166 research outputs found

    Una rete di protezione intorno a Caravaggio e a Carlo Gesualdo rei di omicidio e la storica chiesa di San Carlo Borromeo ad Avellino

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    Il saggio ricostruisce, su basi il più possibile documentarie, una probabile rete di protezione creatasi nel 1607 intorno a Caravaggio a Napoli e a Carlo Gesualdo sotto la regia occulta del cardinale Federico Borromeo (nei rapporti intercorsi specialmente tra il Cardinale Ferdinando Gonzaga, l’arcivescovo Luigi De Franchis, il cardinale Francesco Maria Del Monte e Costanza Colonna) e ricerca gli effetti di ripercussione di tale rete nella suggestiva e complessa storia della Chiesa di San Carlo Borromeo ad Avellino, quasi un simbolo della cultura borromaica e della Controriforma sancarliana ad Avellino ed in Irpinia dal XVII al XIX secolo. Tale storia, specialmente relativamente alla edificazione e alla distruzione della chiesa, per tanti versi parallela e talora simile a quella di ben più note chiese dedicate a San Carlo in Italia (a Milano e a Cave principalmente), coinvolge famiglie, non solo locali, potenti come i Colonna (in particolar modo la Principessa donna Antonia Spinola, moglie del Principe Caracciolo di Avellino), i Borromeo, i Gesualdo, gli Altavilla di Acquaviva d’Aragona, i Caracciolo, ed artisti della cerchia borromaica del Seicento come i Nuvolone, Figino, G.C. Procaccini, sfiorando lo stesso Caravaggio

    Mezzogiorno feudale: Feudi e nobiltà da Carlo di Borbone al Decennio francese

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    [Italiano]: Il volume affronta il tema della questione feudale, cruciale per la storia del Mezzogiorno, in un lungo Settecento, dal viceregno austriaco all’Ottocento preunitario. Dibattito storiografico, trattati giuridici, scritti filosofici ed economici, documenti amministrativi, norme e contestazioni: intorno alla feudalità e al ruolo del feudo nei processi di nobilitazione e di mobilità sociale è tutto un intreccio di interventi governativi, riflessioni, proteste, talora ribellioni. La questione feudale si conferma come nodo problematico delle politiche e dei dibattiti riformatori, dei progetti di sviluppo civile e economico delle Sicilie nel quadro delle trasformazioni e dei condizionamenti europei, e della stessa tradizione storiografica sul e del Mezzogiorno. Non solo ma, tutt’altro che mera invenzione polemica degli scrittori illuministi, riemerge come dimensione costitutiva dell’organizzazione sociale, politica e giuridica, anche se lontana, certo, dal rappresentare nel suo insieme la storia meridionale. Tentativi di riforma e resistenze si snodano lungo l’arco del secolo, da Carlo di Borbone e dal suo ministro Bernardo Tanucci via via fino alla legge antifeudale del 1799 e alle leggi eversive di Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat./[English]: The volume deals with the theme of the feudal question, crucial for the history of the Mezzogiorno, in a long eighteenth century, from the Austrian period to the beginning of nineteenth century. Historiographic debate, legal treaties, philosophical and economic writings, administrative documents, rules and disputes: around feudalism and the role of the feud in the processes of ennobling and social mobility there is a whole interweaving of government interventions, reflections, protests, sometimes rebellions. The feudal question is confirmed as a problematic node of reform policies, of civil and economic development projects of Sicilies in the context of European transformations, and of the historiographic tradition on and of the South. Not only that but, far from a mere polemical invention of the Enlightenment writers, it re-emerges as a constitutive dimension of the social, political and legal organization, although certainly far from representing southern history as a whole. Attempts at reform and resistance unfold throughout the century, from Charles of Bourbon and his minister Bernardo Tanucci up to the anti-feudal law of 1799 and the subversive laws of Giuseppe Bonaparte and Gioacchino Murat

    Giustizia di antico regime: il Tribunale criminale dell'Auditor Camerae (secc. XVI-XVII)

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    Questa ricerca si propone di ripercorrere le linee applicative del governo della giustizia all’interno della macchina statale pontificia nei secoli di antico regime. In particolare è stata presa in analisi la lunga parabola evolutiva della giurisdizione criminale di una magistratura ordinaria per la città di Roma e centrale (in grado di appello) per l’intero territorio statale: il Tribunale criminale dell’Auditor Camerae, autonomo dal 1485 dalla Camera apostolica, dotato di ampia autorità, civile e criminale, nei confronti di ecclesiastici e laici di curia. Le sue vaste competenze in materia camerale lo connotarono, sin dagli inizi del XVI secolo, come organo principale nell’erogazione della giustizia civile nella città tiberina; la caratteristica “bifronte” (spirituale e temporale) tipica del potere pontificio condusse inoltre il Tribunale ad estendere – in materia camerale e di inadempienza alle bolle pontificie – la propria giurisdizione “sin dove era accesso alla croce”, con la facoltà di comminare scomuniche e interdetti. L’inestricabilità di tali competenze e la complessità delle procedure in materia criminale hanno così inclinato la storiografia a lasciarne in ombra le dinamiche a favore di una più ampia considerazione dell’aspetto civile (corroborato d’altronde da una più vasta conservazione del fondo civile rispetto a quello criminale). L’indagine presente si è posta quindi l’obiettivo di portare in primo piano la procedura in criminalibus della giustizia esercitata dall’ Auditor Camerae. Nello specifico si è realizzato uno studio incrociato di due piani cronologici relativi all’evoluzione del Tribunale: da un lato si è fatto ordine nella normativa ufficiale, prendendo a riferimento un percorso plurisecolare che dal 1485 potesse abbracciarne l’intera evoluzione giuridico-istituzionale fino alla prima metà del Settecento. Le fonti utilizzate in questo contesto sono state reperite, oltre che attraverso i bullarum ufficiali, anche in diversi fondi conservati presso l’Archivio Segreto Vaticano e nelle raccolte di bandi ed editti emanati dal Tribunale; dall’altro lato, invece, ci si è voluti approcciare ad un’indagine in grado d’intrecciare tali fonti normative con quelle conservate presso il fondo del Tribunale criminale (conservato all’Archivio di Stato di Roma), allo scopo di approfondire l’analisi della struttura istituzionale - in particolare quella dei giudici della luogotenenza criminale e dei notai – e di registrarne l’inevitabile scarto rispetto a quello che fu l’effettivo esercizio della giustizia; cercando, in quest’ultimo caso, di focalizzare l’indagine in quel periodo, tra Cinque e Seicento, definibile come il vero e proprio apogeo del Tribunale. Quello che emerge, in definitiva, da questa ricerca è l’immagine di un complesso organismo giudiziario che soprattutto tra la fine del Cinquecento e gli inizi del secolo successivo – in particolare attorno agli anni della riforma paolina (1612) – si trovò a ricoprire un ruolo non secondario anche dal punto di vista della giustizia criminale e non solo nella giurisdizione romana ma nell’intero contesto territoriale dello Stato della Chiesa. Vengono così a definirsi alcuni aspetti istituzionali di un Tribunale (per il quale manca uno sguardo specifico nelle più recenti analisi storiografiche), che permettono di tracciare considerazioni più vaste sull’intero governo della giustizia nei territori della Chiesa tra XVI e XVII secolo.This research aims to review the implementing guidelines of the government of justice within the papal state machinery during the centuries of old regime. In particular it was taken into analysis the long evolutionary parable of the criminal jurisdiction of an ordinary bench for the city of Rome and of a central one for the whole territory of the State: the Criminal Court of Auditor Camerae, autonomous from 1485 from the Apostolic Camera, endowed with large civil and criminal competences on clergy and laity of the Curia. Its vast competences on Chambers connoted it, since the beginning of the 16th century, as the main organ in the provision of civil justice in Rome; both the characteristics of papal power (spiritual and temporal) led the Court to extend – in the field of Commerce and of non-compliance to the papal bulls – its jurisdiction, with the power to impose excommunications and interdicts. The impossibility to divide these skills and the complexity of the procedures in criminal matter have so inclined historiography to overshadow the dynamics in favor of a broader consideration of the civil aspect (indeed corroborated by a wider conservation of the civil fund, compared to the criminal one). Therefore the present research’s purpose is to highlight the procedure in criminalibus of Justice exerted by Auditor Camerae. Specifically, it was developed a cross-study of two chronological plans concerning the development of the Court: on the one hand, it has been made some order in the official law, with reference to a centuries-old route that from 1485 could embrace the entire legal and institutional development until the first half of the eighteenth century. The sources used in this context were found, as well as through the official bullarum, also in various funds kept in the Vatican Secret Archives and in the collections of announcements and edicts issued by the Court; on the other hand, the present research aims to approach an investigation able to weave these normative sources with those ones preserved in the fund of the criminal court (preserved in the State Archives of Rome) in order to deepen the analysis of the institutional structure - in particular that of the judges of officer of the police and notaries - and record the inevitable deviation from what was the effective exercise of justice; in the latter case, the attempt was to focus the investigation on that period, between the sixteenth and seventeenth century, defined as the real apogee of the Court. What emerges, ultimately, from this research is the image of a complex judicial organism that especially in the late sixteenth and early next century - particularly around the years of the reform of Paul V (1612) - was found to play an important role even from the criminal justice’s point of view and not just in roman jurisdiction but in the whole Papal State’s territorial context. Are so defined some institutional aspects of a Court (which has not been specifically examined by the most recent historiographical analysis), which make it possible to trace broader considerations about the entire government of justice in the territories of the Church between the sixteenth and seventeenth century

    I tribunali civili della Reverenda camera apostolica e la loro attività giudiziaria all’indomani della Restaurazione pontificia (1816-1831)

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    La ricerca prende in esame il sistema giudiziario civile della Reverenda camera apostolica negli anni della Restaurazione pontificia, sia dal punto di vista storico-istituzionale che da quello strettamente archivistico. L’ambito cronologico considerato va dal 1816 al 1831; un quindicennio nel corso del quale il settore giudiziario è al centro delle politiche riformistiche di Pio VII e di Leone XII per trovare definitiva soluzione con il pontificato di Gregorio XVI. Sono gli anni in cui, sulla base di quanto disposto dal motu proprio del 6 luglio 1816 di riforma della pubblica amministrazione e dei tribunali civili, e dal Codice di procedura civile del 22 novembre 1817, vengono istituiti e agiscono i tribunali dell’Uditore del Camerlengo, dell’Uditore del Tesoriere, della Piena camera, del Decano e Sottodecano e quello Collegiale camerale, oltre alle diverse presidenze e prefetture; magistrature che costituiscono l’apparato della giustizia civile camerale profondamente diverso rispetto all’Antico regime, durante il quale dominava il “Supremo Tribunale della Camera apostolica”

    Autorità sovrana e potere feudale nella Sicilia moderna

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    Il feudalesimo in Sicilia ha una forte caratterizzazione come istituto di diritto pubblico sulla base di esplicite concessioni che nei secoli la sovranità aveva elargito ai singoli feudatari e che nel tempo finirono con l’essere percepite come connaturate al feudo stesso. Il rapporto tra il potere sovrano e la giurisdizione feudale si rivelò piuttosto difficile e denso di contraddizioni, segnato ora da sostanziali aperture nei confronti di una aristocrazia forte, del cui consenso e della cui fedeltà la monarchia aveva bisogno, ora da fasi di riequilibrio, quando non di ridimensionamento del potere della nobiltà, nell’intento di restaurare con maggiore o minore convinzione il valore e il significato dell’autorità sovrana

    La signoria rurale nell’Italia del tardo medioevo. 4. Quadri di sintesi e nuove prospettive di ricerca

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    In late medieval Italy, the importance of lordship has often been overlooked by studies. Yet its diffusion was far from marginal: indeed, in most Italian regions it stretched over larger portions of population and territory, larger than in previous centuries. In 2017, a collective research project was undertaken to fill this gap in studies, the PRIN La signoria rurale nel XIV-XV secolo: per ripensare l'Italia tardomedievale. This volume constitutes its latest outcome. It summarises the main acquisitions achieved and provides new reflections on the many themes dealt with in the PRIN research: the economy of lordships, the forms of documentation and celebration, the relationship with cities, states and communities, the political action of the subjects, the social impact of lordship and more

    I papi e le acque. Politiche del territorio nelle paludi pontine (XVI-XVIII)

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    La tesi di dottorato, sul tema “I papi e le acque. Politiche del territorio nelle paludi pontine (XVI-XVIII secolo)”, si articola in un’introduzione e cinque capitoli. Il lavoro cerca di integrare proficuamente i risultati delle indagini archivistiche con la bibliografia esistente, nel tentativo di apportare un contributo innovativo e di rivedere le interpretazione tradizionali. Senza trascurare l’apporto che la cartografia può dare, contributo fondamentale allo studio di questo argomento. La ricerca parte dalla volontà di ricostruire i tentativi di bonifica delle paludi pontine nel lungo periodo, tra fine Cinquecento e primi del Settecento. Tuttavia, dallo studio della storiografia più recente (anche straniera) e dall’analisi della documentazione archivistica, è emerso sempre più chiaramente come lo studio non potesse limitarsi a ripercorrere le varie, e sfortunate, imprese di alcuni bonificatori ma che dovesse concentrarsi sullo studio del territorio e, soprattutto, sul rapporto del potere centrale con quel territorio periferico, indagando il sistema di relazioni che legavano i suoi abitanti, i conflitti tra comunità, feudatari, proprietari e potere pontificio. Nel capitolo introduttivo, ripercorrendo le posizioni della storiografia in materia, si affronta in particolare il problema della vulgata della bonifica: il peso, cioè, che alcune analisi di parte hanno poi avuto sulle successive ricostruzioni storiche (si pensi alla storiografia fascista che ha tramandato la storia delle paludi come un’epifania di tentativi, in cui gli unici ad avere successo sono i grandi “cesari”: Giulio Cesare, Sisto V e Napoleone, proprio come Mussolini). Da cui nasce – da sollecitazioni molteplici - la volontà di indagare invece anche gli insuccessi, i tentativi falliti. Infine, ho scelto di confrontare il caso laziale con esempi analoghi in Inghilterra e Francia. Nel I capitolo si ripercorrono quindi le principali vicende che caratterizzarono la storia politica delle comunità pontine, cercando di evidenziare i tratti distintivi delle istituzioni amministrative, con particolare riguardo alle magistrature sulle acque. Ho poi analizzato l’apparato amministrativo centrale, concentrandomi sulle congregazioni deputate alla gestione delle paludi, su chi ne facesse parte, che formazione avesse e quale ruolo ricoprisse nell’apparato burocratico pontificio. Inoltre ho cercato di sottolineare la costante collaborazione tra i funzionari ecclesiastici e i “tecnici” competenti: architetti, periti e ingegneri metteranno costantemente al servizio delle autorità i propri saperi (II capitolo). Negli ultimi tre capitoli, ho cercato di ricostruire con documenti archivistici inediti e una puntigliosa analisi della cartografia, i molteplici tentativi di drenaggio della piana pontina tra Cinquecento e Settecento. Nel corso di questi due secoli, i pontefici romani furono impegnati in un vasto tentativo di bonifica delle terre intorno alla città di Roma, in particolare delle paludi pontine, e di valorizzazione delle risorse idriche presenti nella campagna circostante (capitoli III, IV,V). Infine, nelle conclusioni traccio un bilancio dell’intera ricerca. È chiaro, al termine di questa indagine, come comportamenti e strategie delle comunità non siano riducibili a logiche di ordine economico. La loro “dimensione economica” aveva un’accezione ben più ampia rispetto alla nostra, che includeva componenti di diverso genere. Si trattava, per le comunità, di difendere quello spazio territoriale nel quale potevano determinare in maniera autonoma le proprie attività produttive e, in ultima analisi, le proprie esistenze. Nel volere mantenere le condizioni naturali di impaludamento non va riconosciuta una vocazione ecologica ante litteram quanto piuttosto la volontà di non modificare, non «innovare cosa alcuna» sul proprio territorio. Anche gli interventi del potere statale si profilavano come elementi perturbatori, che avrebbero azzerato le economie locali, dipendenti dalle risorse umide. Nonostante i modi di considerare la palude appaiano antitetici, entrambi i punti di vista – centrale e locale - non rivelano preoccupazioni di ordine “ecologico”, quanto piuttosto una lotta per l’appropriazione o il mantenimento di risorse e territori. Allorché i bonificatori delle paludi pontine, e le istituzioni pontificie, hanno continuato a mantenere attive le peschiere, incompatibili con la bonifica, ma fonte sicura e costante di ottimi rendimenti, emerge chiaramente il ruolo di una razionalità economica che non possiamo valutare con i parametri della nostra. Essa è stata definita «economia morale», per designare un atteggiamento produttivo dei ceti popolari che resisteva alla razionalità capitalistica delle origini. Una indicazione fertile per una migliore comprensione del nostro passato. Nel nostro caso si potrebbe parlare di una “razionalità economica opportunistica” nel rapporto tra le popolazioni e l’habitat naturale. A quel livello di fragile dominio tecnico dell’uomo sulla natura, quel tipo di economia non costituiva un fallimento, al contrario rappresentava la pratica di una sapienza economica, in grado di produrre beni, far crescere la popolazione locale, alimentare le finanze pontificie anche quando i progetti di una superiore valorizzazione produttiva non avevano successo

    Studi storici dedicati a Orazio Cancila

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    Non accade sempre, e non è neppure necessario, che le raccolte di studi in onore di personalità del mondo degli studi trattino temi relativi o affini a quelli coltivati dalla personalità celebrata. Se, però, accade, si può certamente parlare di una felice circostanza o coincidenza, ma può accadere anche che tale circostanza o coincidenza sia significativa di qualcosa d’altro. E, ad esempio, può essere significativa del fatto che la personalità destinataria della raccolta si è posta o si è trovata al centro di sviluppi della storiografia contemporanea importanti anche perché rispondono a interessi diffusi negli studi e nella cultura del suo tempo. Della raccolta di studi per Orazio Cancila si può dire – credo – che ci si trova senz’altro in quest’ultimo caso, e, ciò, anche quando la formulazione letterale dei temi dei singoli contributi alla raccolta non sembra autorizzare una tale constatazione. ... È un bel panorama, ed è singolarmente conforme alla serie degli ampii e varii interessi storici di Cancila. (Dall'introduzione di Giuseppe Galasso

    Dal Principe al Re. Lo "stato" di Caserta da feudo a Villa Reale (secc. XVI-XVIII)

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    Il libro affronta la ricostruzione della parabola moderna dell’area casertana, ponendosi alla convergenza di più percorsi storiografici: l’analisi del feudalesimo post-medievale nell’Europa mediterranea; lo studio della grande nobiltà del Regno di Napoli; l’indagine sulle città e, in particolare, sui centri urbani del Mezzogiorno d’Italia. L’area casertana nei secoli centrali dell’età moderna si presenta come un valido osservatorio per l’analisi di fenomeni e dinamiche specifici del territorio, ma anche ascrivibili ad un universo giuridico-amministrativo e sociale comune all’intera area mediterranea. Le vicende plurisecolari di Caserta tra Medioevo ed Età contemporanea rivelano un vistoso vuoto storico e storiografico per i secoli della prima età moderna, fra il XVI e la metà del XVIII secolo. Questo libro intende colmare tale vuoto, mediante l’interpretazione di fonti completamente inedite o scarsamente esplorate. Lo “stato” feudale di Caserta, la cui genesi risale al Medioevo, al principio del ‘500 passa dal dominio dei conti della Ratta a quello degli Acquaviva d’Aragona, diventando uno strumento della politica regia di premio/punizione nei confronti dell’aristocrazia. Gli Acquaviva – dapprima accusati di ribellione agli Asburgo – si trovano ad inaugurare un nuovo ramo della famiglia, quello casertano per l’appunto, che raggiungerà un prestigio di dimensioni internazionali, sancito e al contempo favorito dall’elevazione al rango principesco ottenuta alla fine del XVI secolo. Un prestigio che si riverbera sulla città, investita dai fasti, dagli obblighi sociali e dallo stile di vita della corte feudale acquaviviana. Con l’arrivo dei Caetani, nobili romani e baroni del Regno napoletano, che si dimostrano feudatari meno assidui nei loro soggiorni a Caserta, si assiste ad un palpabile declino della corte principesca, benché sia innegabile il riflesso positivo sulla città proveniente dalla fama dell’importante casato romano. La storia della Caserta moderna si intreccia con la storia dei lignaggi aristocratici, che tanta attenzione ha ricevuto da parte della storiografia. Un’identità, quella nobiliare, che ha dato luogo nel tempo alla costruzione di modelli di comportamento e che ha rivelato la sostanziale tenuta, nella lunga durata, delle maggiori casate del Regno. Le vicende dello “stato” feudale di Caserta e le traversie patrimoniali dei suoi feudatari illustrano esemplarmente i fenomeni tipici della storia nobiliare: dalla scelta prevalente della carriera militare manifestata dagli Acquaviva, alla sapiente strumentalizzazione delle aderenze e delle posizioni ricoperte dagli alti ecclesiastici della famiglia privilegiata dai Caetani, al ruolo decisivo svolto dalle politiche matrimoniali, ma soprattutto dotali, adottate per la prole femminile da entrambi i lignaggi, politiche talmente determinanti da cagionare esiti cruciali, sia in positivo che in negativo, per il destino del casato e del possesso feudale. Durante l’età moderna, lo “stato” feudale casertano resta appannaggio di casate dell’antica aristocrazia e si struttura come una “città di casali”, articolata in 22 casali che formano l’universitas. Il presente studio, sulla base di una documentazione totalmente inedita, ricostruisce l’attività del governo locale casertano all’interno dello “stato” feudale, analizzando dinamiche sociali e politiche. Per gran parte dell’età moderna, l’identità della città di Caserta appare fragile, incapace di esprimere solidi e fondati elementi di autocoscienza ed autorappresentazione comunitaria, fino alla svolta borbonica che apre inattese opportunità per il centro casertano. Ciò alimenta l’operazione di ricostruzione delle memorie cittadine compiuta da Crescenzio Esperti negli anni Settanta del Settecento, orientata all’esaltazione del primato del patriziato e finalizzata all’ostentazione di un patrimonio identitario all’altezza del novello status di “Villa Reale”, al quale il sovrano Carlo di Borbone ha innalzato la città di Caserta
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