3 research outputs found

    The RESET project: constructing a European tephra lattice for refined synchronisation of environmental and archaeological events during the last c. 100 ka

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    This paper introduces the aims and scope of the RESET project (. RESponse of humans to abrupt Environmental Transitions), a programme of research funded by the Natural Environment Research Council (UK) between 2008 and 2013; it also provides the context and rationale for papers included in a special volume of Quaternary Science Reviews that report some of the project's findings. RESET examined the chronological and correlation methods employed to establish causal links between the timing of abrupt environmental transitions (AETs) on the one hand, and of human dispersal and development on the other, with a focus on the Middle and Upper Palaeolithic periods. The period of interest is the Last Glacial cycle and the early Holocene (c. 100-8 ka), during which time a number of pronounced AETs occurred. A long-running topic of debate is the degree to which human history in Europe and the Mediterranean region during the Palaeolithic was shaped by these AETs, but this has proved difficult to assess because of poor dating control. In an attempt to move the science forward, RESET examined the potential that tephra isochrons, and in particular non-visible ash layers (cryptotephras), might offer for synchronising palaeo-records with a greater degree of finesse. New tephrostratigraphical data generated by the project augment previously-established tephra frameworks for the region, and underpin a more evolved tephra 'lattice' that links palaeo-records between Greenland, the European mainland, sub-marine sequences in the Mediterranean and North Africa. The paper also outlines the significance of other contributions to this special volume: collectively, these illustrate how the lattice was constructed, how it links with cognate tephra research in Europe and elsewhere, and how the evidence of tephra isochrons is beginning to challenge long-held views about the impacts of environmental change on humans during the Palaeolithic. © 2015 Elsevier Ltd.RESET was funded through Consortium Grants awarded by the Natural Environment Research Council, UK, to a collaborating team drawn from four institutions: Royal Holloway University of London (grant reference NE/E015905/1), the Natural History Museum, London (NE/E015913/1), Oxford University (NE/E015670/1) and the University of Southampton, including the National Oceanography Centre (NE/01531X/1). The authors also wish to record their deep gratitude to four members of the scientific community who formed a consultative advisory panel during the lifetime of the RESET project: Professor Barbara Wohlfarth (Stockholm University), Professor Jørgen Peder Steffensen (Niels Bohr Institute, Copenhagen), Dr. Martin Street (Romisch-Germanisches Zentralmuseum, Neuwied) and Professor Clive Oppenheimer (Cambridge University). They provided excellent advice at key stages of the work, which we greatly valued. We also thank Jenny Kynaston (Geography Department, Royal Holloway) for construction of several of the figures in this paper, and Debbie Barrett (Elsevier) and Colin Murray Wallace (Editor-in-Chief, QSR) for their considerable assistance in the production of this special volume.Peer Reviewe

    Per una storia dell’arte in Basilicata tra XII e XIII secolo: due casi a confronto,

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    Nel contributo si traccia un profilo dello stato degli studi sulla Basilicata medievale considerando le fonti visivo–oggettuali . In un contesto estremamente articolato, è analizzata la produzione artistica dei centri di Venosa, Lagopesole Melfi e Acerenza, luoghi per eccellenza della ‘trasmigrazione’ di idee e modelli estranei alle tradizioni locali, in funzione del nuovo corso impresso alla situazione meridionale dalla nuovissima alleanza tra la chiesa della Riforma e i dominatori normanni. Legato alla cultura di questi luoghi è Sarolo, un artista residente a Muro Lucano a capo di una bottega in cui lavora con il fratello Ruggero, con il quale rma nel 1197 il portale di Pierno vicino a San Fele – una chiesa di pellegrinaggio sorta nelle vicinanze della via Herculea – e nel 1209 uno dei due bassorilievi della cattedrale di Rapolla, raf guranti rispettivamente Adamo ed Eva e una Annunciazione Sarolo a partire dal Bertaux è stato considerato da parte della critica del Novecento – nel tentativo di definire per il periodo medievale una realtà artistica autoctona della regione – l’autore di molte opere tra cui lo stesso portale della cattedrale di Acerenza. Su questo artista e sulla sua produzione si propone una diversa lettura che analizza nel dettaglio le opere da lui firmate, i modelli culturali ed artistici, i rapporti con la committenza, il ruolo nei diversi cantieri, identificando nell’ecclettismo della sua produzione la motivazione delle numerose attribuzioni. Nella stessa rea geografica, sul versante della produzione pittorica sono presi in considerazione gli affreschi della cappella del castello di Lagopesole, sui quali, diveramente dai casi analizzati in precedenza, pochi sono gli interventi critici su queste pitture, di una qualità non particolarmente eccelsa anche a causa del pessimo stato di conservazione in cui ci sono giunti. L’interesse nei confronti di queste testimonianze nasce dall’incertezza della cronologia e dalla enigmatica presenza di un pannello votivo raffigurante un cavaliere ed una dinanzi a un grande stemma d’azzurro alla croce d’argento caricata di cinque conchiglie di San Giacomo di rosso. La cosa che colpisce di questi affreschi è la loro presenza nell’ambito di una cappella destinata a un imperatore prima, Federico II, e a un sovrano poi, ovvero Carlo I d’Angiò. Attraverso l’analisi delle fasi costruttive di questa zona del castello, del valore dello stesso pannello votivo e dello stilem delle pitture gli affreschi sono attribuiti ad una bottega certamente non degna di una committenza imperiale, ma la cui presenza ricopre un ruolo molto più importante delle capacità artistiche dei suoi pittori, dal momento che potrebbe rappresentare l’unica testimonianza certa di una fase della vita del castello fino ad ora solo ipotizzata, perché celata dalle tante trasformazioni e rimaneggiamenti avvenuti proprio a partire dagli anni Quaranta del XIII secolo

    La decorazione scultore del castello di Lagopesole

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    Il castello di Lagopesole rappresenta una delle ultime realizzazioni federiciane nel Mezzogiorno d’Italia. Oggetto di numerosi interventi critici relativi principalmente alle sue vicende costruttive, deve la sua fama anche al ricco apparato decorativo, noto per essere nel Regno tra le maggiori espressioni della cultura artistica duecentesca. Da un punto di vista quantitativo il corredo plastico del castello, consistente principalmente in mensole dal profilo rettangolare a sostegno di archi-diaframma, è notevole. Esso riflette l’ampia circolazione di modelli e/o di maestranze nel periodo svevo, variamente giudicata dagli storici dell’arte, che attribuiscono la base del rinnovamento artistico duecentesco in Italia meridionale all’inlfuenza del fresco naturalismo gotico di Parigi, passando per Sens finon a Reims e includendo le molteplici diramazioni tedesche da Gelnhausen a Bamberga e Naumburg. Si intrecciano a questa varietà di confronti le articolate e complesse relazioni con il mondo cistercense – uno dei capitoli fondamentali entro cui si è articolata la discussione relativa al Gotico italiano – individuate lungo precise direttrici tra Fossanova, Casamari e San Galgano. Infine il mondo antico, e tardoantico, che costituisce il sostrato linguistico di base per la cultura artistica federiciana, e che si alimentava della presenza in loco di manufatti spesso reimpiegati per volere dello stesso imperatore nelle residenze e nei castelli, come il frammento di sarcofago a lenós rinvenuto di recente nel cortile minore . Di tutte le opere scultoree è analizzata la storia critica, sono presi in considerazione i confronti ed i significati iconografici. Rispetto all’ampiezza dei confronti messi in campo permane nella scultura architettonica di Lagopesole, come in Castel del Monte o in Castel Maniace, un carattere di spiccata individualità spiegabile solo attraverso la coerente armonizzazione delle competenze dei singoli maestri all’interno dell’organizzazione del lavoro nei cantieri imperiali. L’analisi di queste problematiche costituisce la chiave di lettura nuova di questo contributo. La perizia e complessità delle elaborazioni stilistiche – capaci di dare forma a significati complessi – implicano il coinvolgimento attivo degli scultori come attori protagonisti delle imprese artistiche italomeridionali. Oltre alle singole personalità di magistri e protomagistri, sui quali si è da sempre focalizzato l’interesse degli storici dell’arte, è nella formula del cantiere che trova fondamento la capacità pervasiva di questo linguaggio, al punto che da più parti si considera l’elemento decorativo alla stregua di un signum imperi . La varietà del repertorio ornamentale, decodificato secondo modelli condivisi, lascia presupporre che questo comune linguaggio, trasmesso da magistri più aggiornati ad altri scalpellini, sia entrato nel ‘bagaglio professionale’ delle botteghe al soldo dell’imperatore. La scultura di Lagopesole non è spiegabile se non in questi termini. La ricchezza dei temi, esattamente come in un repertorio di modelli, costituisce un’esemplare sintesi del mondo federiciano e della sua ideologia. In modo corale e polifonico ne rappresenta il momento di massima maturità. Per tale motivo potrebbe essere stato lo stesso Manfredi – il cui ruolo nel completamento e nella ristrutturazione di alcuni impianti castellari del Regno è stato da più parti ipotizzato – a commissionare queste opere. Tra le varie sculture analizzate sono anche prese in considerazione le due celebri mensole che ancheggiano l’ingresso del mastio, di cui si propone una nuova lettura iconografica e se ne identificano le radici culturali ed artistiche nei modelli di età classica presenti nel territorio, tra cui la frammentaria testa di cavallo già nel castello ma perduta ed il sarcofago di Rapolla, risalente al II secolo
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