26 research outputs found

    Sonetti in morte di Fiammetta (Boccaccio, «Rime» XXII [CV], LXII [CII], XC [XCIX], XCIX [CXXVI])

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    Questo saggio vuole essere un contributo alla riflessione su come commentare una collezione di rime estravaganti, come tale restituita da una tradizione disomogenea a tutti i livelli: testuale, attributivo e strutturale. Il caso prescelto è notoriamente tra i più problematici della nostra antica lirica in volgare: le Rime del Boccaccio. L’esperimento presuppone come indispensabile un’indagine filologica, cui mi sono dedicato a lungo e di cui mi accingo a presentare qui i primi frutti come anticipo dell’edizione critica di prossima pubblicazione. Boccaccio non si curò di raccogliere le sue rime e, soprattutto nella sua maturità, probabilmente neppure ne sorvegliò e promosse la circolazione, che nel complesso deve essere stata piuttosto scarsa. Sono ben pochi i manoscritti sopravvissuti con rime a lui attribuite anteriori al XVI secolo. Fra questi spicca il ms. 1100 della Biblioteca Riccardiana di Firenze degli inizi del Quattrocento con una sezione che gli assegna ventidue sonetti. La maggior parte degli altri codici del XV secolo, a cominciare dall’altro Riccardiano, il 1103, presenta numerose rime del corpus tradizionalmente individuato spesso adespote o sotto altro nome, soprattutto Petrarca. Un momento cruciale nella tradizione, sostanzialmente in negativo, è rappresentato dalla Raccolta Aragonese (1477), riprodotta in un gran numero di copie, che accoglie solo quattro suoi componimenti: nell’ordine i sonetti LXIII [X], LXII [CII], [LXXXII], XXVII [XCVI]1. Difficile dire se ciò sia dipeso dalla scarsa considerazione per l’esperienza lirica del Boccaccio da parte dei compilatori della Raccolta nel momento in cui lo consacravano come prosatore in volgare (vi avevano incluso il Trattatello e Lorenzo nel Comento celebrava la copia e l’eloquenzia del Decameron), o non piuttosto dalla ridotta disponibilità di testi, come farebbe pensare la stentata tradizione esplicita superstite. Solo nel Cinquecento si assiste a una rinascita d’interesse per il Boccaccio lirico. Il frutto più importante è rappresentato dalla Raccolta Bartoliniana, conservata presso l’Accademia della Crusca di Firenze: la nota silloge, allestita da Lorenzo Bartolini, accoglie una sezione boccaccesca di cento sonetti numerati, più uno fuori numerazione, ricavati da un codice appartenuto a Ludovico Beccadelli (un altro sonetto di corrispondenza con relativa risposta è copiato successivamente da un codice di Giovanni Brevio), oltre la metà dei quali senza altra attestazion

    «Un po’ di luce vera…»: intorno a Bertolucci, Arcangeli e Wordsworth Frammento perduto e ritrovato per una lettura de La camera da letto

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    … aria di crisi, voglia di «cambiar pelle come le bisce… ritrovando magari in fondo qualcosa di molto vecchio e fresco, fuori da questo presente che disturba tanto anche te». Così, a un anno dalla fine della guerra, in una lettera del loro lungo e affettuoso carteggio, scrive Bertolucci a un Sereni ancora stranito dalla prigionia algerina (9 aprile 1946). In tanta incertezza e confusione, «con tutto quel fiorire di poesia pseudoumanitaria», è, almeno per Bertolucci, un tempo d’incubazione e attesa, con più voglia di riflettere, e magari di tradurre, che di comporre: «Penso molto a delle cose nuove, ma quante resistenze. Del resto una crisi c’è in tutti, ma soluzioni non ne vedo… lentamente vado volgendo in versi alcuni inglesi: e questo è un lavoro utile» (16 gennaio 1946). E giacché, ad eccezione degli squisiti ma un po’  marginali Landor e Rossetti, contemporanei sono gli altri inglesi tradotti nel volume  anceschiano del ’45, Poeti antichi e moderni tradotti dai lirici nuovi, e per «Poesia»  del ’47, quel «qualcosa di molto vecchio e fresco» da cui attingere forze nuove, anche considerando che non tutto Bertolucci ha promosso nel suo distillato volumetto di Imitazioni e forse neppure edito, saranno soprattutto le bellissime traduzioni da William Wordsworth uscite in «Poesia» nel ’48.Quella di Bertolucci col padre del romanticismo inglese è una lunga consuetudine. Intorno al ’42 è impegnato alla composizione di un dramma in versi, Laodamia, di cui sopravvivono alcuni frammenti nella Capanna indiana e in Verso le sorgenti del Cinghio, che si suole considerare ispirato a un componimento omonimo di Wordsworth (ma non si dovrà trascurare il carme 68b di Catullo, a lui caro per ragioni anche sentimentali, come ricorda il cap. XXXI della Camera da letto), e lo stesso anno suggeriva un titolo wordsworthiano a una poesia dell’amico Sereni: Versi scritti in rapido all’altezza di Parma (da questi mutato, attenuando quel delizioso puntiglio documentario, in A M. L. sorvolando in rapido la sua città) con la seguente giustificazione: «e non mi si dica che il titolo è troppo preciso, se Wordsworth poneva le sue più nebbiose e romantiche sublimità sotto titoli come ‘Linee scritte a trecento metri dall’Abbazia…» (21 marzo)

    Cytocompatibility and Uptake of Halloysite Clay Nanotubes

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    Halloysite is aluminosilicate clay with hollow tubular structure of 50 nm external diameter and 15 nm diameter lumen. Halloysite biocompatibility study is important for its potential applications in polymer composites, bone implants, controlled drug delivery, and for protective coating (e.g., anticorrosion or antimolding). Halloysite nanotubes were added to different cell cultures for toxicity tests. Its fluorescence functionalization by aminopropyltriethosilane (APTES) and with fluorescently labeled polyelectrolyte layers allowed following halloysite uptake by the cells with confocal laser scanning microscopy (CLSM). Quantitative Trypan blue and MTT measurements performed with two neoplastic cell lines model systems as a function of the nanotubes concentration and incubation time indicate that halloysite exhibits a high level of biocompatibility and very low cytotoxicity, rendering it a good candidate for household materials and medicine. A combination of transmission electron microscopy (TEM), scanning electron microscopy (SEM), and scanning force microscopy (SFM) imaging techniques have been employed to elucidate the structure of halloysite nanotubes

    Biomechanical and proteomic analysis of INF- β-treated astrocytes

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    Astrocytes have a key role in the pathogenesis of several diseases including multiple sclerosis and were proposed as the designed target for immunotherapy. In this study we used atomic force microscopy (AFM) and proteomics methods to analyse and correlate the modifications induced in the viscoleastic properties of astrocytes to the changes induced in protein expression after interferon- beta (IFN-beta) treatment. Our results indicated that IFN-beta treatment resulted in a significant decrease in the Young's modulus, a measure of cell elasticity, in comparison with control cells. The molecular mechanisms that trigger these changes were investigated by 2DE (two-dimensional electrophoresis) and confocal analyses and confirmed by western blotting. Altered proteins were found to be involved in cytoskeleton organization and other important physiological processes

    Cytomechanical and topological investigation of MCF-7 cells by scanning force microscopy.

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    Despite enormous advances in breast cancer biology, there is an increased demand for new technologies/methods that are able to provide supplementary information to genomics and proteomics. Here, we exploit scanning force microscopy (SFM) in combination with confocal microscopy, to investigate the morphological and mechanical properties of two neoplastic cell lines: (i) MCF-7 (human breast cancer) and (ii) HeLa (human cervical carcinoma). Living and fixed cells either in phosphate buffer solution (PBS) or in air have been studied, and the viscoelastic properties (including the Young's modulus) of cells grown onto standard and modified (e.g. by fibronectin, one of the cellular matrix components) substrates have been measured. We observed different Young's modulus values, influenced by the adhesion and growth behaviour onto specific substrate surfaces

    Venere, Cupido e poeti d'amore = Venus, Cupid and the Poets of Love

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    Il mottetto XIII di Eugenio Montale. Offenbach e la primavera hitleriana

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    Il mottetto XIII fu pubblicato per la prima volta, insieme a Il balcone, in «Corrente» il 28 febbraio 1939 con il titolo, provvisorio in quanto già in quella sede vi era annunciato che nel libro ormai in allestimento sarebbe stato contrassegnato dal solo numero d’ordine nella serie dei testi affini, La Venezia di Hoffmann – e la mia, con la seguente nota: «Queste poesie andranno ristampate con varie altre sotto il titolo generico di Mottetti e saranno distinte solo da un numero progressivo. Il titolo d’oggi, puramente possibile e indicativo, vuol essere il riflettore di un momento, un sottinteso e magari una chiave in più offerta al lettore (se pur ce ne sia il bisogno). Il ‘subdolo’ canto della prima poesia può essere la canzone di Dappertutto, nel secondo atto dei Racconti di Hoffmann; ma il motivo della lirica non è di maniera. Dalla pura invenzione non mi riesce, purtroppo, ricavar nulla»

    Sull'incompiutezza del "Giorno"

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