41 research outputs found

    Tuberculosis Reactivation in a Patient with Chronic HBV Infection Undergoing PEG-Interferon Therapy: Case Report and Literature Review

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    Pegylated (PEG) -interferon therapy is a first-line choice to treat both chronic hepatitis B and C. Its side effects are well known and include fatigue, anaemia, weight loss, neuropsychiatric disorders, immune disregulation and white blood cells decrease. All these events could play a role in reactivation of a latent tubercular infection (LTBI), and some authors reported development of Tuberculosis (TB) during anti-HCV treatment with PEG-interferon and ribavirin. We report here the first case of TB reactivation during PEG-interferon monotherapy for HBV in a Chinese man, managed with interruption of interferon and starting of a therapy with a nucleotide analogue, in combination to anti-tubercular standard regimen, which led to a successful treatment of both diseases without significant side effects. Our report highlights the need of increasing the control of TB, by diagnosing and treating people with latent tubercular infection, that add up to one third of global population, in particular those with a high risk of reactivation

    Autoimmune neuropathy in monoclonal gammopathy

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    The relationship between polyneuropathies and monoclonal gammopathies is well known even though the pathogenetic hypotheses are controversial. The role of autoantibodies against neural antigens has been recently underlined. 45 patients (29 M and 16 F), affected by multiple myeloma (MM) non-Hodgkin lymphoma (NHL) with paraproteinemia and monoclonal gammopathies of undetermined significance (MGUS)4, underwent an EMG study including SCV, MCV and late responses of several nerves, and a search for serum antibodies against neural antigens by immunoblotting assay. 19 out of 45 pts. tested positive to EMG and 15 out of 45 (10 MM and 5 NHL) showed a serological positivity. Among them 11 were positive to EMG too. The results confirm the hypothesis of a possible pathogenetic role of high-titer autoantibodies against neural antigens in cases of polyneuropath

    INFEZIONE DA IMPIANTO DI DEFIBRILLATORE CARDIACO DA STAPHYLOCOCCUS AUREUS TRATTATA CON DAPTOMICINA

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    Si descrive il caso di una paziente di 61 anni, obesa, con comorbidità cardio-polmonare, affetta da infezione di tasca del defibrillatore impiantabile intracardiaco bi-ventricolare (ICD-BIV), causata da S. aureus meticillino sensibile (MSSA) resistente alla sola rifampicina (MIC > 32mg/mL ). Si iniziava trattamento con daptomicina (MIC=0,125) per quattro settimane al dosaggio di 4.3 mg/kg/die ev in associazione con levofloxacina (1gr/die) con graduale riduzione della raccolta sottocutanea, documentata all’esame ecografico. Il trattamento ha mostrato un'ottima tollerabilità. La paziente è stata sottoposta, in seguito, a re intervento di rimozione del device con reimpianto di nuovo ICD in sede contro laterale, con miglioramento clinico-strumentale, senza recidive di infezione. L’impiego di daptomicina, potrebbe rappresentare una nuova e promettente opzione terapeutica per il trattamento di infezioni difficili associate a dispositivi intracardiaci da S. aureus

    Primo caso di riattivazione di tubercolosi durante trattamento con interferone peghilato in paziente con epatite cronica B

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    La Tubercolosi rappresenta un emergente problema di salute pubblica associato soprattutto ai flussi migratori. Le modificazioni della risposta immune cellulo-mediata, alla base della riattivazione dell’infezione da Mycobacterium tuberculosis e dello sviluppo della Malattia Tubercolare, possono presentarsi in numerose condizioni cliniche quali infezione de HIV, neoplasie, insufficienza d’organo, terapie farmacologiche. Il trattamento attuale di HBV si avvale di due possibili approcci: analoghi nucleotidici/nucleosidici (NUC) o interferone peghilato alfa 2a. Gli effetti secondari all’impiego di interferone sono molteplici: astenia, febbre, calo ponderale, disturbi neuropsichiatrici, disordini ematopoietici, alterazioni immunologiche (in particolare, riduzione della conta di linfociti CD4 e alterazioni citochiniche). Sebbene siano stati osservati casi di riattivazione di TB durante terapia interferonica (associata a ribavirina) in corso del trattamento di HCV, non sono invece noti quelli insorti durante trattamento di HBV. Descriviamo il primo caso di TB (linfonodale) insorta durante monoterapia con interferone per epatite B, in un paziente di origine cinese affetto da cirrosi epatica. Seguendo le attuali linee guida, non e’ stato effettuato nessuno screening per la TB prima della terapia interferonica, benchè il paziente provenisse da un paese ad elevata endemia. Dopo immediata sospensione dell’inteferone, il paziente veniva trattato con analogo nucleotidico (Tenofovir Disoproxil Fumarate) in associazione con la terapia standard anti-TB, con risoluzione della linfadenite e mantenimento della soppressione di HBV-DNA, senza effetti secondari di rilievo. Anche se i meccanismi della riattivazione di TB in corso di terapia inteferonica non sono chiari, l’attenta ricerca di un’infezione tubercolare latente e l’eventuale trattamento nei pazienti provenienti da aree endemiche, potrebbe trovare una razionale indicazione

    Correlazione fra breakthrough virologico e alcol in paziente con epatite cronica C in corso di terapia con interferone e ribavirina

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    L’epatite cronica C affligge circa 170 milioni di persone nel mondo. La terapia standard è data dalla combinazione di interferone peghilato e ribavirina con dose peso-relata per 24 o 48 settimane. Presentiamo un caso di SVR al trattamento con interferone peghilato e ribavirina che ha mostrato breakthrough virologico in concomitanza di consumo alcolico. Si tratta di un uomo di 49 anni con epatite cronica C (genotipo 3a). All’anamnesi patologica remota era presente abuso alcolico (fino 8 unità alcoliche nei fine settimana) e tossicodipendenza da eroina e.v. HIV e altri virus epatitici negativi. Non essendovi controindicazioni al trattamento, si iniziava terapia di combinazione con Peg-Interferon alfa-2a 180 mcg/settimana + ribavirina con dose peso-relata di 1000 mg/die. La risposta alla terapia è stata rapida con raggiungimento di una RVR. A 24 settimane di terapia, si assisteva a ripresa della replica virale (338.000 UI/ml). Negative le sierologie per HIV, HBV, EBV, CMV e lue. Genotipo virale invariato, così come i parametri ematochimici (Hb, leucociti totali, neutrofili, piastrine). L’anamnesi rivelava la ripresa di abuso alcolico (circa 4 unità alcoliche nel corso delle 3 settimane precedenti la recidiva). Considerata la volontà del paziente a proseguire la terapia, si decideva comunque di continuare il trattamento per altre 36 settimane, con ribavirina a 1200 mg/die ed utilizzando come nuovo valore baseline la viremia alla 24 settimana. La risposta al trattamento ha documentato una EVR, seguita da SVR. La durata complessiva del trattamento è stata di 62 settimane. L’eventualità di un’ottima risposta è stata pregiudicata dal breakthrough virologico, verosimilmente conseguente all’abuso alcolico. Quest’ultimo accelera la progressione della fibrosi epatica e incide sulla risposta al trattamento mediante diversi meccanismi molecolari diretti e indiretti, a cui si somma l’incompleta aderenza alla terapia negli etilisti. Scarsi al riguardo sono i dati in letteratura su alcool e breakthrough virologico; la positività della viremia a 24 settimane costituisce un fondamento per interrompere il trattamento e riprenderlo successivamente effettuando 48 settimane, tuttavia la risposta al prolungamento della terapia è stata soddisfacente. L’effetto dell’alcool ha infine rappresentato un dato importante anche in relazione alla lenta risposta al nuovo trattamento, pur aumentando il dosaggio della ribavirina. In conclusione il caso descritto ci dimostra come il consumo di alcool rappresenti un fattore determinante nella risposta alla terapia anti-HCV. Gli scarsi dati esistenti in letteratura in tale contesto non permettono di formulare chiari schemi terapeutici per fronteggiare questa evenienza. Da indagare è rimasta l’ipotesi di varianti genomiche mutate a livello della proteina NS5A, N3/4A ed E2 (interferon sensitivity determinant region, ISDR) che regola la sensibilità del virus all’interferone, dato tuttavia attestato solo per i genotipi 1

    Detection of Chlamydophila pneumoniae in patients with arthritis: significance and diagnostic value

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    The aim of this study was to assess the potential clinical implications of Chlamydophila pneumoniae in patients with acute and chronic arthritic diseases and to investigate whether blood monocytes might reflect a concomitant synovial or persistent systemic infection. C. pneumoniae was investigated with advanced PCR and reverse transcriptase (RT) PCR techniques targeting different genes and combined with cell line cultures, in synovial fluid (SF) and peripheral blood mononuclear cell (PBMC) specimens collected from 28 patients with arthritis. Five out of twenty-eight patients (17.8%) were found to have C. pneumoniae DNA in either SF or PBMC specimens. Their diagnosis was reactive arthritis (ReA), S.A.P.H.O syndrome, psoriatic arthritis, undifferentiated oligoarthritis (UOA) and ankylosing spondylitis (AS). Specimens from patients with UOA and AS had also mRNA transcripts but those from AS yielded C. pneumoniae growth after co-culture. Moreover, C. pneumoniae DNA levels measured by Real-Time PCR (LightCycler) were higher in PBMC specimens compared to those found in SF at the end of antibiotic treatment. C. pneumoniae may have a role as triggering factor also in chronic arthritides including AS. The combined use of culture and molecular tools increases detection rates and improves the overall sensitivity, suggesting their potential use to detect C. pneumoniae. The different kinetics of bacterial DNA at both peripheral and synovial levels should be taken into consideration when monitoring and evaluating the effectiveness of antibiotic treatment
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