Correlazione fra breakthrough virologico e alcol in paziente con epatite cronica C in corso di terapia con interferone e ribavirina

Abstract

L’epatite cronica C affligge circa 170 milioni di persone nel mondo. La terapia standard è data dalla combinazione di interferone peghilato e ribavirina con dose peso-relata per 24 o 48 settimane. Presentiamo un caso di SVR al trattamento con interferone peghilato e ribavirina che ha mostrato breakthrough virologico in concomitanza di consumo alcolico. Si tratta di un uomo di 49 anni con epatite cronica C (genotipo 3a). All’anamnesi patologica remota era presente abuso alcolico (fino 8 unità alcoliche nei fine settimana) e tossicodipendenza da eroina e.v. HIV e altri virus epatitici negativi. Non essendovi controindicazioni al trattamento, si iniziava terapia di combinazione con Peg-Interferon alfa-2a 180 mcg/settimana + ribavirina con dose peso-relata di 1000 mg/die. La risposta alla terapia è stata rapida con raggiungimento di una RVR. A 24 settimane di terapia, si assisteva a ripresa della replica virale (338.000 UI/ml). Negative le sierologie per HIV, HBV, EBV, CMV e lue. Genotipo virale invariato, così come i parametri ematochimici (Hb, leucociti totali, neutrofili, piastrine). L’anamnesi rivelava la ripresa di abuso alcolico (circa 4 unità alcoliche nel corso delle 3 settimane precedenti la recidiva). Considerata la volontà del paziente a proseguire la terapia, si decideva comunque di continuare il trattamento per altre 36 settimane, con ribavirina a 1200 mg/die ed utilizzando come nuovo valore baseline la viremia alla 24 settimana. La risposta al trattamento ha documentato una EVR, seguita da SVR. La durata complessiva del trattamento è stata di 62 settimane. L’eventualità di un’ottima risposta è stata pregiudicata dal breakthrough virologico, verosimilmente conseguente all’abuso alcolico. Quest’ultimo accelera la progressione della fibrosi epatica e incide sulla risposta al trattamento mediante diversi meccanismi molecolari diretti e indiretti, a cui si somma l’incompleta aderenza alla terapia negli etilisti. Scarsi al riguardo sono i dati in letteratura su alcool e breakthrough virologico; la positività della viremia a 24 settimane costituisce un fondamento per interrompere il trattamento e riprenderlo successivamente effettuando 48 settimane, tuttavia la risposta al prolungamento della terapia è stata soddisfacente. L’effetto dell’alcool ha infine rappresentato un dato importante anche in relazione alla lenta risposta al nuovo trattamento, pur aumentando il dosaggio della ribavirina. In conclusione il caso descritto ci dimostra come il consumo di alcool rappresenti un fattore determinante nella risposta alla terapia anti-HCV. Gli scarsi dati esistenti in letteratura in tale contesto non permettono di formulare chiari schemi terapeutici per fronteggiare questa evenienza. Da indagare è rimasta l’ipotesi di varianti genomiche mutate a livello della proteina NS5A, N3/4A ed E2 (interferon sensitivity determinant region, ISDR) che regola la sensibilità del virus all’interferone, dato tuttavia attestato solo per i genotipi 1

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