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    Storia dell’eucalitticoltura in Sicilia.

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    Eucalyptus, Italia, paesaggio, rimboschimento, selvicoltura, storiaGli eucalitti vantano una lunga storia nel nostro paese; erano già presenti infatti in Campania all’inizio dell’800 nel giardino botanico annesso alla regia di Caserta e fu proprio l’Hortus Camaldulensis a dare il nome all’Eucalyptus camaldulensis una delle specie più diffuse in Italia e nel Mondo. I primi impianti in Italia vanno fatti risalire al 1869 ad opera dei monaci della “Abbazia delle Tre Fontane” a Roma. Le ragioni iniziali della diffusione degli eucalitti vanno legate alla convinzione che potessero rendere salubre l’aria e contrastare la diffusione della malaria, effetto dovuto alla capacità dell’eucalipto di prosciugare rapidamente le aree paludose riducendo e annullando la capacità dell’anofele, vettore della malaria, di moltiplicarsi. All’inizio del 900 l’eucalipto arriva in Sicilia dove viene utilizzato negli interventi di “bonifica”, nel “rinsaldamento” delle dune e lungo le linee ferroviarie. Nel dopoguerra l’eucalitticoltura si sviluppa in Italia e in Sicilia anche grazie all’attività del Centro di Sperimentazione Agricola e Forestale (Roma) fondato nel 1953 che rivolge la propria attività di ricerca principalmente all’eucalipto e al pioppo. L’espansione su vaste superfici dell’eucalipto in Sicilia è legata alla prevista utilizzazione del legname prodotto presso la cartiera di Fiumefereddo (CT), che, di fatto, non aprirà mai e agli interventi della Cassa del Mezzogiorno. Complessivamente in Sicilia alla fine del secolo scorso vengono impiantati circa 35.000 ettari di eucalitteti. Agli eucalitti è legata una imponente attività di ricerca e tutti i più importanti forestali italiani si sono misurati con essi. Oggi molti eucalitteti ritrovano un “senso” nella prevista utilizzazione come biomassa mentre in molte aree la rinaturalizzazione appare l‘unica scelta possibile. Nel frattempo che la gestione forestale avvii massicciamente questi processi ci pensa la natura ad integrare, grazie anche alla diffusione di insetti provenienti dal continente australiano, queste piante esotiche nel bioma mediterraneo.The eucalyptus trees have a long history in Italy and they were already present in Campania in the first years of 1800 in the botanical garden of Caserta (Hortus Camaldulensis). The Hortus Camaldulensis to give the name Eucalyptus camaldulensis one of the most common species in Italy and in the World. The first forest plantations in Italy go back to 1869 by the monks of the “Abbazia delle Tre Fontane” in Rome. The initial reasons for the spread of the eucalyptus trees should be related to the belief that they could make the air healthier and combat the spread of malaria. Really, the eucalyptus, due to the ability to drain the swampy areas quickly, reducing and canceling the possibilities to life of mosquito vector of malaria. At the beginning of ‘900 eucalyptus arrive in Sicily where it is used in the speeches of “reclamation”, in the dune fixation and along the railway lines. In post-war the euclapyptus spread in Italy and in Sicily thanks to the activity of the Centro di Sperimentazione Agricola e Forestale (Roma) founded in 1953 that focuses its research activities mainly on eucaliptus and poplar. The expansion of eucalyptus in Sicily is related to the intended use of the lumber produced at the mill Fiumefereddo (CT), which, in fact, will never open and the interventions of the Cassa del Mezzogiorno. Overall in Sicily at the end of the last century are implanted around 35,000 hectares of eucalyptus wood. Eucalyptus is linked to a massive research and all the most important Italian forest were measured with them. Today many eucalyptus woodfind a “meaning” in the intended use as biomass while in many areas the re-naturalization is the only choice. In the meantime, that forest management starts massively thinks these processes to integrate nature, thanks to the spread of insects from Australia, these exotic plants in the Mediterranean biome

    Le zone ornitologiche della Sicilia: un metodo per l'individuazione oggettiva di ecoregioni.

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    Gli autori presentano una zonizzazione ecologica della Sicilia costruita in maniera oggettiva su base ornitologica con i dati sulla distribuzione delle specie nidificanti raccolti nei periodi 1979-1984, 1985-1992 e 1993-2006. Le maglie quadrate 10x10 km in cui erano riportati i dati originali sono state raggruppate con una cluster analysis sulla base della somiglianza della comunità ornitica nidifican- te, utilizzando le specie indicatrici per individuare il livello ottimale di raggruppamento che caratte- rizza ciascun gruppo e, insieme alle categorie di uso del suolo, fitoclimatiche e geologiche prevalen- ti al loro interno, i caratteri ecologici principali di ciascun gruppo. Sono state individuate nel complesso sette zone ornitologiche: (1) isole circumsiciliane, (2) pianure costiere mediterranee, (3) sistemi agricoli mediterranei della vite, (4) sistemi agricoli mediterranei steppici, (5) sistemi agricoli mesomediterranei (6), montagne mesomediterranee e (7) montagne temperate. La zona (1) risulta ben caratterizzata da uccelli marini (Calonectris diomedea, Puffinus yelkouan, Hydrobates pelagicus melitensis) e specie legate a scogliere ed ambienti rocciosi (Falco eleonorae, Falco peregrinus, Monti- cola solitarius). La zona (2) è caratterizzata da specie legate ai litorali (Charadrius alexandrinus) o agli ambienti umidi (es.: Himantopus himantopus, Ixobrychus minutus, Anas platyrhynchos) e compren- de, in sostanza, ambienti prevalentemente costieri, pianeggianti e non aridi, anche coltivati (Cistico- la juncidis). Carattere decisamente agricolo hanno le zone (3), (4) e (5), con la zona (3) priva di spe- cie indicatrici e che comprende i sistemi più poveri dal punto di vista ornitologico e la zona (4) invece, che include le aree con carattere più steppico (specie indicatrici: Sturnus unicolor, Falco biar- micus, Burhinus oedicnemus). La zona (6) è quella più eterogenea, caratterizzata da moltissime spe- cie indicatrici, legate alle rupi (Neophron percnopterus, Aquila chrysaetos, Pyrrhocorax pyrrhocorax), alle aree aperte (Alauda arvensis, Lullula arborea, Anthus campestris) con alberi sparsi (Lanius sena- tor), ai boschi (Turdus viscivorus, Certhia brachydactyla); molte di queste specie sono di elevato inte- resse (es.: Milvus milvus, Milvus migrans), indicando la grande importanza conservazionistica di que- sta zona ornitologica. La zona (7) è ben caratterizzata da specie legate al bosco e a climi freschi (Phylloscopus collybita, Periparus ater, Poecile palustris siculus, Sitta europaea). In generale le zone ornitologiche mostrano una corrispondenza molto limitata con zonizzazioni su base fitoclimatica e una maggiore corrispondenza invece con le classificazioni dei sistemi di paesaggio che includono anche gli aspetti dell’azione storica dell’uomo sul territorio

    Gestire il denaro, gestire la salvezza. Tre immagini a sostegno del Monte di Piet\ue0: Marco da Montegallo, Lorenzo d'Alessandro e Vittore Crivelli

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    I francescani dell\u2019Osservanza, attraverso le prediche sulla mercatura, sull\u2019usura e sulla carit\ue0, promuovono un tipo d\u2019economia, strettamente connessa al mercato e all\u2019affidabilit\ue0 imprenditoriale del mercante, il quale deve essere in grado di far circolare fruttuosamente il denaro e poi di investire parte dei suoi introiti in opere caritatevoli o di pubblica utilit\ue0, in funzione della sua salvezza. Non di rado tali investimenti si concretizzano nella commissione di immagini, spesso esposte proprio in chiese francescane, o nel sostentamento del Monte di Piet\ue0, un\u2019istituzione bancaria, inventata e difesa dagli osservanti, che, spesso in rivalit\ue0 col banco ebraico, prestava denaro su pegno. La promozione e la legittimazione di questo istituto, che sin dalla sua nascita genera numerose dispute, \ue8 affidata non solo alle prediche, ma anche alle opere d\u2019arte. Nella Marca appenninica di fine Quattrocento sono state prodotte a tale scopo almeno tre immagini. Con la loro simile iconografia, la Figura della vita eterna, ideata dal predicatore osservante Marco da Montegallo, la Madonna del Monte di Caldarola, dipinta dal sanseverinate Lorenzo d\u2019Alessandro, e l\u2019omologa Madonna del Monte di Massa Fermana, realizzata da Vittore Crivelli, dimostrano come un contenuto moderno possa ancora esprimersi efficacemente con costrutti arcaizzanti, nel \u201ccentro\u201d geografico di una riforma spirituale ed economica ricca di conseguenza

    Langobardia minor (secoli VIII-IX). Competizione, conflittualità e potere politico

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    This thesis focuses on Lombard Southern Italy during the early middle ages and it analyses the history of political and social conflicts between the eighth and ninth century, taking into account the transformation of Lombard political power and social practices in this area. Starting from the eight-century judicial sources, this work explores political and social competition in the Beneventan region by taking into account its geographical position at the center of the Mediterranean see. Southern Italy was considered as a periphery, and sometimes as a frontier, by both the Carolingian and Byzantine empires, and endured almost a century of Muslims’ attempts to conquer the peninsula

    Lombard Southern Italy (700- 900) : competition, conflict and political power

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    This thesis focuses on Lombard Southern Italy during the early middle ages and it analyses the history of political and social conflicts between the eighth and ninth century, taking into account the transformation of Lombard political power and social practices in this area. Starting from the eight-century judicial sources, this work explores political and social competition in the Beneventan region by taking into account its geographical position at the center of the Mediterranean see. Southern Italy was considered as a periphery, and sometimes as a frontier, by both the Carolingian and Byzantine empires, and endured almost a century of Muslims’ attempts to conquer the peninsula. The first chapter focuses on the ducal period and investigates the formation and consolidation of the duke of Benevento’s political authority before 774. During the seventh and eight centuries, the dukes developed a military and political autonomy in Southern Italy. This was due to the geographical position of the Duchy of Benevento in the Lombard Kingdom: it was far from Pavia, the king’s capital city, and it was relatively isolated from other Lombard territories. Since a dynasty was established here as early as the seventh century, these dukes developed a strong and precocious political consciousness. As a result, they were particularly concerned with the formal representation of their authority, which is early attested in both coinage and diplomas. In this chapter, the analysis of the eight-century judicial records opens two important perspectives on the duke of Benevento’s practices of power. Firstly, judicial assemblies were one of the most important occasions for the duke to demonstrate and exercise his authority in a public context. In contrast to all other Lombard dukes, who rendered judgement together with a group of officers, the duke of Benevento acted alone before the competing parties. By behaving exactly as the Lombard king would in Pavia, the duke was able to utilise the judicial domain as a sort of theatre in which to practice, legitimise and represent his own public authority in front of the local aristocracy. Secondly, the analysis of seven judicial case-studies suggests that the duke was not simply the sole political authority in Benevento but also the leading social agent in the whole Lombard southern Italy. Almost all the disputes transmitted by the twelfth-century cartularies implied a ducal action, donation or decision in the past, which became the main cause for later conflicts between the members of the lay élite and the monastic foundations of the region. Consequently, the analysis of judicial conflicts reveals more about the duke of Benevento’s strategies and practices of power than about the lay and ecclesiastical élites’ competition for power. Since there are no judicial records between 774 and the last decade of the ninth century, both conflicts and representations of authority in Lombard Southern Italy are analysed through other kinds of sources for this period. Chronicles, hagiographies, diplomas, and material sources are rich in clues about political and social competition in Benevento. By contrast, the late-ninth-century judicial records transmitted by cartularies and archives are quite different from the eighth-century documents: they have a bare and simple structure, which often hides the peculiarities of the single dispute by telling only the essentials of each conflict and a concise final judgement. In contrast to the sources of the ducal period, the ninth- and tenth-century judicial records often convey a flattened image of Lombard society. Their basic structure certainly prevents a focus on the representation of authority and the practices of power in southern Italy. On the contrary, these fields of inquiry are crucial to research both competition within the Beneventan aristocracy during the ninth century, and the relationship between Lombards and Carolingian after 774. After the fall of the Lombard Kingdom in 774, Charlemagne did not complete the military conquest of the Italian peninsula: the Duchy of Benevento was left under the control of Arechis (758-787), who proclaimed himself princeps gentis Langobardorum and continued to rule mostly independently. The confrontation and competition with the Frankish empire are key to understanding both the strengthening of Lombard identity in southern Italy and the formation of a princely political authority. The second account the historiography on the Regnum Italiae, the third section of this chapter focuses precisely on the ambitions of Louis II in Southern Italy and it analyses the implication that the projection of his rulership over this area had in shaping his imperial authority. Despite Louis II’s efforts to control the Lombard principalities, his military and political experience soon revealed its limits. After the conquest of Bari in 871, Prince Adelchi imprisoned the emperor in his palace until he obtained a promise: Louis II swore not to return to Benevento anymore. Although the pope soon liberated the emperor from this oath, he never regained a political role in Southern Italy. Nevertheless, his prolonged presence in the region during the ninth century radically changed the political equilibrium of both the Lombard principalities and the Tyrrhenian duchies (i.e. Napoli, Gaeta, Amalfi). The fourth section focuses firstly on the competition between Louis II and Adelchi of Benevento, who obstinately defined his public authority in a direct competition with the Carolingian emperor. At the same time, the competition within the local aristocracy in Benevento radically changed into a small-scale struggle between the members of Adelchi’s kingroup, the Radelchids. At the same time, some local officers expanded their power and acted more and more autonomously in their district, such as in Capua. When Louis II left Benevento in 871, both the Tyrrhenian duchies and the Lombard principalities in Southern Italy were profoundly affected by a sudden change in their mutual relations and even in their inner stability. The competition for power and authority in Salerno and Capua-Benevento also changed and two different political systems were gradually established in these principalities. Despite the radical transformation of internal competition and the Byzantine conquest of a large part of Puglia and Basilicata at the end of the ninth century, the Lombard principalities remained independent until the eleventh century, when Southern Italy was finally seized by Norman invaders. // --- // RIASSUNTO: La presente tesi si occupa dell’Italia meridionale longobarda durante l’alto medioevo e analizza la storia dei conflitti politici e sociali tra l’VIII e il IX secolo tenendo in considerazione le trasformazioni del potere politico longobardo e delle pratiche sociali in quest’area. Partendo dalle fonti giudiziarie di secolo VIII, questa tesi esplora dunque la competizione politica e sociale nella regione beneventana senza prescindere dalla sua posizione al centro del Mediterraneo. L’Italia meridionale fu considerata una periferia, talvolta una vera e propria frontiera, sia dall’impero carolingio sia da quello bizantino, e resistette per oltre un secolo ai tentativi musulmani di conquistare la penisola. Il primo capitolo si occupa del periodo ducale e indaga la formazione e il consolidamento dell’autorità politica del duca di Benevento prima del 774. Durante i secoli VII e VIII, i duchi svilupparono un’ampia autonomia militare e politica in Italia meridionale. Ciò era legato alla posizione geografica di Benevento nel quadro del regno longobardo: il ducato era lontano da Pavia, la capitale del re, ed era relativamente isolato dagli altri territori longobardi. I duchi di Benevento svilupparono una forte e precoce coscienza politica, forse anche in conseguenza dello stabilirsi di una dinastia al potere già a partire dal VII secolo. Essi erano conseguentemente particolarmente interessati nella rappresentazione formale della loro autorità pubblica, che è attestata precocemente sia nella monetazione sia nei diplomi. L’analisi dei documenti giudiziari di secolo VIII apre due importanti prospettive di ricerca sulle pratiche del potere nel ducato beneventano. In primo luogo, le assemblee giudiziarie erano per il duca una delle occasioni più importanti per dimostrare e esercitare la sua autorità in un contesto pubblico. Contrariamente agli altri duchi longobardi, che vagliavano le ragioni della disputa ed emettevano un giudizio insieme a un gruppo di ufficiali, quello beneventano agiva da solo di fronte alle parti. Comportandosi allo stesso modo dei sovrani longobardi a Pavia, il duca utilizzava l’ambito giudiziario come una sorta di teatro in cui praticare, legittimare e rappresentare la sua autorità pubblica di fronte all’aristocrazia locale. In secondo luogo, l’analisi di sette casi giudiziari permette di ipotizzare che il duca non fosse solo l’unica autorità politica a Benevento, ma anche il principale agente sociale in tutto il Mezzogiorno longobardo. Tutte le dispute riguardanti il secolo VIII e trasmesse dai cartulari del secolo XII implicano infatti un’azione del duca, una donazione o una decisione nel passato che in seguito diventa causa di conflitto tra i membri dell’élite laica e le fondazioni monastiche della regione. Conseguentemente, l’analisi dei conflitti giudiziari è capace di rivelare molto di più sulle strategie e le pratiche del potere dei duchi di Benevento che sulla competizione per il potere nelle élite laiche ed ecclesiastiche della capitale e del territorio. Poiché non vi sono documenti giudiziari riguardanti il periodo che va dal 774 alla fine del secolo IX, sia la conflittualità sia la rappresentazione dell’autorità pubblica nell’Italia meridionale longobarda sono analizzate per il periodo successivo attraverso altre tipologie di fonti. La cronachistica, i testi agiografici, i diplomi principeschi e le fonti materiali sono infatti ricchissimi di elementi sulla competizione politica e sociale a Benevento. I documenti giudiziari del tardo secolo IX trasmessi dai cartulari e dagli archivi meridionali sono però molto differenti dai documenti di secolo VIII. Essi presentano una struttura semplice e formalizzata, che spesso nasconde le peculiarità della singola disputa esprimendo solo l’essenziale di ciascun conflitto insieme ad un coinciso giudizio finale. Contrariamente alle fonti del periodo ducale, i giudicati dei secoli IX e X offrono spesso solamente un’immagine appiattita della società longobarda. La loro struttura e il loro contenuto formalizzato impediscono pertanto di portare avanti un’indagine della rappresentazione dell’autorità e delle pratiche di potere longobardo in Italia meridionale. Questi temi rimangono invece centrali per una ricerca sulla competizione all’interno dell’aristocrazia beneventana durante la metà del IX secolo e sulla relazione tra Longobardi e Carolingi dopo il 774. 8 Dopo la caduta di re Desiderio nel 774, Carlo Magno non completò la conquista militare della penisola italiana: il ducato di Benevento fu lasciato al controllo di Arechi (758-787), che nello stesso anno si proclamò princeps gentis Langobardorum e continuò a regnare in Italia meridionale pressoché indipendentemente. Il confronto e la competizione con l’impero franco sono una delle chiavi per comprendere sia il rafforzamento dell’identità longobarda in Italia meridionale sia la formazione dell’autorità politica principesca. Il secondo capitolo si concentra precisamente sulla transizione dal ducato al principato di Benevento e sul conflitto con i Carolingi tra il secolo VIII e IX. Da un lato Carlo Magno utilizzò il titolo di rex Langobardorum, implicando con quest’ultimo un’autorità politica che si estendeva sull’intero regno longobardo, quindi anche su Benevento. Dall’altro lato, Arechi present sè stesso come l’erede della tradizione longobarda agendo come un vero e proprio sovrano longobardo, totalmente autonomo, in Italia meridionale. Ciononostante, le relazioni tra il principe di Benevento e il re franco rimasero ambigue fino alla sottomissione formale di Arechi nel 787. Una nuova autorità politica, quella principesca, fu plasmata tra 774 e 787 sia in continuità con la tradizione beneventana di autonomia politica sia in opposizione a quella dei sovrani carolingi. La monetazione e i diplomi insieme con l’attività edilizia ebbero un ruolo di primo piano nel dare forma e affermare questo nuovo tipo di autorità politica in Italia meridionale. La seconda e la terza sezione del capitolo si concentrano specificatamente sul progetto politico di Arechi e di suo figlio, Grimoaldo III (787-806). Le fondazioni monastiche di Santa Sofia di Benevento e San Salvatore in Alife furono al centro della strategia di distinzione messa in atto da Arechia prima e dopo il 774. La storiografia ha già da tempo individuato la somiglianza tra la fondazione regia di San Salvatore di Brescia e quella di Santa Sofia di Benevento. Tuttavia, Santa Sofia è stata identificata non solo come una fondazione familiare ma anche come il “santuario nazionale dei longobardi” in Italia meridionale. Prendendo in considerazione il progetto politico di Arechi e la rappresentazione della sua autorità pubblica, la seconda sezione del secondo capitolo si pone come obiettivo quello di riconsiderare sia la dimensione familiare e politica sia il ruolo religioso di Santa Sofia nel principato di Benevento. La stessa sezione analizza anche la ri-fondazione della città di Salerno, che ebbe un ruolo davvero rilevante nel dare forma all’autorità politica di Arechi. Dopo il 774, Salerno divenne sostanzialmente una capitale alternativa a Benevento, in cui il principe poté rappresentare il suo nuovo ruolo politico in Italia meridionale in una cornice differente. Le ricerche archeologiche relative all’area del palazzo salernitano, del quale è sopravvissuta solamente la chiesa di San Pietro a Corte, hanno rivelato alcune importanti caratteristiche della rappresentazione pubblica a Salerno: l’autorità politica di Arechi intendeva combinare la tradizione longobarda con una dimensione locale e anche con il passato classico. Inoltre, sia Arechi sia Grimoaldo III affidarono a Salerno – e non a Benevento – la propria memoria familiare decidendo di essere seppelliti nella cattedrale di questa città. Una delle più importanti opere cronachistiche del Mezzogiorno longobardo, il Chronicon Salernitanum, pone peraltro in evidenza come la città di Salerno abbia conservato fino al secolo X (e oltre) la memoria della prima dinastia principesca nonché quella della nascita del principato longobardo, integrandola come parte della propria identità cittadina. Tra i secoli VIII e IX, le due abbazie più prestigiose dell’Italia meridionale longobarda – San Benedetto di Montecassino e San Vincenzo al Volturno – si ritrovarono nella zona di frontiera con i territori ora sotto l’autorità carolingia e furono gradualmente influenzate dal nuovo quadro politico. Entrambe le fondazioni incrementarono il loro prestigio durante il periodo di instabilità che seguì la conquista franca del regno longobardo (774-787). A cavallo tra i secoli VIII e IX i monasteri di Montecassino e San Vincenzo agirono in modo ampiamente autonomo, relazionandosi sia con le autorità politiche carolingie sia con la società e le autorità longobarde. In alcuni casi ciò portò a delle tensioni e a dei conflitti aperti all’interno delle comunità monastiche, come nel caso dell’indagine a carico dell’abate Poto di San Vincenzo al Volturno. L’ultima sezione del secondo capitolo si concentra su queste due comunità monastiche e su come si rivolsero alla protezione carolingia come una delle possibilità per attraversare questo periodo di incertezza politica mantenendo un ruolo prestigioso e rilevante. La relazione con i sovrani carolingi coesistette comunque sempre con il legame con la società longobarda, che rimase una parte essenziale nella vita e nella memoria dell’abbazia. Fu però solo alla fine del secolo VIII che queste fondazioni iniziarono a ricevere un numero di donazioni davvero ragguardevole da parte 9 longobarda. Dal canto loro i sovrani franchi cercarono di diventare il punto di riferimento politico per quest’area di frontiera conferendo diplomi di conferma e immunità a entrambe le abbazie, diplomi che in Italia meridionale avevano però un ruolo prevalentemente performativo: essi creavano, rappresentavano e memorializzavano l’autorità pubblica e il prestigio di coloro che emettevano questi documenti e di coloro che li ricevevano. La relazione instaurata da Carlo Magno e dai suoi successori con questi monasteri ebbe però conseguenze sul lungo termine sull’immagine che le comunità intesero dare di sé, che gradualmente si spostò dal passato longobardo al prestigio dei sovrani carolingi, quindi dell’impero. Dopo la morte di Arechi nel 787, gli ambasciatori longobardi richiesero il ritorno a Benevento di suo figlio, Grimoaldo, che era tenuto in ostaggio alla corte carolingia. Carlo Magno impose però due condizioni a questo proposito: i Longobardi meridionali dovevano tagliarsi barba e capelli ovvero liberarsi dei loro tratti identitari, e includere il nome del re franco nella monetazione e nella datazione dei diplomi. Grimoaldo III mise in atto quest’ultima richiesta, ma dopo un breve lasso di tempo iniziò a comportarsi come un sovrano indipendente. Le campagne militari condotte dal Pipino, figlio di Carlo Magno e re d’Italia, non riuscirono a portare il principato di Benevento sotto l’autorità franca e l’interesse dei Carolingi verso l’area scemò, perlomeno temporaneamente. L’Italia meridionale poté dunque rafforzare la propria identità longobarda e portare avanti politiche autonome. Il terzo capitolo si concentra sulla competizione politica all’interno dell’aristocrazia beneventana durante la prima metà del secolo IX. Dopo l’accordo con i Carolingi dell’812, l’élite locale rafforzò la propria posizione nella capitale espandendo la propria influenza sul palatium del principe. probabilmente, i membri dell’aristocrazia beneventana non intesero mai ottenere il titolo principesco per sé, almeno non in questo periodo. Essi preferirono cercare di influenzare le scelte del principe così da ottenere uffici pubblici e rendite, che avevano l’obiettivo di confermare lo status sociale dei membri dell’élite, di mantenere e di espandere il loro potere nel cuore del principato. La prima sezione si occupa del principato di Grimoaldo IV (806-817) e sottolinea la debolezza dell’autorità pubblica di quest’ultima a fronte delle pressioni e delle ambizioni dell’aristocrazia locale. Una congiura pose fine al suo regno nell’817, ma la competizione all’interno dell’élite beneventana continuò anche durante i principati di Sicone (817-832) e Sicardo (832-839), diventando peraltro più violenta. La seconda sezione di questo capitolo ha l’obiettivo di identificare le strategie familiari e la rete di relazioni attivata da questi due principi allo scopo di rafforzare il loro potere politico su Benevento e di bilanciare le aspirazioni delle aristocrazie locali. Il legame familiare di Sicardo con uno dei più importanti gruppi parentali di Benevento, quello dei Dauferidi, creò indubbiamente un’asimmetria significativa nell’arena politica dell’Italia meridionale longobarda. il suo matrimonio con Adelchisa fu cruciale nello stabilizzare il suo potere e anche nel legittimare la sua autorità nella capitale. Il sistema di alleanze di Sicardo cambiò però radicalmente le modalità della competizione politica locale: esso impediva a tutti i membri dell’aristocrazia beneventana che non facessero parte del network familiare principesco di accedere al potere. In tal senso, le alleanze ricercate da Sicardo furono direttamente responsabili della successiva guerra civile (839-849). Non fu comunque solo la lotta di fazioni longobarda a portare alla divisione del principato di Benevento nell’849, ma anche un rinnovato interesse dei Carolingi per il Mezzogiorno, che è al centro del quarto e ultimo capitolo della tesi. La terza sezione del terzo capitolo analizza la rappresentazione dell’autorità pubblica dei Siconidi e si interessa in particolare delle strategie di distinzione messe in atto da questi due principi nella città capitale. Contrariamente alla precedente dinastia di duchi e principi, Sicone e Sicardo costruirono una relazione privilegiata con la cattedrale di Santa Maria in Episcopio, che precedentemente aveva invece un ruolo politico limitatissimo a Benevento e anche religioso. Entrambi questi principi traslarono nella cattedrale tutte le reliquie che sottrassero a Napoli e ad Amalfi durante le loro campagne militari. Inoltre, Siconde decise di essere inumato in questa chiesa, che ospitò anche le sepolture dei principi successivi fino alla fine del secolo IX. I furta sacra compiuti dai Siconidi e la relazione stabilita con Santa Maria in Episcopio produsse una trasformazione devozionale nella capitale. Conseguentemente, anche il ruolo della fondazione arechiana, Santa Sofia di Benevento, cambiò tanto che questo monastero femminile perse parte della sua funzione sociale e religiosa a Benevento. Al contrario, la cattedrale accrebbe in potere e ambizioni, iniziando a presentarsi in associazione con il potere pubblico beneventano. Un testo 10 agiografico composto nella prima metà del IX secolo, la Vita Barbati episcopi Beneventani, sembra voler esprimere e affermare precisamente questo nuovo ruolo sociale e religioso del vescovo nell’Italia meridionale longobarda. L’ultima sezione del capitolo esamina brevemente l’asc

    Effect of the silvicultural treatment on canopy properties, litter and seed production in beech coppices under conversion to high forest.

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    European beech (Fagus sylvatica L.) is widely distributed in Italy where it covers 1035103 ha, mainly concentrated in the mountainous areas at altitudes above 900 m. The major part is represented by high forest often issued from the conversion of coppice woods, which in the past was the silvicultural system most widely applied mainly to provide fire wood. The social changes occurred in the second half of the last century –fire wood market crisis and the increasing importance of environmental issues- enhanced the conversion into high forest of large areas previously managed as coppice by means of different silvicultural treatments and practices. Nevertheless, the environmental benefits of this choice were not adequately investigated. Results of annual measurements (1992-2009) made in a beech coppice stand aged 65 are here reported. The study area is located on the Alpe di Catenaia, a pre-Apennine outcrop close to Arezzo (Central Italy). Variables strictly related to stand productivity and dynamics such as annual litter and seed production, leaf area index (LAI) and transmittance (PAR) were measured in the research area of Buca Zamponi to estimate the effects of two theses, natural evolution (TEST) and conversion into high forest (DIR). Three thinnings were undertaken in the latter thesis in 1972, 1987 and 2002. Additional theses of natural evolution (CONTR) and advance seed cutting (TS) were added in 2002 in a nearby study area (Eremo della Casella). Results showed the high productivity of coppice stands, under conversion to high forest, with mean values of annual total litter, leaf litter and leaf area index of 5 Mg ha-1, 3 Mg ha-1 and 6 m2m-2, respectively. These findings confirm both the prompt response of beech to intensive thinning cycles and the reliability of undertaking coppice conversion into high forest. Furthermore, the positive trend observed in the ecological parameters and the high consistency of leaf fraction, highlight the still juvenile phase in progress in these stands. These results will be investigated further because of their significance in stands aged over 60. The applied silviculture produced positive outcomes in all the tested theses. Annual total litter, leaf area index and transmittance showed significant differences comparing DIR and TEST. The gap tends to vanish within 8-10 years after thinning occurrence. Seed cutting (TS) produced on the contrary heavy and lasting differences compared with all the theses. Leaf area index and transmittance were 1.97 m2m-2 and 24.8 % in TS vs. 4.22 m2m-2 and 7.89% in DIR. Seed cutting increased also the development of stand canopy and hastened seed production. The amount of seed production in TS was higher than in DIR representing 25% of total litter production. The DIR thesis resulted to be more appropriate for coppice conversion into high forest. Silvicultural practices hasten the conversion process and allow both ecological and economic returns throughout the conversion cycle by the repeated intermediate harvestings that amount to 250-300 m3ha-1 at the age of 60. A 15 yrs timeis recognized as the optimal interval between moderate to heavy thinnings. The complementary thesis of undertaking an advance seed cut (TS) relies more on management planning criteria than on ecologically-based issues

    GESTIONE DEL BOSCO E CONSERVAZIONE DELLA BIODIVERSITA': L'ANALISI ECOPAESISTICA APPLICATA A TERRITORI BOSCATI DELLA TOSCANA MERIDIONALE

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    This research, developed for a wooded area of Southern Toscana with both the evergreen and deciduous broadleaves woods, aims to show the consequences of coppice management on biodiversity and to suggest a methodology useful to foster biological conservation. An analysis of landscape spatial confi guration was carried out according to principles of landscape ecology and using birds as indicators, by means of already available data describing this territory. The connection between the territory and biodiversity has been analysed at different spatial scales to understand if the perception limits of wooded land and their changes, caused by implementation of forestry strategies by a forest technician can be analogous to that of birds. Scenarios were built according to different constrains applied to management to estimate the impact of different utilisation criteria on resources spatial pattern and therefore on biodiversity. These criteria were then tested in a public estate managed according to a forest management plan. The most relevant conclusions of this research can be summarised as follows: 1. at a regional level the Colline Metallifere territory is important for establishing ecological continuity. Forestry and ecological planning should always approach the territory at different scales; 2. structural heterogeneity, for this case study, affects biodiversity in an apparently contradictory way. The management criteria adopted favour bird species linked to high forest environment but are disadvantageous to species linked to open ground. Forest policy of past decades leading to reforestation of former fi elds and pastures, rural depopulation inducing the secondary succession on abandonedfarmland and longer coppice rotations resulted in a strong reduction of open areas. These are important habitats for birds, which all over the Mediterranean area are menaced; 3. growth processes cause structural changes at the stand level and therefore mosaics originated by different stand structures can be considered as “fragile”. Changes in the landscape due to these processes increase homogeneity and therefore may act on biodiversity in a negative way; 4. several limitations adopted in building the scenarios correspond to rules already adopted in standard management plans, which do not take biodiversity specifi cally into consideration; 5. empirical data on biodiversity collected in coppices, which could support or reject these hypotheses, are lacking; fi eld research is mostly needed; 6. different behaviour of various bird species in the coppice habitat show the need to adopt strict and clear concepts regarding indicator species or umbrella species and to avoid generic statements about “fauna”, “birds” or “habitat” to evaluate biodiversity
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