19 research outputs found

    Understanding Factors Associated With Psychomotor Subtypes of Delirium in Older Inpatients With Dementia

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    Specchi in attesa di eventi

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    Il quadro viene esposto su un pilastro blu, all'interno di una stanza poligonale interamente rivestita e pavimentata in specchi. Il tema della stanza come contenitore si dematerializza in una moltiplicazione infinita dell'immagine artistica che viene esaltata e "completata" attraverso un alone rappresentato dall'immaginazione trasformativa. Pertanto, il dipinto non è possibile vederlo se non attraverso l'inconsueta dimensione del suo spessore e la sua figura si trasforma in una pietra scheggiata all'infinito, quasi una calotta celeste angolosa e ubriaca di immagini. La stanza per larte diviene, quindi, come un museo del mondo perché già la nostra vista non riuscirebbe a catturare le tante forme generate dagli specchi. Tutto ciò enfatizza la ricerca di Lucio Fontana che alludeva sempre alla presenza di spazi segreti e invisibili. Il quadro si trova in una posizione espositiva mai vista sino ad ora. Una posizione incomprensibile senza il sussidio della infinita duplicazione iconica. Una posizione che attende, silenziosa, emozioni ed eventi all'interno della sua sagoma a forma di casa con una cuspide segreta

    La rivoluzione illusoria

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    Lo spazio completamente rivestito in feltro allude, all’esterno, al concetto del vestito di un contadino che ossessiona Beuys e la sua passione sciamanica nella continua ricerca della regalità insita nella condizione umana. La sua meravigliosa foto che lo ritrae con il consueto cappello di feltro nel suo individualismo democratico ne fa un vero e proprio sovrano dell’arte. Per contenere quest’opera ho voluto immaginare un percorso denso e complesso composto da una moltitudine di paraste separate che definiscono un portale ed una galleria di illusioni prospettiche che il 2020 ci consegna, inesorabili, rispetto alla ben diversa concezione tutt’altro che regale della condizione umana. Non a caso l’icona della galleria di Palazzo Spada dovuta alla magica mano di Francesco Borromini, conclusa da un cavedio leggermente ribassato, rappresenta le ambiguità di questa condizione che il teatro del barocco e le serpentine Leibeniz, avevano già amaramente delineato riferendosi alla minacciosa potenza dell’infinito e che John Hejduk aveva trattato nella fisiognomica dei suoi angeli impossibili

    Gusto!

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    Per allestire una mostra dedicata al gusto abbiamo pensato che ci piacesse disegnare un progetto allestitivo in cui ci fosse una piazza, un monumento, un battistero, una architettura tessile, insieme ad altre case. Pensavamo fosse utile costruire qualcosa di solido e resistente. Le forme più amate, enigmatiche e distorte, sono apparse disegnate da minuscole vertebre esterne a dare unità al tutto come il colore bianco che identifica la città immaginaria.To draw an exhibition on "Gusto" we’d thought it should have a plaza, a monument, a baptistery, a textile mill and other structures. We thought it would be nice to build something sturdy and solid. The most beloved shapes, enigmatic and distorted, appeared designed by tiny external vertebrae giving unity to the whole, like the color white that identifies the imaginary city

    The taste of the future

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    Come mangeremo da qui a dieci, cinquanta, o cento anni? Dovremo accontentarci di masticare pillole durante la colonizzazione di Marte o potremo gustarci una bella pizza fumante mentre esploriamo il cosmo? Produrremo raccolti in impianti idroponici o applicheremo innovazioni tecnologiche favorevoli a forme di agricoltura rigenerativa in campi all’aperto?i Assembleremo il nostro cibo, già pronto per il consumo, direttamente da materiale molecolare in macchinari domestici o dovremo ancora cucinare, magari usando ingredienti ordinati online da un frigorifero che sa cosa ci manca? Consumeremo ancora prodotti italiani o la nostra dieta sarà diventata completamente globale?How will we eat in ten, fifty or a hundred years' time? Will we have to be content with chewing pills during the colonisation of Mars, or will we be able to enjoy a nice steaming pizza while exploring the cosmos? Will we produce crops in hydroponic plants or apply technological innovations that favour regenerative forms of agriculture in open fields? i Will we assemble our food, ready for consumption, directly from molecular material in domestic machines or will we still have to cook, perhaps using ingredients ordered online by a refrigerator that knows what we are missing? Will we still consume Italian products or will our diet have become completely global

    Thalassa. Meraviglie sommerse dal Mediterraneo

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    Sulla soglia delle Colonne d’Ercole la luce è soffusa. Passare attraverso il portale della mostra Thalassa. Meraviglie sommerse dal Mediterraneo apre la visione su una popolazione di figure mistiche: isole che “si riflettono su un mare di marmo” (Cherubino Gambardella). Il Mediterraneo è il campo di esistenza della mostra. Qui il mare non è l’estensione d’acqua residuale definita dalle terre che la circondano, ma è lo Spazio generatore delle terre al suo intorno. Circa quattrocento reperti rinvenuti nelle concrezioni del Mare Nostrum popolano le basi lignee della mostra: dalla fascinosa Nereide di Posillipo al frammento del planetario attribuito ad Archimede. Undici entità, concretizzate in un corpo di legno ricomposto verniciato d’argento, sembrano rivestite con le squame di un pesce. In sei desumono la propria morfologia dalla trasposizione dello schema di costellazioni reali (Orsa minore, Carena, Vela, Poppa, Cassiopea e Orsa Maggiore). Così basi e setti si dispongono ad accogliere reperti, teche e sostegni di un sistema di illuminazione puntuale su struttura metallica aerea che riporta, in un corpo fisico, la genesi formale della costellazione. Le altre cinque entità trovano corpo in rocche dalla forma libera. Tra queste spunta quella dell’Atlante farnese: attrattrice centrale che tiene insieme tutto l’organismo espositivo e, proprio come il canto di una sirena per un marinaio, ammalia l’astante. Si tratta di un’abside poligonale rivestito da specchi che riesce a fornire, come in un caleidoscopio, più visioni dell’opera da un unico punto di vista. Epilogo del percorso quasi obbligato a “U” è una sezione multimediale, adiacente alle Colonne d’Ercole e aggrappata al portale di ingresso. Sviluppata sotto una pergola con una teoria di teli opalescenti, anfore e proiezioni è come un salto nelle acque profonde del Mediterraneo. Le undici entità instaurano una relazione fondamentale con il contesto al punto che paramenti e basi assumono accorgimenti morfologici in funzione dei dipinti, delle installazioni, degli accessi e di tutte le preesistenze della sala.Nel caso di Thalassa, proprio come in “Isolario” di Ernesto Franco, si stabilisce una dualità -un doppio vedere e scrivere- tra installazione espositiva e ambiente architettonico circostante. La mostra realizzata al MANN si chiude con un altro piccolo allestimento satellite al piano interrato, "L'arca segreta per Thalassa", che raccoglie i reperti del Porto di Napoli su una base continua a forma di relitto

    Restauro e adattamento ex Casa del Fascio di Lissone

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    La Casa del Fascio di Lissone (1938-1940) è un capolavoro di architettura narrativa e di spazi in sequenza dalla forza emozionante, basata su differenze e interstizi, sull’alternanza tra orizzontale e verticale, aperto e chiuso, senso del percorso e staticità della massa. L’edificio è nato a seguito di un concorso bandito dal Comune nella seconda metà degli anni Trenta, di cui risultarono vincitori Giuseppe Terragni e Antonio Carminati. Il progetto discende da una vastissima mole di schizzi dove l’idea di opporre una struttura orizzontale a una muta torre è un tema mai abbandonato. Lo sporto, l’ombra, la policromia, i telai di metallo, le pareti disposte a piegarsi a libro oppure a scorrere hanno fatto parte da sempre del linguaggio del maestro di Meda, testimoniando un vero disinteresse per un Modernismo teutonico improntato alla Nuova Oggettività. Nella fase di concezione del progetto, con Simona Ottieri e Dirk Cherchi, il responsabile unico del procedimento di restauro delle facciate che abbiamo portato avanti per conto del Comune, abbiamo esplorato l’edificio e siamo rimasti attoniti di fronte ai tanti segni di un’opera compiuta, poi rimaneggiata e parzialmente demolita. Non avevamo un metodo certo d’intervento, ma la costruzione risultava profondamente alterata e non tutte le modificazioni erano cancellabili, poiché molte erano dovute al lungo iter normativo di adeguamenti. Questi aggiornamenti furono necessari, sia nel corso del Novecento sia negli anni più recenti, per allineare la struttura alle complesse norme di funzionamento degli edifici pubblici. Non era inoltre facile ricostruire le azioni di modifica sovrapposte all’impianto originale. Alcune di esse furono dettate dalla necessità di adattare gli interni a spazio espositivo e sala cinematografico-teatrale a scala cittadina. L’immagine prevalente prima del nostro intervento, però, si condensava nelle forme dovute agli architetti Piero Ranzani e Lorenzo Forges Davanzati, che intervennero progettando una nuova scala e configurando un unico spazio. Con il loro intervento, scompare poi la raffinata soluzione originale a pareti rotanti. Decidemmo che forse non sarebbe neanche stato giusto concentrare la nostra azione su pochi elementi per noi fondamentali, al fine di restituire fascino e potenza all’edificio. Il ritrovamento di un montante color albicocca ha segnato poi l’inizio del singolare movimento di facciata scomparso. Dopo un interessante confronto con la Soprintendenza, abbiamo deciso di riproporre le alette del prospetto postico e, qui, abbiamo agito attraversoun sistema di setti di lastre di lamiera. Ciò ha permesso di inventare un nuovo dinamismo ispirato a quello che l’edificio originario riservava nell’alternanza tra massa e movimento nel gioco di ombre. Abbiamo immaginato questa facciata come un bassorilievo, una sorta di scenografia della memoria. Questa azione si identifica anche con una posizione culturale, una condizione necessaria a ravvivare la presenza architettonica del retro ridotto, prima del restauro, a una modestissima quinta scarnificata. Abbiamo poi restaurato la lunga persiana avvolgibile segnando, con un sottilissimo righino aggettante, il ritmo originario degli infissi. Contestualmente, abbiamo consolidato le tessere del mosaico chiaro e ripristinato la copertura della torre per evitare infiltrazioni attraverso un essenziale lucernario di vetro retinato trasparente. Lo stesso materiale è utilizzato anche per coprire l’ingresso al sacrario dove, per noi, le lettere dei morti fascisti distrutte dalla Resistenza restano come ombre plastiche. Abbiamo agito come al cospetto di un calco fossile e non abbiamo seguito un restauro filologico. Abbiamo preferito un’azione che avvicinasse l’edificio a una sua condizione verosimile, che tenesse conto di tutte le sue stratificazioni, in modo tale da dare potenza espressiva alla forma e ai colori

    Stazione della metropolitana di Scampia

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    Passare per la soglia che divide Scampia da Piscinola attraverso la stazione metropolitana di Napoli ha significato per molti anni attraversare il telaio di un cantiere interrotto ed esposto alle intemperie, ma anche un simbolo della fragilità specifica di un territorio. L'obiettivo del progetto era quello di ridare una nuova luce e dignità a questo luogo. A partire dalla lunga facciata a cui è stato istallato uno spartito di elementi metallici lineari e puntiformi, dorati e luminosi, riscrive come una scintillante notazione musicale. Lo spazio interno è concepito come una promenade tra architettura, arte e musica. La figura connettiva di tutto il percorso che guida i viaggiatori attraverso un porticato lucente all'ingresso che poi si "srotola" e frammenta lungo le scale sostenuto da alberi metallici

    La casa delle stalattiti luminose

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    In cinematografia, l’uso di un colore prevalente per la scenografia di un film è tra i vari livelli di narrazione della storia rappresentata ed è utile per enfatizzare le emozioni e le azioni dei personaggi nella scena. La prima sensazione che si ha percorrendo gli ambienti di questa piccola casa è proprio connessa al déjà vu del colore, che sembra essere il preludio delle future scene a cui gli ambienti, così allestiti, faranno da scenografia. A ciascuna stanza, dunque, è assegnato un colore che, reiterato nelle pregevoli tessere di ceramica di Vietri e negli arredi disegnati su misura, fa da fondo per dei singolari soffitti di un bianco candidissimo da cui, con regole geometriche cangianti, discendono dei tronchi di piramide a base quadrata, capovolti, come delle stereometriche stalattiti luminose. Così, il motivo definito dal sistema di illuminazione diviene il pretesto indispensabile per unificare le diversità cromatiche degli ambienti in un’unica ragione, fatta del racconto visivo costituito, a sua volta, dalla collezione di diverse sequenze prospettiche
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