibility to form a community acknowledging the existence of the «other

    «Una filosofia numerosa et ornata» Filosofia naturale e scienza della retorica nelle letture cinquecentesche delle «Canzoni Sorelle»

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    In virtù della loro compattezza come «sottoinsieme» all'interno del capolavoro petrarchesco, le «Canzoni degli occhi» (Rvf, 71-73) costituiscono uno specimen ideale per valutare l'atteggiamento dei commentatori cinquecenteschi delle «rime sparse». Dall'edizione senza note del Bembo (1501) al commento di Vellutello (1525), e ancora dal lavoro di Andrea Gesualdo (1533) sino al grande commento pubblicato postumo del Castelvetro (1582) con il quale in più di un senso si chiude il secolo, si sono contrapposti in Italia due atteggiamenti interpretativi. Da un lato si collocano quelli che come Vellutello o Castelvetro rappresentano i campioni della explication du texte, ossia la critica del «ciò è» che mira a rendere comprensibile la lettera senza sovraccaricarla di significati sapienziali o filosofici; dall'altra parte si sistema invece la critica del «peroché», fatta propria da chi, in particolare gli accoliti dell'Accademia fiorentina (da Varchi a de' Vieri), cercava nell'opera petrarchesca la fonte di un sapere enciclopedico e semmai esemplare anche dal punto di vista spirituale. Lo studio ripercorre questa storia cinquecentesca attraversando sia i commenti sia le lezioni dedicate a singoli componimenti del Canzoniere e mostrando il passaggio dalla identificazione tra «spirito» poetico e «corpo» tipografico tipica del primo Cinquecento alla tendenza a separare tra «spirito» filosofico e «lettera» poetica presente nella seconda metà del secolo XVI.In virtue of their consistency as «subsets» within the Petrarch masterpiece, the «Canzoni degli occhi» («Songs of the eyes») (Rvf, 71-73) are a perfect specimen for appraising the attitude of 5th Century annotators towards «scattered rhymes». Two interpretative, opposing attitudes have existed in Italy, which are evident in various writings, from the obscure work of Bembo (1501) to the comments of Vellutello (1525), and from the work of Andrea Gesualdo (1533) up to the great posthumous commentary of Castelvetro (1582), which brought an ambiguous end to the century. On the one hand, there is the viewpoint of Vellutello or Castlevetro, who represent the protectors of the explication du texte, or rather the critic of the ciò è («that is»), which seeks to explain the letter without overstating knowledgeable or philosophical meanings; on the other hand, is the criticism of peroché, through which acolytes of the Florentine Academy (from Varchi to de' Vieri) in particular, have searched the patriarchal work for the source of encyclopaedic knowledge and, perhaps, exemplars even from a spiritual point of view. The study retraces this 16th Century history, passing through both comments and readings regarding individual compositions from the Canzoniere («Song Book») as well as highlighting the process of identification between the poetic «spirit» and typographic «body» typical of the first five centuries. The study also addresses the tendency to separate between philosophical «spirit» and poetic «letter», present in the second half of the 16th Century

    Dalla postazione dell'oggi. L'attuale condizione della cultura in un libro sulla teoria letteraria del Novecento

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    First responde by Giancarlo Alfano.Prima risposta, di Giancarlo Alfano

    Johnny (non) deve morire. Su filologia e critica del "Partigiano Johnny"

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    This essay analyses the creative process of Fenoglio’s Partigiano Johnny and its subsequent editorial history, showing the connection between its diegetic structure and the destinal outcome of the main character’s. In doing so, an explanation is given regarding the reason why critics are divided between those who believe the death of Johnny is necessary and those who are persuaded that Fenoglio wanted him alive at the end of the story. The opposition between an interpretation of this masterwork as a piece of epic or as a Bildungsroman is thus formulated in structural terms: Johnny’s death being the pivotal element of such interpretations.L’intervento ripercorre le vicende redazionali ed editoriali del Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio per mostrare il rapporto tra costruzione narrativa ed esito destinale del protagonista e le ragioni che spiegano il contrasto tra chi ha interpretato questo capolavoro della letteratura del Novecento in chiave epico-tragica e chi ne ha invece proposta una interpretazione secondo i moduli formali del romanzo di formazione

    Un orizzonte permanente. La traccia della guerra nella letteratura italiana del Novecento

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    Lo studio offre un ampio quadro della presenza della guerra nella letteratura italiana del Novecento, presentando lo svolgimento di un tema dalle importanti ricadute formali: la presenza della guerra anche in opere letterarie il cui tema non è direttamente collegato con l’esperienza bellica. L’analisi verte su aspetti strutturali ricorrenti: il trattamento della scansione del tempo, l’organizzazione degli spazi, l’impostazione allegorica della costruzione narrativa. In particolare, il lavoro analitico mostra che diverse ragioni – legate, da un lato, alla specifica storia d’Italia e, dall’altro, alla natura della rappresentazione del trauma – hanno fatto sì che un notevole numero di romanzi e componimenti poetici presentino disturbi nella sequenza temporale, con una forte tendenza alla sovrapposizione o al collegamento abrupto di epoche differenti. Ne va della difficoltà se non impossibilità di raccontare il trauma, grande questione che ha caratterizzato la riflessione filosofica, letteraria, storica, sociologica e giuridica del Novecento, soprattutto negli ultimi decenni del secolo, introducendo una nuova critica della testimonianza. La ricerca ha messo in evidenza che nei testi presi in esame è spesso presente il tema della giovinezza e della orfanità. La frequenza con cui scrittori molto diversi tra loro (da Goffredo Parise a Italo Calvino, da Giuseppe Berto a Cesare Pavese ed Elsa Morante) hanno deciso di orchestrare i loro racconti intorno a bambini o ragazzini orfani, al di là delle risonanze mitologiche o psicologiche, appare il segnale di quella frattura che la guerra opera all’interno della serie generazionale, impedendo il costituirsi di una tradizione comune. La tesi alla base del libro è che la letteratura, in quanto forma d’arte, si pone come obiettivo la permanenza dei fatti, vissuti o inventati che essi siano: permanenza ottenuta col trasferimento di una determinata esperienza al lettore, il quale ne diviene il depositario. Se la letteratura tende a «risolvere i problemi posti dalla storia», come è stato detto, ciò avviene perché la sua carica concettuale è sempre risolta in forme che “agitano” l’affettività del lettore, coinvolgendolo nell’enigma che quei problemi gli pongono e conducendolo a quella «intelligenza delle emozioni» di cui ha più volte parlato Ezio Raimondi

    Lungo periodo e svolte epocali

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    Continuity or discontinuity? In historiographic reconstructions, we trace morphological constants and functional or aesthetic fractures. The story of humor writing undoubtedly sees Laurence Sterne as the key of an epochal transformation, which should be meant on a double background: the long continuity of forms and procedures of conversational sociability; the progressive emergence of the modern concept of subjectivity. My book, L'umorismo letterario. Una lunga storia europea (secoli XIV-XX), discussed in this section by Giorgio Forni e Riccardo Donati, tries to meet these requirements.Continuità o discontinuità? Nelle ricostruzioni storiografiche ci si muove rintracciando delle costanti morfologiche e delle fratture funzionali o estetiche. La storia della scrittura umorista vede senza dubbio in Laurence Sterne la chiave di volta di una trasformazione epocale, che però va intesa – a parere di chi scrive – su un duplice sfondo: la lunga continuità di forme e procedure della sociabilità conversevole; il progressivo emergere del concetto moderno di soggettività. Il libro discusso da Giorgio Forni e Riccardo Donati prova a muoversi rispettando queste tre esigenze
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