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    Immunological features of patients affected by Barraquer-Simons syndrome

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    Background: C3 hypocomplementemia and the presence of C3 nephritic factor (C3NeF), an autoantibody causing complement system over-activation, are common features among most patients affected by Barraquer-Simons syndrome (BSS), an acquired form of partial lipodystrophy. Moreover, BSS is frequently associated with autoimmune diseases. However, the relationship between complement system dysregulation and BSS remains to be fully elucidated. The aim of this study was to provide a comprehensive immunological analysis of the complement system status, autoantibody signatures and HLA profile in BSS. Thirteen subjects with BSS were recruited for the study. The circulating levels of complement components, C3, C4, Factor B (FB) and Properdin (P), as well as an extended autoantibody profile including autoantibodies targeting complement components and regulators were assessed in serum. Additionally, HLA genotyping was carried out using DNA extracted from peripheral blood mononuclear cells. Results: C3, C4 and FB levels were significantly reduced in patients with BSS as compared with healthy subjects. C3NeF was the most frequently found autoantibody (69.2% of cases), followed by anti-C3 (38.5%), and anti-P and anti- FB (30.8% each). Clinical data showed high prevalence of autoimmune diseases (38.5%), the majority of patients (61.5%) being positive for at least one of the autoantibodies tested. The HLA allele DRB1*11 was present in 54% of BSS patients, and the majority of them (31%) were positive for *11:03 (vs 1.3% allelic frequency in the general population). Conclusions: Our results confirmed the association between BSS, autoimmunity and C3 hypocomplementemia. Moreover, the finding of autoantibodies targeting complement system proteins points to complement dysregulation as a central pathological event in the development of BSS.This work was supported by Instituto de Salud Carlos III (Ministerio de Ciencia, Innovación y Universidades, Gobierno de España) and Fondos FEDER (PI15–00255 to M.L-T. and PI08–1449 to D.A-V.), Complemento II-CM network (B2017/BMD3673 to M.L-T), the intramural research program of the Xunta de Galicia (Programa de Consolidación e Estructuración de Unidades de Investigación Competitivas, grant ED341b 2017/19 to D.A-V.), the Asociación Española de Familiares y Afectados de Lipodistrofias (AELIP) (to D.A-V., to F.C. and to P.N.

    Valutazione delle IgE specifiche in pazienti con manifestazioni cliniche causate da un unico parassita: l'Anisakis Simplex.

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    Negli ultimi 50 anni si è riscontrato un aumento della manifestazioni allergiche soprattutto nei paesi industrializzati. Con il termine allergia si definiscono delle risposte anormali del sistema immunitario nei confronti di una o più sostanze che normalmente non sono dannose per gli individui. Gli allergeni sono molecole in grado di produrre, nell’organismo ad esse sensibilizzato, una reazione allergica specifica IgE mediata responsabile di manifestazioni cliniche diverse. Il continuo sviluppo ed il progressivo miglioramento dello stile di vita, hanno determinato un aumento della frequenza dei rapporti fra le diverse popolazioni, causando modifiche nell’alimentazione che secondo alcuni studiosi sarebbero alla base dell’incremento di casi di infezione da Anisakis simplex. L’ Anisakis Simplex è un nematode normalmente presente come parassita intestinale in numerosi mammiferi marini ed ospite intermedio, nel suo stadio larvale, di molti pesci. Il pericolo è costituito dalla possibilità che dopo la pesca, a causa di una eviscerazione tardiva o di un infestazione massiva, i parassiti possono migrare nelle carni del pesce. Quando l’uomo si ciba di pesce crudo infetto o non completamento cotto o in salamoia, le larve possono impiantarsi nella parete dell’apparato gastrointestinale provocando, in individui predisposti, manifestazione allergiche fino a shock anafilattico. L’allergia all’Anisakis si manifesta subito dopo aver consumato il pesce contaminato o respirando allergeni diffusi nell’aria, si tratta, in questi casi, di un rischio legato agli operatori della lavorazione del pesce. Lo studio si propone di determinare la sieropositività delle IgE specifiche per l’Anisakis (p4), in pazienti che presentano sintomi quali patologie gastriche, orticaria, dispnea, angioedema, ipereosinofilia, per valutare la reale relazione fra questi sintomi e la presenza di un infestazione del parassita. Le concentrazioni sieriche di IgE specifiche sono valutate attraverso il sistema immunocap 250 (Phadia). I risultati indicano che solo il 17% dei pazienti presi in considerazione in questo studio presentano un incremento della concentrazione di IgE per p4 nonostante la sintomologia potesse suggerire la presenza di A.simplex

    STUDIO DEGLI EFFETTI BIOLOGICI DEI CAMPI ELETTROMAGNETICI ASSOCIATI ALLA RISONANZA MAGNETICA

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    Riassunto La diagnostica contemporanea si basa molto su tecniche che prevedono l’uso di radiazioni, radionuclidi,ultrasuoni e campi elettromagnetici. Contemporaneamente, l’esistenza di un possibile rischio biologico associato a queste esposizioni è spesso trascurato. La Risonanza Magnetica per Immagini (MRI), che si basa sull’utilizzo di campi elettromagnetici a radiofrequenza e campi statici per produrre immagini dettagliate del corpo umano, è un’analisi diagnostica largamente utilizzata in medicina, in particolare in cardiologia e neurologia. Esiste una vasta letteratura sugli effetti biologici dei campi elettromagnetici e la maggior parte delle ricerche sembra escludere effetti dannosi per la salute dell’uomo. Tuttavia, poiché gli effetti biologici dei campi magnetici statici, come quelli prodotti dalla MRI durante una indagine clinica, sono stati poco studiati, non può essere escluso che questi ultimi possano alterare la struttura del DNA. Per questo motivo è sembrato importante cercare di chiarire questo punto: scopo del presente lavoro di tesi è stato quello di indagare sui possibili effetti genetici indotti in vitro e in vivo da MRI. Per gli esperimenti in vitro, colture di linfociti di sangue periferico di donatori volontari sani sono state esposte a MRI per diversi tempi e a sequenze diverse, in modo da costruire curve dose-effetto. Il sangue è stato messo in coltura subito dopo trattamento con MRI e 24 h dopo il trattamento per valutare la possibile estinzione del danno. Per gli esperimenti in vivo, sono stati eseguiti prelievi di sangue sia da pazienti che da volontari sani, prima e dopo il test di MRI. In entrambi i casi la genotossicità è stata valutata mediante il test del micronucleo (MN), che rappresenta un biomarcatore di danno somatico al DNA universalmente accettato. Nelle condizioni da noi utilizzate, i dati in vitro indicano un aumento dose dipendente della frequenza di MN, ad entrambi i tempi di messa in coltura. Al tempo 24 h si osserva che l’ incremento è notevolmente inferiore rispetto al tempo 0 h e che nell’intorno della prima sequenza di scansioni (sequenze utilizzate normalmente per indagini cardiologiche), le frequenze dei MN sono tornate ai valori di controllo. Questo a suggerire che i possibili meccanismi di riparazione abbiano reso inefficace la prima dose. Anche i dati ottenuti dalle colture in vivo mostrano un incremento della frequenza dei MN dopo il test di MRI. Mediante l’utilizzo di sonde pancentromeriche, abbiamo caratterizzato molecolarmente i MN e i dati indicano un effetto clastogeno legato al test di MRI
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