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    Clinical Characteristics and Management of Children with Ureteropelvic Junction Obstruction and Severe Vesicoureteral Reflux: Preliminary Results

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    Objective: The aim of this study was to investigate the physiopathology of isolated or coexisting ureteropelvic junction obstruction (UPJ-O) and high-grade vesicoureteral reflux (VUR), including the clinical characteristics and management.Summary background data: The association between UPJ-O and VUR was reported more frequently in boys with high-grade VUR; however, the physiopathology of concomitant UPJ-O and VUR is still unknown. Primary pyeloplasty, followed by ureteral reimplantation, if needed, has been widely accepted, although VUR should be treated first (most often by endoscopic treatment) in the presence of a functional obstruction.Methods: We reviewed the charts of 78 children with isolated or coexisting high-grade VUR/UPJ-O. Among the children, 14 had isolated UPJ-O, 16 had high-grade VUR/ UPJ-O, and 48 had high-grade VUR. Children with other urological or extrarenal conditions were excluded.Results: Patients with isolated UPJ-O showed significantly different clinical characteristics compared with the other two groups of patients with high-grade VUR. Among the patients of group 2, 3/13 (23%) showed progression from functional to obstructive UPJ-O after endoscopic treatment. All of them underwent secondary pyeloplasty, which was complicated at follow-up by VUR recurrence needing further endoscopic injection.Conclusion: We suggest that UPJ-O in high-grade VUR patients is just a complication of severe VUR that produces structural changes in predisposed children. The treatment of children with associated high-grade VUR/UPJ-O may be complicated by the progression of urinary flow obstruction or VUR recurrence after pyeloplasty. Endoscopic treatment of high-grade VUR is associated with a high rate of VUR recurrence in children requiring subsequent pyeloplasty.Keywords: Children, Endoscopic Treatment, Ureteropelvic Junction Obstruction, Vesicoureteral Reflu

    Prospective Study on Several Urinary Biomarkers as Indicators of Renal Damage in Children with CAKUT

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    Purpose The aim of the study was to investigate urinary levels of monocyte chemotactic protein-1 (MCP-1), epidermal growth factor (EGF), β-2-microglobulin (β2M), and FAS-ligand (FAS-L) in children with congenital anomalies of kidney and urinary tract (CAKUT) disease at risk of developing glomerular hyperfiltration syndrome. For this reason, we selected patients with multicystic kidney, renal agenesia and renal hypodysplasia, or underwent single nephrectomy. Materials and Methods This prospective, multicentric study was conducted in collaboration between the Pediatric Surgery Unit in Foggia and the Pediatric Nephrology Unit in Bari, Italy. We enrolled 80 children with CAKUT (40 hypodysplasia, 22 agenetic; 10 multicystic; 8 nephrectomy) who underwent extensive urological and nephrological workup. Exclusion criteria were recent urinary tract infections or pyelonephritis, age > 14 years, presence of systemic disease, or hypertension. A single urine sample was collected in a noninvasive way and processed for measuring by enzyme-linked immunosorbent assay urine levels of MCP-1, EGF, β2M, and FAS-L. As control, urine samples were taken from 30 healthy children. Furthermore, we evaluated the urinary ratios uEGF/uMCP-1 (indicator of regenerative vs inflammatory response) and uEGF/uβ2M (indicator of regenerative response vs. tubular damage). Results These results suggest that urinary levels of MCP-1 are overexpressed in CAKUT patients. Furthermore, our findings clearly demonstrated that both uEGF/uMCP-1 and uEGF/uβ2M ratios were significantly downregulated in all patient groups when compared with the control group. Conclusion These findings further support that CAKUT patients may, eventually, experience progressive renal damage and poor regenerative response. The increased urinary levels of MCP-1 in all groups of CAKUT patients suggested that the main factor responsible for the above effects is chronic renal inflammation mediated by local monocytes

    Processi Stocastici ed Inferenza Statistica

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    Svuotamento centrale del collo nel trattamento delle cisti del dotto tireoglosso

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    Introduzione: Le cisti mediane del collo rappresentano una patologia disembriogenetica derivante dalla persistenza di residui del dotto tireoglosso , che nella vita fetale collega la ghiandola tiroide con il forame cieco della base linguale. Tale anomalia è presente in circa il 40% dei bambini ma si manifesta clinicamente solo in una piccola percentuale , generalmente nelle prime due decadi di vita. La tumefazione mediana del collo , le infezioni a cui è soggetta la cisti e la sua fistolizzazione cutanea rappresentano i segni principali di tale patologia che può in tal caso essere suscettibile di rimozione chirurgica. La tecnica attualmente più utilizzata per l’asportazione delle cisti del dotto tireoglosso è la tecnica di Sistrunk che , basandosi sul decorso del dotto stesso , prevede l’escissione della cisti insieme ad una porzione centrale dell’osso ioide ed un cuneo di tessuto della base lingua che include il forame cieco. Con tale tecnica la percentuale di recidiva si è ridotta al 3-5%. Diversi studi hanno dimostrato che questa tendenza a recidivare è giustificabile con il rilievo di diramazioni del dotto al di sopra e al di sotto dell’osso ioide. Per tal motivo Isaacson ha proposto nel 2001 una tecnica di svuotamento centrale del collo in cui , dopo l’elevazione di un lembo cutaneo, attraverso un attenta dissezione dei tessuti molli e delle strutture muscolari della loggia mediana del collo, estesa dalla cartilagine cricoide fino alla base lingua, veniva ad essere asportato tutto il tessuto potenzialmente contenente i residui del dotto tireoglosso e le sue diramazioni. Tale tecnica, per attestazione del suo stesso autore, è indicata nei casi di cisti o fistole mediane del collo recidivanti o complicate da un infezione recente o ricorrente. Materiale e metodo: Sono stati trattati con tecnica di svuotamento centrale del collo 6 casi di cisti del dotto tireoglosso (2 Maschi, 4 femmine; eta’ media 6,8; range 3-14 anni) presso l’ U.O. di Chirurgia Pediatrica Universitaria degli Ospedali Riuniti di Foggia. Tali cisti si presentavano in 3 casi in forma primaria (con fistola mediana suppurata in un caso e con storia di flogosi recidivanti negli altri due) . I restanti 3 casi erano invece recidive di cisti mediane già trattate con tecnica di Sistrunk. La diagnosi clinica di questi casi era stata avvalorata dall’esame ecografico. Risultati: Nessuna complicanza intraoperatoria è stata rilevata. Il controllo ecografico ad un anno non ha messo in evidenza segni di recidiva della patologia. Al controllo clinico inoltre non si sono notate alterazioni nella fonazione o nella deglutizione, né alterazioni estetiche cervicali. Conclusione: La tecnica di svuotamento centrale del collo consente di ottenere ottimi risultati nei casi di cisti del dotto tireoglosso recidivanti o gravate da flogosi recenti o ricorrenti. Il suo utilizzo nei casi primari per cisti non complicate tuttavia non è giustificata dalle basse percentuali di recidiva della tecnica di Sistrunk e dalla possibile morbidità della resezione di strutture muscolari della loggia mediana del collo, nonché dal rischio di ledere strutture nobili situate nelle strette vicinanze (carotide interna e nervo vago

    Cisti spleniche epidermoidi: case report.

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    Introduzione: In letteratura sono stati descritti solo sporadici casi (circa 800) di pazienti con cisti spleniche, prevalentemente bambini o giovani adulti. Le cisti spleniche si classificano in primarie e secondarie (spesso post-traumatiche). Le primarie sono ulteriormente suddivise in non-parassitarie e parassitarie. Le cisti parassitarie sono più frequentemente associate ad infezioni da Echinococcus Granulosus e Tenia Echinococcus e appaiono tipicamente multiloculate, diversamente da quelle non-parassitarie che tendono ad essere uniloculate. Le cisti non-parassitarie comprendono sia forme congenite che forme neoplastiche e le due principali classificazioni, quella di Fowler e quella di Martin, prendono in esame il tipo di epitelio che riveste la cavità cistica. Le cisti congenite sono generalmente epidermoidi e/o mesoteliali (90%) o dermoidi (10%) . Noi riferiamo il caso di un bambino di 8 anni affetto da cisti primaria mesoteliale sintomatica. Caso clinico: DC.F. giunge alla nostra osservazione in urgenza a causa di dolore addominale localizzato in sede ipocondriale sinistra e marcata splenomegalia con asimmetria della parete addominale. La ecografia e la TAC addome evidenziava la presenza di voluminosa cisti di origine splenica con diametro massimo di 13x12 cm, apparentemente multiloculata che sovvertiva il parenchima splenico. Nel sospetto che la lesione ipodensa potesse essere una cisti da Echinococco si eseguiva prelievo ematico per testare la reazione di Ghedini-Weber col metodo della emoagglutinazione e l’esame risultava negativo. In previsione dell’intervento chirurgico con splenectomia completa si somministravano vaccini anti Hemophilus Influenzae, Pneumococcus e Meningococco e si iniziava terapia antibiotica con Metronidazolo 300 mg x 3 /die. Il giorno antecedente l’intervento chirurgico il paziente ha iniziato terapia desensibilizzante con Bentelan ev, 2 mg x 6/die. All’esplorazione, dopo laparotomia trasversale sovra-ombelicale, si rilevava ampia neoformazione cistica plurilobata che occupava quasi interamente la milza e dislocava il colon e lo stomaco, occupando interamente l’ipocondrio sinistro. La vascolarizzazione della intera milza dipendeva dalla aa. Gastroepiploica destra con aa. Splenica completamente ipoplasica. Pertanto non è stato possibile procedere a splenectomia parziale sia per la anomala vascolarizzazione che per l’esigue massa splenica residua. Conclusioni Le cisti spleniche sono una rara patologia che spesso viene diagnosticata a causa di sintomatologia addominale da massa occupante spazio. La diagnosi differenziale deve essere posta prevalentemente con le cisti parassitarie per l’elevato rischio di shock anafilattico in seguito alla loro rottura. Sebbene oggi si tenda a preferire l’approccio laparoscopico e la conservazione parziale dell’organo, nel nostro caso ciò non è stato attuabile a causa della morfologia multiloculata delle cisti e della loro posizione intraparenchimale
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