71 research outputs found

    I fiori di Innsbruck: Lorenzo Lippi e Pietro Andrea Mattioli

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    Grazie al riconoscimento di un’edizione del celebre erbario di Pietro Andrea Mattioli (I Discorsi…, Venezia, 1573), che Lorenzo Lippi (1606-1664) ha puntualmente riprodotto alle spalle del San Cosma conservato al Museum of Art di New Orleans, è stato possibile formulare alcune ipotesi sul significato e sulla destinazione del dipinto. In particolare, analizzando i valori simbolici delle tre piante raffigurate (elicriso, stecade citrina, amaranto), come sono stati codificati da Pierio Valeriano prima, da Cesare Ripa e Giovanni Zaratino Castellini poi, si può ragionevolmente supporre che il quadro sia stato eseguito durante il soggiorno del pittore a Innsbruck (1643-1644), e che fosse destinato a celebrare la figura e l’opera dell’Arciduchessa Claudia de’ Medici, allora regnante sul Tirolo

    Lorenzo Lippi e la "tradizione dell'ordinario"

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    Si procede al riesame dell'attività pittorica di Lorenzo Lippi (Firenze, 1606-1665) nel suo rapporto, cronologico e teorico, con quella letteraria, e in particolare con gli svolgimenti del dibattito, dentro e fuori l'Accademia della Crusca, sulla questione della lingua fiorentina. Si comprende così la sua presa di distanza dal gusto barocco, importato a Firenze da Pietro da Cortona, e il suo rifiuto di Correggio, in quanto fonte di esso. La ricerca di Lippi si concentra dunque su quei modelli del primo classicismo fiorentino che, sul finire del Cinquecento, per motivazioni diverse, erano stati riportati in auge da Santi di Tito. L'opera di Lippi, alla quale si affiancavano la pittura di Ottavio Vannini e la scultura di Antonio Novelli, si configura quindi come l'esito di un progetto di rilancio della tradizione fiorentina non come forma di arretratezza passatista, bensì come proposta di una possibile opzione moderna di stile "naturale" alternativo allo stile "magnifico" del barocco. Infine si sottolinea il ruolo della figura e degli scritti del gesuita Daniello Bartoli nella difesa di uno stile "puro, semplice e naturale"

    Berenson, Cocteau. Incontri

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    L’esame di tre lettere inedite di Jean Cocteau a Bernard Berenson consente di ricostruire il loro poco noto e controverso rapporto. Queste missive, scritte nell’estate del 1950, sono in relazione con il soggiorno a Firenze dello scrittore francese, il quale, sostanzialmente indifferente all’immagine stereotipa della città, vi fece però la folgorante scoperta della Grotta Grande del giardino di Boboli. Esse rivelano anche un’antica conoscenza tra i due corrispondenti: attraverso lo spoglio di altri documenti conservati presso Villa I Tatti, è possibile datare i loro primi incontri al 1916, avvenuti a Parigi, probabilmente tramite l’avvocato americano Walter Berry e la scrittrice Edith Wharton. Nel corso della Prima Guerra Mondiale Berenson e Cocteau ebbero frequenti contatti, che in seguito andarono diradandosi, ma senza mai interrompersi del tutto. Sebbene incompatibili per molti aspetti (sui quali si tornerà in un prossimo saggio), queste due personalità avevano tratti che li accomunavano: una straordinaria maestria nell’arte della conversazione, che per entrambi costituiva un’alternativa all’espressione ‘testocentrica’; di conseguenza, sul fronte della scrittura, una predilezione per l’aforisma; infine, l’aspirazione a incarnare una figura ideale di ‘professionista amatoriale’, riaffermando così il ruolo del gioco nell’attività intellettuale
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