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    La qualitĂ  delle acque del Fiume Cecina nel tratto tra Radicondoli e Ponteginori

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    La tesi si propone, con la produzione di nuovi dati analitici e l'uso di quanto disponibile in letteratura, di caratterizzare dal punto di vista idrogeochimico le acque di parte del corso del fiume Cecina e dei suoi principali affluenti con lo scopo finale di ottenere possibili indicazioni sulla qualità delle acque superficiali e sotterranee. Lo studio è stato effettuato considerando l'asta di fiume che va da Radicondoli a Ponteginori. Tale limitazione è dovuta alla necessità di contenere i costi e alla impossibilità di gestire un'area più vasta nell'ambito di un unico lavoro di tesi. Spunto per questo lavoro sono le notevoli problematiche ambientali che affliggono il fiume Cecina, infatti le acque del fiume hanno contenuti di Boro elevati sia per la presenza di manifestazioni naturali collegate al campo geotermico di Larderello, sia per il rilascio dei reflui delle centrali geotermiche e dell'industria chimica. Inoltre sono assenti impianti di depurazione per scarichi civili. Gli elevati emungimenti dell'acqua di falda, quantificabili in circa 8.500.000 mc/anno, con una restituzione di 820.000 circa mc/anno, aggravano i problemi ambientali del fiume, che spesso d'estate è privo di acqua per lunghi tratti. Tutta l'asta del fiume considerata nel presente studio è comunque interessata a scarichi industriali rilasciati (anche tramite gli affluenti) dalle aziende chimiche presenti nella zona di Saline di Volterra e Pomarance (società chimica Larderello). L'impatto di attività produttive si evidenzia con il radicale cambiamento di composizione chimica del fiume dopo la confluenza del Botro Santa Marta, caratterizzato qualitativamente come "pessimo". Durante i primi due campionamenti si è riscontrata presenza di acqua di scorrimento superficiale solo nel tratto tra Radicondoli (sezione 1) e Puretta (sezione 4) mentre nel terzo campionamento l'acqua era presente lungo tutto il tratto considerato. Sulla base delle analisi chimiche effettuate si può concludere che: * La composizione chimica del Cecina varia nello spazio e nel tempo. Nelle prime due campagne le acque tra la sezione 1 e la sezione 4 sono solfato-calciche e la composizione riflette l'interazione con le evaporiti presenti anche nell'alta valle del Cecina. Nella terza campagna le acque tra la sezione 1 e la sezione 4 sono di tipo SO4-HCO3-Ca-Na. Nel tratto successivo fino alla sezione 13 (a monte della confluenza del Botro Santa Marta) diminuisce gradualmente il contenuto percentuale di bicarbonato mentre aumenta il contenuto di solfato e cloruro. Le acque restano comunque miste del tipo SO4-HCO3-Na- Ca. Dopo la sezione 13 a seguito dell'immissione del Botro Santa Marta, l'acqua del Cecina si arricchisce in ioni Cl e diventa di tipo Cl-SO4-Na-Ca. * Le acque del torrente Pavone sono acque bicarbonato-calciche e non cambiano nel tempo. Le acque del torrente Possera sono in prevalenza di tipo bicarbonato-calcico, mentre quelle del Botro Santa Marta sono di tipo clorurato-sodico. * L'analisi dei fattori, condotta utilizzando il metodo delle componenti principali consente di distinguere tre fattori: uno che rappresenta le acque di tipo Na-K-Cl, l'altro le acque di tipo Ca-Mg-SO4 e l'ultimo, anche per importanza, quelle bicarbonatiche. Anche aumentando i fattori considerati, si ritrovano come componenti esclusive quelle già individuate con la classificazione chimica. * Dai grafici di correlazione tra boro e fattori chimici classsificativi si riconoscono chiaramente due famiglie ben distinte per il comportamento del boro. Ad una appartengono i campioni del torrente Possera, escluso il punto a monte delle centrali di Larderello (FP1); all'altro le acque del fiume Cecina incluso il campione prelevato a monte delle centrali di Larderello (FP1). Da osservare che il contenuto di boro del campione FP1 è confrontabile con quello contenuto nel Cecina prima della confluenza con il Possera. * Le variazioni di chimismo del fiume Cecina non sempre sono spiegabili con gli apporti di affluenti. Questo succede in particolare a) tra la sezione 2 e la sezione 4 (Puretta), dove occorre fare intervenire l'apporto di una terza acqua, forse di subalveo, che si differenzia anche per il suo contenuto isotopico; b) tra la sezione 4 e la sezione 7 dove l'immissione del torrente Possera non spiega la composizione chimica dell'acqua campionata nel punto 7, che risulta molto più arricchita in sodio rispetto al valore atteso considerando il mescolamento binario, calcolato con il boro, tra la sezione 4 e il Possera. L'assenza di misure di portata non consente di determinare la composizione chimica dell'eventuale terzo termine della miscela; c) tra le sezioni 7 e 9 il boro aumenta con il Cl ed il Na, successivamente, fino alla sezione 13, Na e Cl aumentano ancora, mentre il boro raggiunge un valore costante di circa 1.3 mg/l.. Apporti di acque freatiche e/o di subalveo implicherebbero importanti aumenti di portata tra la sezione 9 e la sezione 13. In alternativa si può pensare ad un apporto di fasi solide ricche in NaCl e pressoché privi di boro; d) La sezione 15 è il risultato del mescolamento binario tra il Botro di Santa Marta e il Cecina prima della confluenza; e) le variazioni di chimismo tra le sezioni 17 e 18 sono interpretabili solo ricorrendo ad apporti di acque con basso contenuto di Na e Cl, probabilmente di scorrimento superficiale. * Le analisi isotopiche dD e d18O sono state effettuate solamente su campioni di fiume della zona di Puretta in diversi periodi di tempo. Sono stati determinati gli isotopi dell'acqua anche su tre pozzi del campo pozzi di Puretta. I dati isotopici, pur numericamente ridotti, confermano il modello di mescolamento ternario già ipotizzato sulla base dei dati chimici. * Il boro all'inizio del tratto studiato, tra la sezione 1 e la sezione 4, presenta valori di concentrazioni tra 0,3 e 0,5 mg/l. Non si osservano importanti variazioni di contenuto di boro nel tempo. I dati chimici dopo la sezione 4 sono disponibili solamente nella terza campagna. In tal caso il boro aumenta notevolmente tra la sezione 4 e la 7. Ricordiamo che l'apporto del Possera spiega la variazione di boro, ma non quella di Cl ed altre specie chimiche. Tra la sezione 7 e la 9 il boro aumenta senza apparenti apporti concentrati, per poi rimanere di fatto costante fino alla sezione 17 per poi iniziare a scendere. * La composizione isotopica del boro è molto variabile e consente di identificare l'origine di tale sostanza. In sintesi, si riconosce un gruppo di campioni caratterizzati da un basso contenuto di boro (=0,5 mg/l) e un valore di d11B di circa +11‰. A questo gruppo appartengono i campioni del torrente Possera a monte della centrale di Larderello (FP1) e quelli del Cecina a monte della confluenza con il torrente Possera (FC1). Questi dati isotopici possono indicare un boro di origine naturale derivante da scambi con le rocce. Il campione della discarica del Bulera ha un alto valore di boro (30 mg/l circa), ed un valore di d11B di -3,2‰. Questo valore potrebbe essere indicativo del boro proveniente dalla Colemanite. Esistono poi campioni che hanno valori di boro e di d11B intermedi. Questi indicano un possibile inquinamento non imputabile né a cause naturali, né a fanghi di lavorazione rilasciati lungo l'asta fluviale: una possibile ipotesi vede la presenza di reflui geotermici caratterizzati appunto da alti valori del boro, ma d11B positivi (3,1 ‰). * Per ciò che riguarda il mercurio nelle acque, questo non è rilevabile, ad eccezione del campione del Botro Santa Marta. La concentrazione resta comunque inferiore al valore di legge di 1 ppb per le acque destinate alla potabilizzazione. * I dati chimici sono stati utilizzati per lo studio della qualità, cercando di applicare, per quanto possibile, il decreto legislativo 152 del 1999 che riguarda appunto lo stato qualitativo delle acque. Le acque superficiali sono appartenenti alla classe 2 (Buono) ad eccezione del Botro Santa Marta, il quale si trova classificato in classe 5 (Pessimo). Si riscontrano inoltre valori elevati di cloruri e solfati, e nonostante che la legge non imponga limiti a queste sostanze, sarebbe consigliabile controllarne l'andamento spaziale e temporale

    Chemotherapy-Induced Tumor Cell Death at the Crossroads Between Immunogenicity and Immunotolerance: Focus on Acute Myeloid Leukemia

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    In solid tumors and hematological malignancies, including acute myeloid leukemia, some chemotherapeutic agents, such as anthracyclines, have proven to activate an immune response via dendritic cell-based cross-priming of anti-tumor T lymphocytes. This process, known as immunogenic cell death, is characterized by a variety of tumor cell modifications, i.e., cell surface translocation of calreticulin, extracellular release of adenosine triphosphate and pro-inflammatory factors, such as high mobility group box 1 proteins. However, in addition to with immunogenic cell death, chemotherapy is known to induce inflammatory modifications within the tumor microenvironment, which may also elicit immunosuppressive pathways. In particular, DCs may be driven to acquire tolerogenic features, such as the overexpression of indoleamine 2,3-dioxygensase 1, which may ultimately hamper anti-tumor T-cells via the induction of T regulatory cells. The aim of this review is to summarize the current knowledge about the mechanisms and effects by which chemotherapy results in both activation and suppression of anti-tumor immune response. Indeed, a better understanding of the whole process underlying chemotherapy-induced alterations of the immunological tumor microenvironment has important clinical implications to fully exploit the immunogenic potential of anti-leukemia agents and tune their application

    Dynamic contrast-enhanced ultrasonography (D-CEUS) for the early prediction of bevacizumab efficacy in patients with metastatic colorectal cancer

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    Objectives: To investigate early changes in tumour perfusion parameters by dynamic contrast-enhanced ultrasonography (D-CEUS) and to identify any correlation with survival and tumour response in patients with metastatic colorectal cancer (CRC) treated with bevacizumab (B). Methods: Thirty-seven patients randomized to either chemotherapy (C) plus B or C alone were considered for this study. D-CEUS was performed at baseline and after the first treatment cycle (day 15). Four D-CEUS perfusion parameters were considered: derived peak intensity (DPI), area under the curve (AUC), slope of wash-in (A) and time to peak intensity (TPI). Results: In patients treated with C plus B, a ≥22.5 % reduction in DPI, ≥20 % increase in TPI and ≥10 % reduction in AUC were correlated with higher progression-free survival in the C+B arm (p = 0.048, 0.024 and 0.010, respectively) but not in the C arm. None of the evaluated parameter modifications had a correlation with tumour response or overall survival. Conclusions: D-CEUS could be useful for detecting and quantifying dynamic changes in tumour vascularity as early as 15 days after the start of B-based therapy. Although these changes may be predictive of progression-free survival, no correlation with response or overall survival was found. Key Points: • D-CEUS showed early changes in liver metastasis perfusion in colorectal cancer. • A decrease in tumour perfusion was associated with longer progression-free survival. • The decrease in perfusion was not correlated with higher overall survival

    Separate episodes of capillary leak syndrome and pulmonary hypertension after adjuvant gemcitabine and three years later after nab-paclitaxel for metastatic disease

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    Background: Systemic capillary leak syndrome is a rare disease with a high mortality rate. This syndrome is characterised by generalised edema, hypotension, hemoconcentration, and hypoproteinemia. The cause is the sudden onset of capillary hyperpermeability with extravasations of plasma from the intravascular to the extravascular compartment. We present the case of a patient who experienced two episodes of systemic capillary leak syndrome and pulmonary hypertension; the first after gemcitabine in an adjuvant setting and the second three years later after treatment with nab-paclitaxel for metastatic disease.Case presentation: A 65-year-old patient underwent a pancreatectomy in January 2010 for ductal carcinoma (pT3 N0 M0, stage IIa), followed by adjuvant chemotherapy. Seven days after the last cycle, she developed dyspnea associated with orthopnea and cough. A transthoracic cardiac ecocolordoppler was performed, with evidence of pulmonary hypertension (58 mmHg). Blood tests showed an increase in creatinine, pro-BNP and D-Dimer. She began high-dose diuretic therapy combined with cortisone. After a month, the patient was eupneic and the anasarca had resolved. We decided gradually to reduce the steroid and diuretic therapy. After ten days of the reduction, the patient began to re-present the same symptoms after treatment with gemcitabine. Corticosteroid therapy was restored with rapid clinical benefit and decreased pro-BNP after a week of treatment. After two years, the disease returned. As a first line treatment, it was decided to use nab-paclitaxel 100 mg/m2 weekly. After two doses, followed by approximately 14 days of treatment, the patient developed acute respiratory distress syndrome. The clinical suspicion was a relapse of capillary leak syndrome and treatment with a high-dose diuretic (furosemide 250 mg daily) was started combined with cortisone (40 mg methylprednisolone). The patient showed a progressive clinical benefit.Conclusions: In patients treated with gemcitabine and nab-paclitaxel who experience a sudden onset of diffuse edema with respiratory distress, capillary leak syndrome should be suspected. Immediate treatment with corticosteroids may be life-saving. © 2013 Casadei Gardini et al.; licensee BioMed Central Ltd

    Epidemiological study in an area contaminated by chromium, arsenic, mercury and boron in Tuscany region

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    The Cecina river valley, in Tuscany, is characterized by environmental chromium contamination; Cr(VI) concentrations in ground and surface waters exceeds the WHO limit for drinking water. Boron, arsenic, mercury contaminations, of natural or industrial origin,pesticides use, and waste landfilling are causes of community concern. Statistically significant mortality excesses resulted for circulatory diseases in men(Obs=1788, SMR=1.06) and women (Obs=2111, SMR=1.10), colon cancer in women (Obs=44, SMR=1.38), stomach cancer in men (Obs=42, SMR=1.43). Statistically significant hospitalization excesses resulted for respiratory diseases in men (Obs=585, SHR=1.15), chronic respiratory diseases in women (Obs=88, SHR=1.71), digestive diseases in men (Obs=766, SHR=1.13) and women (Obs=565, SHR=1.13),lynphohematopoietic diseases in women (Obs=217, SHR=1.15). The results are useful to plan advanced environmental and epidemiological studies, to open dialogue with local representatives, to promote future remediation activities and to enforce recommendations

    Relevance of CD49d protein expression as overall survival and progressive disease prognosticator in chronic lymphocytic leukemia

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    CD49d/α4-integrin is variably expressed in chronic lymphocytic leukemia (CLL). We evaluated its relevance as independent prognosticator for overall survival and time to treatment (TTT) in a series of 303 (232 for TTT) CLLs, in comparison with other biologic or clinical prognosticators (CD38, ZAP-70, immunoglobulin variable heavy chain (IGHV) gene status, cytogenetic abnormalities, soluble CD23, β2-microglobulin, Rai staging). Flow cytometric detection of CD49d was stable and reproducible, and the chosen cut-off (30% CLL cells) easily discriminated CD49dlow from CD49dhigh cases. CD49d, whose expression was strongly associated with that of CD38 (P < .001) and ZAP-70 (P < .001), or with IGHV mutations (P < .001), was independent prognosticator for overall survival along with IGHV mutational status (CD49d hazard ratio, HRCD49d = 3.52, P = .02; HRIGHV = 6.53, P < .001) or, if this parameter was omitted, with ZAP-70 (HRCD49d = 3.72, P = .002; HRZAP-70 = 3.32, P = .009). CD49d was also a prognosticator for TTT (HR = 1.74, P = .007) and refined the impact of all the other factors. Notably, a CD49dhigh phenotype, although not changing the outcome of good prognosis (ZAP-70low, mutated IGHV) CLL, was necessary to correctly prognosticate the shorter TTT of ZAP-70high (HR = 3.12; P = .023) or unmutated IGHV (HR = 2.95; P = .002) cases. These findings support the introduction of CD49d detection in routine prognostic assessment of CLL patients, and suggest both pathogenetic and therapeutic implications for CD49d expression in CLL

    Prevalence and Prognostic Role of IDH Mutations in Acute Myeloid Leukemia: Results of the GIMEMA AML1516 Protocol

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    IDH1/2 mutations are common in acute myeloid leukemia (AML) and represent a therapeutic target. The GIMEMA AML1516 observational protocol was designed to study the prevalence of IDH1/2 mutations and associations with clinico-biological parameters in a cohort of Italian AML patients. We analyzed a cohort of 284 AML consecutive patients at diagnosis, 139 females and 145 males, of a median age of 65 years (range: 19–86). Of these, 38 (14%) harbored IDH1 and 51 (18%) IDH2 mutations. IDH1/2 mutations were significantly associated with WHO PS &gt;2 (p &lt; 0.001) and non-complex karyotype (p = 0.021) when compared to IDH1/2-WT. Furthermore, patients with IDH1 mutations were more frequently NPM1-mutated (p = 0.007) and had a higher platelet count (p = 0.036). At relapse, IDH1/2 mutations were detected in 6 (25%) patients. As per the outcome, 60.5% of IDH1/2-mutated patients achieved complete remission; overall survival and event-free survival at 2 years were 44.5% and 36.1%, respectively: these rates were similar to IDH1/2-WT. In IDH1/2-mutated patients, high WBC proved to be an independent prognostic factor for survival. In conclusion, the GIMEMA AML1516 confirms that IDH1/2 mutations are frequently detected at diagnosis and underlines the importance of recognizing IDH1/2-mutated cases up-front to offer the most appropriate therapeutic strategy, given the availability of IDH1/2 inhibitors

    GWAS meta-analysis of over 29,000 people with epilepsy identifies 26 risk loci and subtype-specific genetic architecture

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    Epilepsy is a highly heritable disorder affecting over 50 million people worldwide, of which about one-third are resistant to current treatments. Here we report a multi-ancestry genome-wide association study including 29,944 cases, stratified into three broad categories and seven subtypes of epilepsy, and 52,538 controls. We identify 26 genome-wide significant loci, 19 of which are specific to genetic generalized epilepsy (GGE). We implicate 29 likely causal genes underlying these 26 loci. SNP-based heritability analyses show that common variants explain between 39.6% and 90% of genetic risk for GGE and its subtypes. Subtype analysis revealed markedly different genetic architectures between focal and generalized epilepsies. Gene-set analyses of GGE signals implicate synaptic processes in both excitatory and inhibitory neurons in the brain. Prioritized candidate genes overlap with monogenic epilepsy genes and with targets of current antiseizure medications. Finally, we leverage our results to identify alternate drugs with predicted efficacy if repurposed for epilepsy treatment

    Genome-wide identification and phenotypic characterization of seizure-associated copy number variations in 741,075 individuals

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    Copy number variants (CNV) are established risk factors for neurodevelopmental disorders with seizures or epilepsy. With the hypothesis that seizure disorders share genetic risk factors, we pooled CNV data from 10,590 individuals with seizure disorders, 16,109 individuals with clinically validated epilepsy, and 492,324 population controls and identified 25 genome-wide significant loci, 22 of which are novel for seizure disorders, such as deletions at 1p36.33, 1q44, 2p21-p16.3, 3q29, 8p23.3-p23.2, 9p24.3, 10q26.3, 15q11.2, 15q12-q13.1, 16p12.2, 17q21.31, duplications at 2q13, 9q34.3, 16p13.3, 17q12, 19p13.3, 20q13.33, and reciprocal CNVs at 16p11.2, and 22q11.21. Using genetic data from additional 248,751 individuals with 23 neuropsychiatric phenotypes, we explored the pleiotropy of these 25 loci. Finally, in a subset of individuals with epilepsy and detailed clinical data available, we performed phenome-wide association analyses between individual CNVs and clinical annotations categorized through the Human Phenotype Ontology (HPO). For six CNVs, we identified 19 significant associations with specific HPO terms and generated, for all CNVs, phenotype signatures across 17 clinical categories relevant for epileptologists. This is the most comprehensive investigation of CNVs in epilepsy and related seizure disorders, with potential implications for clinical practice
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