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Pricing the Idiosyncratic Risk in the Cost of Capital: A Comprehensive Model
Despite the mixed evidence, recent empirical works highlight the importance of idiosyncratic risk in the stock market. On this basis, this note elaborates an approach to price directly the specific risk in the cost of capital, both for scientific empirical purposes and practitionerâs investment valuation. For ex- tremely high leverage values, the cost of risky debt tends to approximate the unlevered cost of capital. Exploiting a Merton model, we show a simple solu- tion to calculate in practice every cost of capital version, providing a compre- hensive framework. A worked example is provided to simplify the concrete application
Ottimizzazione di portafogli di ETF nell' approccio di consulenza finanziaria indipendente
2008/2009Quella del consulente finanziario indipendente (Capitolo 1) è una figura professionale di elevato standing sviluppatasi a partire dagli anni â70 negli Stati Uniti, paese in cui lâattività è correntemente svolta da decine di migliaia di persone fisiche, iscritte ad associazioni di categoria, provviste di certificazioni anche di notevole spessore, come quella del Certified Financial Planner (CFP).
Tale modello di consulenza in assenza di conflitto dâinteressi è detto anche âfee-onlyâ in virtĂš del suo principale tratto distintivo, ovvero che la remunerazione del professionista avviene esclusivamente a cura del cliente-investitore e non dalle societĂ da cui sono promossi i prodotti e servizi finanziari consigliati.
Rispetto al modello tradizionale di consulenza (consulenza strumentale alla vendita di prodotti finanziari: commission only), i professionisti del settore hanno dapprima iniziato ad applicare una parcella ai propri clienti (giustificata da un servizio di piĂš ampio respiro: modello fee and commission), e successivamente a retrocedere al cliente le commissioni ricevute per il collocamento dei prodotti, secondo un maggior orientamento al cliente (modello fee offset); il modello fee only rappresenta il culmine del processo evolutivo con lâampliamento dei contenuti del servizio offerto (da consulenza a pianificazione) e lâassunzione del carattere di piena indipendenza.
Secondo lâapproccio della MiFID, direttiva europea recepita in Italia nel tardo 2007, il modello fee-only è lâunica forma di consulenza in materia di investimenti che può essere condotta da persone fisiche, con particolari requisiti e secondo determinate regole (Delibera Consob n. 17130 del 12 gennaio 2010).
Gli standard di qualitĂ (ISO, 2008) tendono a definire i requisiti minimi nellâerogazione del servizio di pianificazione personale (indipendentemente dalla forma di remunerazione percepita).
Questi approcci contribuiscono ad integrare a quelli emersi spontaneamente nella prassi (Sestina, 2000; Kapoor et al., 2004; Armellini et al., 2008) per quanto riguarda le competenze necessarie allo svolgimento dellâattivitĂ (tecniche, analitiche, relazionali) e la definizione delle fasi fondamentali del processo di pianificazione finanziaria personale, che in unâottica integrata prevede:
- Una prima fase riguardante gli aspetti preliminari e generali (illustrazione delle informazioni sul consulente e sui servizi offerti; definizione della relazione professionale);
- Unâampia fase relativa allâacquisizione delle informazioni dal cliente, alla verifica delle sue conoscenze ed esperienze in materia di investimenti, e alla definizione dei suoi obiettivi finanziari; lâanalisi della situazione economico-finanziaria del cliente va attuata anche attraverso lâutilizzo di prospetti consuntivi e prospettici adattati al contesto (Banca dâItalia, 2009; Cannari et al., 2008; ECB, 2003); la definizione degli obiettivi e della tolleranza al rischio deve tener conto degli aspetti psicologici e di finanza comportamentale (Legrenzi, 2006; Rubaltelli, 2006; Shefrin e Statman, 2000; Motterlini, 2006; 2008);
- Una terza fase relativa alla definizione tecnica del piano in unâottica integrata (combinando vari aspetti di tipo previdenziale, assicurativo e legale), che preveda anche la formulazione dei âconsigliâ al cliente e la valutazione dellâ âadeguatezzaâ degli strumenti finanziari, richiesta in particolare dalle norme di legge;
- Una quarta fase relativa allâillustrazione e allâimplementazione del piano, in cui il consulente affiancherĂ il cliente (senza, ovviamente, assumere deleghe nĂŠ detenere somme di denaro);
- Una quinta fase di monitoraggio che prevede degli obblighi di rendicontazione nei confronti dei clienti e la ricorsivitĂ dellâintero processo di pianificazione sulla base delle esigenze individuate.
Non esistono ancora per lâItalia dati ufficiali sul numero di consulenti fee only attualmente in attivitĂ , però la crescita dellâinteresse verso la professione è testimoniata dalla nascita di alcune associazioni di categoria, che contano su qualche centinaio di iscritti.
Alla luce di questi dati lâimpatto della consulenza indipendente nelle scelte di investimento delle famiglie italiane può considerarsi comunque molto limitato. Le statistiche per il 2008 (Banca dâItalia, 2009) confermano invece alcune caratteristiche tipiche del sistema finanziario italiano (Capitolo 2):
- Oltre il 17% delle attivitĂ finanziarie detenute dalle famiglie risultano costituite da investimenti non intermediati in attivitĂ produttive, in forma di capitale di rischio, mentre la quota riferita ai mercati azionari risulta vicina al 4%;
- Tra le attivitĂ a basso profilo di rischio privilegiate dai risparmiatori vi sono quelle destinate alla raccolta degli intermediari (depositi bancari e postali, obbligazioni bancarie); lâinvestimento in titoli pubblici risulta limitato rispetto al passato;
- La âcrisiâ dei fondi comuni di investimento è evidente per il fatto che le quote detenute non superano il 5% del totale delle attivitĂ finanziarie.
Nel complesso, lâesposizione delle famiglie verso le attivitĂ rischiose risulta limitata e caratterizzata da elevata rischiositĂ per effetto del modesto ricorso alla delega/diversificazione, come osservato da Barucci (2007). Tale caratteristica è confermata anche dal confronto con lâestero e si può spiegare anche attraverso la mancanza di fiducia nei mercati azionari, che può derivare sia da componenti âoggettiveâ che da altre âsoggettiveâ (basate su fattori culturali), come osservato anche da Guiso et al. (2007).
In generale, in senso dinamico, si rileva una forte influenza delle politiche di offerta delle banche, oltre che dellâandamento dei mercati e dei tassi di interesse, sulle scelte di investimento dei risparmiatori. Se il crollo dei rendimenti dei titoli di stato e lâandamento positivo nei mercati hanno certamente contribuito alla sottoscrizione di quote di fondi comuni nel periodo 1995-1999, in quelli successivi (2000-2005; 2005-2008) si nota unâevidente correlazione negativa tra queste e le riserve tecniche del ramo vita, nonchĂŠ delle obbligazioni bancarie e di altri depositi, come osservato in (Spaventa, 2008; Banca dâItalia, 2009).
Tra il 1999 ed il 2008 il peso dei fondi è sceso dal 16% a meno del 5% con una diminuzione quantificabile in oltre 300 miliardi di euro correnti, dei quali oltre la metà riferibili a flussi di riscatto secondo i dati di Assogestioni (2009).
Il deflusso di capitali dai fondi comuni può essere ricondotto ad aspetti specifici quali:
- La realizzazione di performance complessivamente negative a fronte di elevati costi di gestione (evidente anche negli studi di Barber et al., 2003; Jain e Wu, 2000; Nanda et al., 2004); nel periodo 1998-2008 lâextra-performance media dei fondi azionari italiani (indici Fideuram) è negativa di oltre 27 punti percentuali, al lordo degli effetti fiscali, rispetto ad un benchmark di azioni dellâEurozona, mentre i fondi monetari ed obbligazionari cedono circa il 10% ed il 30% rispetto ai relativi benchmark; a risultati simili giungono anche Banca dâItalia (2009), Mediobanca (2009) e Armellini et al. (2008); la media dei Total Expense Ratio oscilla inoltre tra lo 0,74% dei fondi liquiditĂ ed il 2,33% dei fondi azionari, e lâincidenza delle retrocessioni alle reti distributive sul TER è stabile nel tempo e superiore al 70%: viene dunque remunerata lâattivitĂ di vendita piĂš che quella di effettiva gestione del patrimonio;
- La concentrazione tra attivitĂ di asset management e di distribuzione, derivante dal fatto che in Italia le banche, oltre a collocare i prodotti del risparmio gestito, sono proprietarie delle SGR di riferimento: la quota di mercato attribuibile alle SGR indipendenti risulta pari a circa il 6,5% nel 2007, in diminuzione rispetto a quanto osservato tre anni prima; si tratta di un problema riconosciuto dalla stessa Assogestioni (Messori, 2008), e piĂš volte richiamato dal Governatore della Banca dâItalia (Draghi, 2007; 2008);
- Il âproblema cognitivoâ, legato al comportamento non razionale degli investitori, eventualmente non supportati da un servizio di consulenza adeguato (Gualtieri e Petrella, 2006; Spaventa, 2008; Calvet et al., 2007; Legrenzi, 2005; 2006), e che determinerebbe, a livello soggettivo, lâaccentuarsi delle performance negative a sfavore degli stessi.
Dal punto di vista della consulenza indipendente, nellâanalisi dei prodotti del risparmio gestito acquisisce notevole importanza il legame esistente tra commissioni applicate e performance netta (Cesarini e Gualtieri, 2005; Armellini et al., 2008), poichĂŠ i costi della gestione dovrebbero in larga parte remunerare il valore aggiunto conferito dagli asset manager, in una filosofia di gestione âattivaâ, ovvero che non si limiti alla mera replica di un paniere di attivitĂ finanziarie scambiate in un determinato settore/mercato di riferimento (Liera e Beltratti, 2005).
Dal momento che ciò molto spesso non avviene, stanno acquisendo sempre maggiore interesse gli Exchange Traded Funds (Capitolo 3), fondi comuni a gestione âpassivaâ che presentano costi di gestione limitati rispetto a quelli dei fondi, e che sono quotati su mercati regolamentati (Tse, 2008; Lazzara, 2003). Essi rappresentano lâevoluzione degli strumenti di portfolio trading nati alla fine degli anni â70 nellâAmerica del Nord (Gastineau, 2001). In Italia, le quote di ETF sono state ammesse alla negoziazione nel corso dellâultimo decennio, in un apposito segmento dedicato di Borsa Italiana (il segmento ETFPlus). Al novembre 2009 risultavano quotati 336 ETF per un patrimonio superiore ai 10 miliardi di euro. Gli ETF sono negoziati in larga parte da investitori al dettaglio poichĂŠ il controvalore medio dei contratti risulta vicino a ⏠25.000 (dati Borsa Italiana).
Lâofferta di ETF in Italia risulta ampia e diversificata, con il 75% degli ETF di natura azionaria, il 19% di natura obbligazionaria, e la restante parte suddivisa tra liquiditĂ ed indici di commodities. Inoltre, sono presenti anche ETF di tipo âstrutturatoâ, ovvero quelli che, in conformitĂ con la direttiva UCITS III, realizzano strategie di investimento diverse dalla semplice replica passiva di un indice (ad esempio investimento con leva, replica inversa e strategie con opzioni).
Lâinvestimento in ETF presenta sostanziali differenze rispetto a quello in fondi comuni al riguardo di una serie di aspetti, e risulta particolarmente interessante dal punto di vista della consulenza indipendente, anche perchĂŠ nel modello di business degli ETF non è previsto il collocamento diretto dei prodotti, per cui gli investitori normalmente non ricevono alcun tipo di consulenza al riguardo, al di fuori delle attivitĂ di comunicazione e di education (comunque non personalizzate) messe in atto direttamente dalle societĂ di gestione.
Il compito del consulente, nellâapproccio integrato di pianificazione personale, può essere sintetizzato nella risoluzione di un problema di ottimizzazione di portafoglio, tenuto conto delle caratteristiche del cliente soprattutto in termini di capacitĂ e di tolleranza al rischio, nonchĂŠ dellâorizzonte temporale dellâinvestimento, nel pieno rispetto del principio di âadeguatezzaâ introdotto dal legislatore.
Le fondamenta teoriche della moderna gestione di portafoglio (Capitolo 4) si devono al modello di ottimizzazione parametrica di Markowitz (1952), modello uniperiodale in cui il rendimento atteso di un portafoglio (cosÏ come di una qualunque attività ) è definito dalla media della distribuzione dei rendimenti a scadenza dello stesso, ed il rischio è misurato dalla loro varianza.
Lâevoluzione della teoria del portafoglio e i numerosi contributi provenienti dalla letteratura (non solamente dalle discipline strettamente legate alla finanza dei mercati) hanno messo tuttavia in discussione il concetto di rischio âsimmetricoâ espresso dalla varianza, che considera alla pari sia i âpericoliâ associati ad un investimento, che le âopportunitĂ â che ne derivano. Sulla base del concetto di âdownside riskâ, strettamente legato alla parte negativa di una distribuzione dei rendimenti, e di maggior intensitĂ emotiva per gli investitori come dimostrato nella teoria del prospetto di Kahnemann e Tversky (1979), si sono proposte misure di rischio specifiche, tese a catturare taluni aspetti associati, ed utilizzabili anche in problemi di ottimizzazione (Chekhlov et al., 2003; Karatzas e Shreve, 1997; Magon-Ismail et al., 2004; Pritsker, 1997; Lucas e Klaasen, 1998).
Per la verifica ex-post dellâefficienza dei portafogli attraverso lâanalisi delle serie storiche vengono inoltre utilizzati particolari indicatori, detti di risk-adjusted performance (Sharpe, 1966; Treynor, 1965; Sortino e Price, 1994; Jensen, 1969; Modigliani, 1997; Keating e Shadwick, 2002), che sintetizzano in un unico indice una misura di rendimento ed una di rischiositĂ . Tali misure sono utilizzate in particolar modo nella valutazione dei fondi comuni (Caparrelli e Camerini, 2004; CFS Rating, 2009; Lipper, 2009) ed in generale delle gestioni patrimoniali, e si differenziano lâuna dallâaltra in particolare per la misura di rischio considerata (Eling e Schuhmacher, 2007; Pedersen e Rudholm-Alfvin, 2003).
In generale, ci si aspetta che un qualunque indice di risk-adjusted performance, calcolato per qualunque coppia di portafogli distinti, assuma un valore maggiore per quello che tra i due risulta preferibile.
Il modello di Markowitz, oltre che sul concetto di rischio âsimmetricoâ, si fonda su alcune rilevanti semplificazioni del problema come quella che gli investitori non sostengono dei costi nel momento in cui essi debbono concludere le transazioni di acquisto e di vendita delle attivitĂ incluse nel portafoglio.
Nel problema specifico introdotto in questa ricerca, la presenza dei costi di transazione di vario genere (Capitolo 5) può influire negativamente sullâefficienza gestionale del portafoglio, producendo effetti indesiderati e determinando la potenziale irrazionalitĂ delle soluzioni. In particolare, allâinvestimento in ETF si devono associare i costi di negoziazione degli ordini (nella pratica spesso variabili con dei limiti minimi e massimi) e gli spread denaro/lettera (costi lineari rispetto al controvalore negoziato), che come per tutti i titoli quotati variano sia nello âspazioâ (da ETF ad ETF) che nel âtempoâ (in funzione soprattutto della volatilitĂ degli indici sottostanti).
Il problema si complica ulteriormente (Maringer, 2005) con lâintroduzione di alcuni vincoli, per esempio sulla cardinalitĂ e sulla composizione del portafoglio, tesi primariamente a riflettere le esigenze specifiche dellâinvestitore.
A questo punto lâottimizzazione del portafoglio non può essere risolta dalle tecniche tradizionali (basate ad esempio sullâMPT di Markowitz), ed è necessario ricorrere a metodi alternativi (Maringer, 2005; Scherer e Martin, 2005; Satchell e Scowcroft, 2003). Nel corso degli ultimi decenni si sono sviluppate ed hanno assunto sempre maggior rilevanza le tecniche di ottimizzazione euristica, metodi di ricerca (con scopi generali) che derivano le soluzioni ricercando iterativamente e testando le soluzioni migliorate, finchĂŠ non viene soddisfatto un determinato criterio di convergenza.
Gli algoritmi di ottimizzazione euristica si differenziano per una determinata serie di aspetti (Maringer, 2005; Silver, 2002; Winker e Gilli, 2004), ma un tratto comune frequentemente riscontrato è che essi traggono ispirazione da processi riscontrabili in natura, legati ad esempio alla fisica ed alla biologia (in particolare allâevoluzione degli esseri viventi, oppure al comportamento di gruppi di animali alla ricerca di nutrizione).
In questa tesi si è scelto di fare particolare riferimento al metodo Particle Swarm Optimization (Kennedy ed Eberhart, 1995; Hernandez et al., 2007; Brits et al., 2002), tecnica basata sulle popolazioni largamente utilizzata, che si ispira al comportamento degli stormi di uccelli o dei banchi di pesci. Questi gruppi di animali rappresentano organizzazioni sociali il cui comportamento complessivo si fonda su una sorta di comunicazione e di cooperazione tra i propri membri.
La scelta del PSO è stata effettuata anche in base al fatto che in letteratura lâapplicazione di questa tecnica ai problemi di ottimizzazione del portafoglio è limitata a pochi contributi di recente divulgazione (Fischer e Roerhl, 2005; Kendall e Su, 2005; Thomaidis et al., 2008; Cura, 2009), pur essendo stata applicata con successo ad una serie di problemi finanziari (Gao et al., 2006; Nemortaite, 2007; Nemortaite et al., 2004; 2005)
Sulla base delle considerazioni espresse finora e nellâobiettivo principale di verificare la concreta possibilitĂ di sviluppo di un metodo efficace e coerente di ottimizzazione di portafogli di ETF, specifico per lâattivitĂ di consulenza indipendente, si è proceduto (Capitolo 6) adattando un algoritmo euristico basato sul Particle Swarm (Kaucic, 2010), con lâintroduzione di:
- Vincoli di cardinalitĂ (minima e massima) del portafoglio e di peso (minimo e massimo) definiti per ciascun asset (generalizzando gli approcci di Gilli et al., 2006; Cura, 2009);
- Una soglia di downside risk definita da una misura di Value-at-Risk coerente con lâorizzonte temporale di investimento, per rappresentare i vincoli di capacitĂ ed attitudine al rischio (direttiva MiFID, UNI ISO, 2009);
- Funzione obiettivo basata sulla massimizzazione di una misura di risk-adjusted performance basata sullâExpected Shortfall (similmente a Krink e Paterlini, 2009; in parte anche a Bertelli e Linguanti, 2008);
- Considerazione di tutti i costi di transazione legati allâinvestimento in ETF (costi fissi e costi proporzionali diversi per ogni asset), adattando lâapproccio di (Maringer, 2005; Scherer e Martin, 2005).
I test si sono eseguiti con lâutilizzo di serie storiche e parametri realistici (incluse le statistiche sui bid/ask spread pubblicate da Borsa Italiana ed i TER minimi riscontrabili sul mercato) riferiti ad 89 ETF effettivamente negoziabili sul segmento di Borsa dedicato, con lâobiettivo di valutare:
- la coerenza delle soluzioni rispetto alle condizioni poste;
- lâimpatto dei costi di transazione ed il trade-off con la frequenza di revisione del portafoglio;
- la performance ex-post corretta per il rischio (in particolar modo al confronto di investimenti alternativi);
- lâapplicabilitĂ a portafogli di dimensioni ridotte e con vincoli stringenti;
- la coerenza rispetto alla soglia di rischiositĂ e allâorizzonte temporale definiti.
Nel primo test si è simulata la gestione di un portafoglio di ⏠100.000 nel periodo di tre anni tra dicembre 2006 e dicembre 2009 per un investitore con elevata propensione al rischio ed orizzonte temporale pari al termine del periodo di gestione, restringendo la cardinalità del portafoglio ad un minimo di 5 ed un massimo di 10 asset.
La strategia prevedeva una revisione mensile con progressiva riduzione sia della tolleranza al rischio che dellâorizzonte temporale dellâinvestimento. Allâapprossimarsi della âscadenzaâ dellâinvestimento lâalgoritmo di ottimizzazione, in modo coerente rispetto alle ipotesi, ha privilegiato maggiormente gli ETF di tipo obbligazionario ed ha man mano ridotto le attivitĂ di effettivo intervento (negoziazione di titoli) per via della conseguente maggiore incidenza dei costi di transazione sui rendimenti attesi.
Ciononostante, la performance ex-post della strategia è risultata non soddisfacente, primariamente a causa di un elevato expense ratio annuo (ulteriore rispetto ai TER degli ETF selezionati), superiore al 4% (oltre il 6,5% solo nel primo anno), dovuto allâelevata frequenza di revisione.
Il test è stato ricondotto una seconda volta riducendo la frequenza di revisione a trimestrale, con conseguente riduzione dellâexpense ratio di circa il 2,5% annuo. Il trade-off tra periodicitĂ di revisione e costi di transazione ha migliorato in questo caso la performance ex-post ad eccezione dei momenti di particolare âturbolenzaâ dei mercati, quando cioè i benefici della revisione del portafoglio risultano con maggiore probabilitĂ superiori ai costi che ne derivano.
Sulla base delle stesse ipotesi, nella strategia si è introdotta pertanto unâulteriore variante basata su un indice di volatilitĂ implicita, ai fini di intensificare la revisione del portafoglio nei periodi di maggior âstressâ dei mercati, riducendo nel contempo la soglia di rischio accettabile. La strategia cosĂŹ modificata si è rivelata in questo caso preferibile anche nei momenti di accentuata volatilitĂ , migliorando ulteriormente la performance a termine di quasi 6 punti percentuali.
Risultati migliori si sono riscontrati riducendo ulteriormente la frequenza di revisione programmata, mantenendo nel contempo il meccanismo di âcontrolloâ introdotto in precedenza (nel tentativo cioè di limitare gli interventi al necessario).
Per rendere inoltre comparabile la strategia proposta con altre alternative di investimento (quali ETF basati su indici globali e lâindice Fideuram della media dei fondi comuni italiani azionari) si è infine condotto nuovamente il test sulla base delle ipotesi precedenti, ad eccezione di quelle riguardanti orizzonte temporale e livello di rischio tollerato, mantenute costanti per tutto il periodo di osservazione, peraltro ampliato a 4,5 anni (giugno 2005-dicembre 2009).
Dal punto di vista della performance, il test produce un extra-rendimento netto medio annuo dellâ1% rispetto allâETF MSCI World e del 3,2% rispetto alla media dei fondi azionari. La volatilitĂ annualizzata, inoltre, risulta notevolmente inferiore a quella dellâETF azionario globale, ed inferiore, seppur di poco, a quella della media dei fondi. Gli indicatori di downside risk confermano nel complesso la mino
THE EFFECT OF FINTECH INVESTMENTS ON LISTED BANKS: EVIDENCE FROM AN ITALIAN SAMPLE
This paper analyses whether and how investments in financial technology (FinTech) affect performance, risk, and value of listed Italian banks. This paper tests the effect of return on equity (ROE) and capital asset pricing model (CAPM) Beta coefficient â and, secondly, of the price-to-book value (PBV) ratio, on a sample of 17 Italian listed banks from 2013 to 2019, representing the largest institutions operating in the Italian banking industry. The FinTech variable is declined into two different statuses: digital active banks and digital-focused banks. The study adds useful insights to the positive effects of innovation on banksâ value, in a market, like the Italian one, where investments in FinTech have spread in recent years. Controlling for other financial statements and market variables, the presence of FinTech investments does not affect the CAPM Beta coefficient, while the relationship is positive and significant with ROE for digital active banks only, and with the PBV for digital-focused banks. These results confirm a positive effect on performance for banks investing in FinTech, while greater expectations from investors and a positive effect on bank value creation are significant for digital-focused banks only
A revision of Altmanâs Z- Score for SMEs: suggestions from the Italian Bankruptcy Law and pandemic perspectives
As the pandemic urged further investigations on the prediction of firmsâ financial distress, this study develops and tests an alternative measure to the alert system elaborated by the NCCAAE which combines the benefits of the Z-scoreâs multivariate discriminant model with the background employed to develop the NCCAAEâ predictors. Using a sample of 43 viable and 43 non-viable Italian SMEs, we first compare the financial distress predictive accuracy of the NCCAAEâs alert system to that of the traditional Z-score over the period 2015-2019. On the basis of the results, we elaborate and compare the revised versions of both approaches which align the traditional Z-score to the current socio-economic conditions and provide an alternative measure to the NCCAAEâs alert system which embeds a Z-score calculated using the ratios elaborated by the NCCAAE for the alert system. The analysis of the two baseline approaches showed complementary results as the Z-score overperformed the alert system when predicting the status of non-viable firms whereas the opposite emerged as regards viable firms. The revised version of both approaches pointed out an enhanced predictive accuracy with respect to baseline models. In particular, the complementary role of the Z-score has been integrated into the new alert system as major contribute to its enhancement which pointed it out as the best measure employed. We, therefore, contribute to the literature studying the financial distress prediction developments by elaborating an alternative measure to the alert system developed by the NCCAAE which combines the benefits of the Z-scoreâs multivariate discriminant function with the background employed to develop the NCCAAEâ predictors. Our analysis enriches the post-pandemic debate on refined financial distressed prediction methods by pointing out the limits of the alert system as designed by the NCCAAE and suggests an alternative and better performing measure that may be used by third-party bodies to predict financial distress
Red Blood Cell Distribution Width Improves Reclassification of Patients Admitted to the Emergency Department with Acute Decompensated Heart Failure
Background: The usual history of chronic heart failure (HF) is characterized by frequent episodes of acute decompensation (ADHF), needing urgent management in the emergency department (ED). Since the diagnostic accuracy of routine laboratory tests remains quite limited for predicting short-term mortality in ADHF, this retrospective study investigated the potential significance of combining red blood cell distribution width (RDW) with other conventional tests for prognosticating ADHF upon ED admission. Methods: We conducted a retrospective study including visits for episodes of ADHF recorded in the ED of the Uni versity Hospital of Verona throughout a 4-year period. Demo - graphic and clinical features were recorded upon patient presentation. All patients were subjected to standard Chest X-ray, electrocardiogram (ECG) and laboratory testing in - cluding creatinine, blood urea nitrogen, B-type natriuretic peptide (BNP), complete blood cell count (CBC), sodium, chloride, potassium and RDW. The 30-day overall mortality after ED presentation was defined as primary endpoint. Results: The values of sodium, creatinine, BNP and RDW were higher in patients who died than in those who survived, whilst hypochloremia was more frequent in patients who died than in those who survived. The multivariate model, incorporating these parameters, displayed a modest efficiency for predicting 30-day mortality after ED admission (AUC, 0.701; 95% CI, 0.662-0.738; p=0.001). Notably, the inclusion of RDW in the model significantly enhanced prediction efficiency, with an AUC of 0.723 (95% CI, 0.693-0.763; p<0.001). These results were confirmed with net reclassification improvement (NRI) analysis, showing that combination of RDW with conventional laboratory tests resulted in a much better prediction performance (net reclassification index, 0.222; p=0.001). Conclusions: The results of our study show that prognostic assessment of ADHF patients in the ED can be significantly improved by combining RDW with other conventional laboratory tests
Venice and in the Veneto with Ernest Hemingway
Guide to the important places in Venice, Torcello, and the Veneto that Hemingway experienced and wrote about. Biographical commentary sums up Hemingwayâs lifelong relationship with Italy from his 1918 wounding to his final return to Venice in 1954 with frequent references to his works set in Italy. Tour itineraries include restaurants, bars, hotels, and historical attractions. Includes a brief chronology of Hemingwayâs life, glossary of Italian words, photographs, maps, and illustrations
Le recenti evoluzioni regolamentari sul credito bancario
Nel presente capitolo ci si pone lâobiettivo di analizzare le evoluzioni nor- mative che il contesto bancario ha sperimentato negli anni piu` recenti, in tema di rischio di credito e rapporto banca-impresa. Piu` precisamente verranno ap- profonditi: il Comprehensive Assessment, le linee guida sulla valutazione dei crediti deteriorati, il nuovo modello di impairment dellâIFRS 9, le misure di forbearance, la nuova definizione di default alla luce del Regolamento dele- gato (UE) n. 171/20181 e delle linee guida EBA (EBA/GL/2016/07), il Calen- dar provisioning e gli Orientamenti EBA in materia di concessione e monito- raggio dei prestiti (EBA-Gl Lom). Si provvedera` inoltre a confrontare le regole del Codice della crisi dâimpresa e dellâinsolvenza con quelle bancarie. Il per- corso delineato consente di mettere in luce come il monitoraggio e la gestione degli aspetti inerenti il merito creditizio aziendale siano importanti anche per lâimpresa stessa, tanto in unâottica storica che previsionale