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La crisi del formalismo, la rivolta dell'antiformalismo e la ricerca dell'equilibrio.
La crisi del formalismo, la rivolta dell'antiformalismo e la ricerca dell'equilibrio, è frutto dell'attività di ricerca svolta nella Biblioteca dell'Institut für Römisches Recht dell'Universität zu Köln. Si tratta di un lavoro che susciterà reazioni e che è duplicemente interessante per i giuristi, storici e teorici del diritto. Innanzi tutto per la impostazione metodologica. Il lavoro si basa su un felice connubio di Filosofia del diritto e Diritto Romano, che si completano l'un l'altro: la prima trova nel secondo un campo di “verifica” di quanto sostenuto a livello teorico, essendo l'esperienza giuridica Romana ricca di spunti di riflessione e sorprendentemente viva nella ricchezza delle sue implicazioni filosofiche; il secondo si completa nella prima, ricevendo conferma, non soltanto della sua “utilità” nel campo del diritto, ma anche e soprattutto della sua natura giuridica e non soltanto storica, per effetto appunto, della scelta teorica di ampliare la nozione di diritto fino a comprendervi l'intera esperienza giuridica, incluso, naturalmente, il suo profilo storico. In secondo luogo, non può essere taciuta l'originalità con cui è affrontato il tema del formalismo giuridico: senza perdersi nei distinguo che caratterizzano la tradizionale impostazione, si isola -facendo uso della letteratura, non solo Europea, ed in particolare delle Opere di Giuseppe Capograssi, ma anche Anglo-Americana, ed in particolare di Form and Function in a Legal System. A General Study di Robert S. Summers- una nozione positiva di forma, che, ben lungi dall'essere in contrasto o, anche solo in contraddizione con i contenuti del diritto, o le altre componenti non formali, si integra con esse, in una composizione unitaria e tendenzialmente equilibrata. Accanto all'alternarsi di formalismo e antiformalismo, quali tendenze ciclicamente prevalenti nella Storia, anche Romana, del pensiero giuridico, questo lavoro evidenzia come sia possibile isolare una tendenza, nella Filosofia del diritto contemporanea, a perseguire un equilibrio tra formalità e sostanzialità del diritto. Lo scopo del lavoro infatti, non è tracciare o esplicare il formalismo e l'antiformalismo, nelle diverse connotazioni storiche e/o filosofiche, ma dimostrare come entrambe siano dei riduzionismi giuridici: il primo perchè riduce il diritto ad una “carriola vuota”, che può essere riempita di qualunque contenuto, ed è quindi “insensibile” rispetto alla realtà, che con la sua immediatezza, dà origine al diritto; il secondo per il suo scetticismo nei confronti della forma, che alla fine finisce per annullare l'autonomia del diritto, riducendolo alla politica. La struttura della tesi si articola in un crescendo, complesso, ma che non difetta di unitarietà: non manca il collegamento tra i capitoli, che tuttavia sono, ognuno, compiutamente sviluppati e singolarmente fruibili. L'incipit è il significato di “crisi del diritto”, espressione ricorrente nella letturatura giusfilosica Europea degli anni Venti del XX secolo, del Secondo Dopoguerra e degli inizi del Terzo Millennio, in cui, come in passato, si rimprovera al diritto una superfetazione legislativa ed una strutturale carenza valoriale. Quale interprete della “crisi del diritto” degli inizi del XX secolo si è scelto Lopez De Onãte, non soltanto per la sua capacità di sintetizzare lo stato del diritto e degli animi del suo tempo, ma anche per la sua intuizione che la crisi del diritto è un aspetto di quel poliedro che è la crisi dell'individuo. È un filone di pensiero che ha già quale interprete il giovane Giuseppe Capograssi del Saggio sullo Stato, in cui la crisi dell'autorità è intesa quale profilo della crisi dell'individuo e del diritto. Interessante è la lettura che si fa nel primo capitolo della “crisi del diritto”, quale argomento che chiude il cerchio della produzione di Giuseppe Capograssi, dal momento che evidenzia non solo come tale tema sia un filo rosso che attraversa le opere Capograssiane, ma anche come, in realtà, se la letteratura tende ad isolare la crisi del diritto del Secondo Dopoguerra, ricostruendola come diversa ed in nessun modo ricollegabile alla crisi del diritto degli anni Venti, in realtà un legame c'è. Emerge l'idea che la storia del pensiero giuridico sia segnata dall'alternarsi di formalismo ed antoformalismo, di cui Bobbio, non è soltanto interprete nel suo Giusnaturalismo e positivismo giuridico, ma diretto testimone, essendosi affacciato agli studi giuridici proprio negli anni Venti – Trenta ed avendo assistito ad un ripetersi della stessa crisi del diritto anche negli anni Cinquanta. È a questo punto che si delinea la nozione di formalismo giuridico che è utilizzata nel lavoro: la crisi del formalismo giuridico è il vero volto della crisi del diritto. Quando nel testo si parla di formalismo giuridico non ci si intende riferire ad una nozione concettuale, ma ad un fenomeno storico, il cui verificarsi ha un carattere ricorrente, se non ciclico. La delineata nozione di formalismo giuridico comporta la necessità di chiarire quale sia il rapporto tra le nozioni di formalismo giuridico e di forma giuridica. Emerge in questo modo il carattere peggiorativo con cui è inteso il formalismo: la sua versione positiva è la forma. Partendo dalla ambivalenza della forma in Platone e passando attraverso la doppia connotazione, positiva e negativa del formalismo giuridico nella forma Aristotelica, il lavoro approda al Giusnaturalismo Romano ed al modo di intendere il rapporto tra ius e natura in Cicerone, al fine di proporre una nuova chiave interpretativa del formalismo Romano dell'età Arcaica. La lettura tradizionale del Diritto Romano Arcaico quale esempio di un diritto che, per effetto dell'astrazione dai suoi contenuti, è ridotto a mera forma, è decisamente antistorica, non tenendo conto del modo in cui, nel pensiero giuridico Romano, era intesa la natura, il ius e soprattutto il rapporto di queste due nozioni, sia tra loro, sia con l'uomo. Gli argomenti utilizzati per la confutazione della tradizionale interpretazione del formalismo Romano Arcaico si ritrovano anche nella critica del formalismo Kantiano, seguendo le tracce dell'evoluzione che gli studi su Kant hanno avuto soprattutto negli Stati Uniti d'America, e nella critica Capograssiana del formalismo Kelseniano. Si condivide con Capograssi e con la letteratura su Capograssi, che il formalismo giuridico è un fallace riduzionismo del diritto alla sua componente formale, dal momento che elemento costitutivo del diritto non è soltanto la forma, ma anche il suo contenuto. Anche se è generalmente condivisa la inaccettabilità della Teoria pura del diritto, con la sua pretesa di prescindere dalla componente valoriale del diritto, il dibattito formalismo versus antiformalismo è ancora aperto ed acceso nella Filosofia del diritto contemporanea. Il lavoro ne offre un esempio con specifico riguardo alla posizione assunta da Natalino Irti nel suo ultimo lavoro Il salvagente della forma ed alla risposta che al nichilismo ed all'indifferenza contenutistica del diritto offre Bruno Romano, con l'idea centrale ed innovativa di formatività della giustizia nell'opera d'arte dell'ermeneutica. Il lavoro si sviluppa attraverso la serrata critica della negazione nichilistica della possibilità di una fondazione meta-positiva del diritto, dimostrando come lo Stato Costituzionale di diritto, non è la radicalizzazione di un dato contenuto di norme, assunto come fermo e statico, ma segna nuovi percorsi di speculazione filosofico- giuridica, oltre il positivismo giuridico. Inaccettabile è pure la tesi nichilistica della morte del Diritto Romano per effetto della dissoluzione del rapporto tra diritto e tradizione: il ruolo del Diritto Romano, nel pensiero giuridico contemporaneo, non è infatti legato alla nozione di tradizione, ma a quella di esperienza giuridica. Il diritto non può non avere un profilo storico, come affermato da Riccardo Orestano, sulla scia dell'insegnamento di Giuseppe Capograssi. È questo il momento, nel percorso di ricerca seguito, in cui maggiore è la sintesi tra Filosofia del diritto e Diritto Romano, forse perchè il loro legame è evidenziato dal richiamo che il Romanista fa del Filosofo del Diritto. D'altra parte, a sconfessare il ruolo di mera digressione dei contenuti di Diritto Romano presenti nel lavoro, è sufficiente l'impostazione che agli studi Romanistici dà Okko Behrends, la cui ricostruzione dell’evoluzione del rapporto tra le fonti del diritto nel Diritto Romano Classico non solo fornisce un illuminante esempio di equilibrio tra regole formali ed esigenze di giustizia sostanziale, contribuendo, per altro verso, a dimostrare la inconsistenza di ogni pretesa separazione “scientifica” della Filosofia del Diritto dalle altre branche del diritto, siano esse storiche o positive, ma illumina, sotto una luce nuova, il dibattito che si consuma nelle grandi aree che segnano il campo della Filosofia del diritto contemporanea: da un lato, la filosofia razionalista, analitica e positivista, specie nella sua versione anglo-americana, che, pur conservando intatta la razionalità logica, quale fondamento del diritto, si apre alle implicazioni di scopo, e, dall'altro, la filosofia che, rivendicando la ricerca di una autonoma ed indipendente razionalità del diritto, trova un emblematico ed ancora attuale esempio di conciliazione tra formalità e sostanzialità, legalità e giustizia, certezza ed equità, nella nozione di esperienza giuridica di Giuseppe Capograssi, quale emerge da due sue opere decisive: Analisi dell’esperienza comune e Studi sull’esperienza giuridica. Altro esempio di come, sul piano metodologico, non vi siano invalicabili steccati tra la Filosofia del diritto ed il Diritto Romano è offerto dalla Teoria generale della forma di Robert S. Summers, il quale utilizza, a fondamento della sua costruzione filosofica, il pensiero Jheringhiano, realizzando un duplice obiettivo: sul piano della teoria del diritto, la enucleazione di una nozione nuova di forma; sul piano degli studi romanistici, una interpretazione della produzione di Jhering, che supera la contrapposizione tra la componente sistematica e l'approccio teoleologico al diritto, attraverso la dimostrazione di come la loro equilibrata composizione sia il più efficace antidoto contro gli unilateralismi ed i riduzionismi giuridici. Il lavoro arriva così alle conclusioni, e, conservando, fino alla fine, lo spirito che ha informato tutta l'opera, non poteva mancare, anche nell'affrontare il problema della Scienza del diritto, la combinazione di Filosofia del diritto e Diritto Romano. Il Problema della Scienza del Diritto di Giuseppe Capograssi offre un valido ed impagabile ausilio alla soluzione del dualismo presente tra teoria e pratica del diritto e tra costruzione sistematica di concetti ed esegesi pragmatica di fatti. La problematicità, quale carattere costitutivo della scienza del diritto, riceve una conferma dall'esperienza giuridica Romana, essendo il metodo casistico dei Pithanà di Labeone la dimostrazione di come affrontare le questioni giuridiche in termini problematici, non implichi la negazione della certezza del diritto, ma sia la maggiore attestazione della sua scientificità. Questo lavoro merita attenzione, al di là delle imperfezioni, non soltanto per il modo nuovo e comunque originale di affrontare i temi del formalismo e dell'antiformalismo, ma anche perchè ricorda quale è il compito principale della ricerca scientifica: non risolvere in via definitiva ed incontrovertibile i problemi, ma più modestamente, porli
Immigrazione e contesti locali. Annuario Cirmib 2013
L\u2019Annuario CIRMiB 2013 \u201cImmigrazione e contesti locali\u201d offre come di consueto le pi\uf9 aggiornate elaborazioni statistiche (all\u20191.9.2013) per comprendere le dinamiche del fenomeno e i processi di accoglienza/integrazione a livello locale; dal bilancio demografico e dalle stime operate dall\u2019Osservatorio regionale Orim, il dato su cui riflettere \ue8 il rallentamento dei flussi di ingresso \u2013 dal 6-7% annuo al 4,5% del 2012 - dovuto all\u2019acuirsi della crisi economica e occupazionale in Italia e, di conseguenza, la stabilizzazione di alcuni indicatori di permanenza che vanno di pari passo con altri indicatori di regressione del fenomeno:
- in valori assoluti, gli stranieri residenti in provincia di Brescia sono passati da 170.736 a 163.029 (ultimo bilancio demografico 1.1.2013) e la loro incidenza sulla popolazione complessiva \ue8 retrocessa dal 13,6% (2011) al 12,6% (2012), mentre in Italia dal 7,5% al 6,8%. La crescita nel 2012 \ue8 stata inferiore a quella delle altre province lombarde e alla media regionale: Brescia non rappresenta pi\uf9 un polo di attrazione per i newcomers. Le cancellazioni per l\u2019estero (rimpatriati e migranti verso altre destinazioni europee) nel 2012 hanno riguardato 1540 persone nel bresciano.
- L'incidenza degli stranieri sul totale dei residenti nel Comune di Brescia (16,6%) e nella provincia di Brescia complessivamente (12,6%) \ue8, comunque, ancora di molto superiore all'incidenza media in Lombardia (9,8%) e in Italia (6,8%).
- Se si guarda la serie storica dal 2001 ad oggi, si osserva che tale arretramento avviene per la prima volta; a ci\uf2 concorre non solo l\u2019effettivo rientro (o spostamento geografico) di cittadini stranieri verso altri luoghi (incluso i Paesi di origine), ma anche il miglioramento della contabilit\ue0 anagrafica. Nel 2012, infatti, in seguito al Censimento 2011, tutte le anagrafi comunali hanno \u201cripulito\u201d i propri database registrando le cancellazioni effettive, verificate attraverso le visite in loco obbligatorie.
- La presenza straniera a Brescia ed in provincia ( se pur in calo come nelle altre province lombarde) non \ue8 tuttavia cos\uec cambiata dall\u2019anno scorso, ci\uf2 indica come si sta giungendo ad una fase matura dei processi di insediamento e di integrazione dei migranti: vi \ue8 una sostanziale tenuta dei lungo residenti (in Italia da pi\uf9 di 10 anni: 31,2% contro il 33% del 2011) e, contemporaneamente, una riduzione degli stranieri di pi\uf9 recente immigrazione; dall\u2019aumento dell\u2019indice di integrazione (da 0,55 a 0,56).
- Per quanto riguarda il lavoro, la manodopera straniera, seppur facendo i conti con la crisi economica che la colpisce relativamente pi\uf9 di quella italiana (-7% avviamenti al lavoro; -7,3% di avviati stranieri, contro -4,6% italiani), ha ancora chance di trovare un lavoro dopo che si \ue8 interrotto un rapporto precedente, grazie alla sua maggiore versatilit\ue0 e disponibilit\ue0 a cambiare mansioni. La quota pi\uf9 alta di nuovi avviamenti al lavoro, nel corso del 2012, si \ue8 verificata nei settori edilizio, meccanico e della ristorazione. Non \ue8 da sottovalutare la crescita del tasso di disoccupazione tra gli stranieri (dall\u201911,8% sono passati al 12,1%).
- Sembra che il welfare locale a Brescia abbia contribuito discretamente a garantire stabilit\ue0 e a sostenere i processi di integrazione: la partecipazione scolastica dei minori \ue8 in aumento (+4,8%) e l\u2019incidenza percentuale degli allievi stranieri sul totale della popolazione scolastica complessivamente ha raggiunto una cifra davvero significativa: 17,1% (4 punti percentuali in pi\uf9 della media regionale e 9 punti percentuali in pi\uf9 della media nazionale). Molto importante \ue8 il confronto tra ordini di scuola: i primi tre segmenti dell\u2019istruzione (scuola infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di primo grado) registrano tassi equivalenti di presenza straniera, poco meno del 20%, che \ue8 composta da una parte sempre pi\uf9 elevata di minori stranieri nati in Italia (seconde generazioni propriamente dette): a Brescia sono nati in Italia quasi tutti i bambini della scuola dell\u2019infanzia che hanno genitori stranieri (83,3%), due su tre di quelli che frequentano la primaria (62,8%), e uno su tre di quelli che frequentano la secondaria di primo grado (31,2%).
- Sono in continua crescita gli studenti stranieri anche nei gradi alti della formazione sia nelle scuole secondarie di secondo grado (incidenza 11,3%, di cui 1 su 10 \ue8 nato in Italia), sia nella formazione professionale regionale (incidenza 19,8%, con un aumento dello 0,8% dal 2011), sia infine nelle universit\ue0 (incidenza 6,6%, con un aumento di 0,5% dall\u2019anno accademico 2011/12). Siamo davvero di fronte a un cambiamento di \u201cvolto\u201d di una delle pi\uf9 importanti istituzioni sociali e culturali, il sistema formativo, che \ue8 segno del farsi avanti di una realt\ue0 educativa multiculturale (e l\u2019area bresciana ne \ue8, in un certo senso, l\u2019avamposto), che apre la strada alle legittime richieste di cittadinanza da parte delle seconde generazioni, per non essere pi\uf9 solo \u201cresidenti\u201d ma anche cittadini a tutti gli effetti.
- Rispetto alla sistemazione abitativa, si registrano in provincia di Brescia indicatori positivi: anche se Brescia \ue8 tra le province lombarde con minore accesso alla casa in propriet\ue0 (solo il 15,8% degli immigrati vanta questo titolo di godimento dell\u2019alloggio, contro la media lombarda del 20,1%), si consolida tuttavia la quota di coloro che non hanno una sistemazione precaria, passati dal 78,3% del 2011 all\u201982,2% del campione di intervistati dall\u2019Orim. La ridotta presenza di proprietari di alloggio pu\uf2 essere conseguenza sia di una bassa capacit\ue0 di risparmio, sia di una diversa strategia di investimento del reddito. Sembra infatti che - soprattutto presso alcuni gruppi nazionali (Cina, India, Romania, Senegal) - sia stato abbastanza costante l\u2019aumento del flusso di rimesse verso i paesi di origine.
I fenomeni fin qui riassunti fanno capire che le comunit\ue0 locali, ormai interessate da un multiculturalismo diffuso, al pari di \u201corganismi\u201d viventi stanno reagendo alla congiuntura economica e sociale facendo leva su diversi fattori di protezione e prevenzione, come descritto nell\u2019Annuario che, accanto alle consuete indagini statistiche, dipinge tutta una serie di buone pratiche locali, esperienze pionieristiche nell\u2019ambito del co-sviluppo, della formazione ai carcerati, dell\u2019accesso dei migranti al patrimonio culturale.
L\u2019Annuario pubblica anche una elaborazione specifica, promossa dal Comitato direttivo del CIRMiB sui dati di una indagine europea EVS \u2013 European Values Survey (dati raccolti nel 2008/09) in 48 paesi (tra cui l\u2019Italia), che ha misurato l\u2019Indice di distanza sociale e l\u2019Indice di Xenofobia. I dati confermano che l\u2019Italia non risulta interessata da fenomeni acuti di razzismo e xenofobia, per lo meno in confronto ad altri Paesi dell\u2019area europea ed extraeuropea. Ma la distanza sociale e la xenofobia aumentano significativamente in quella parte di societ\ue0 che \ue8 collocata nelle regioni del Centro e del Nord-Est, in centri di piccole dimensioni (sotto i 20mila abitanti) dove \ue8 pi\uf9 forte il \u201ccampanilismo\u201d che si associa a \u201cpaura dell\u2019altro\u201d. Vi \ue8 poi una relazione statistica tra gli atteggiamenti di diffidenza e i bassi livelli di istruzione e l\u2019et\ue0 pi\uf9 avanzata. Sono infine pi\uf9 distanti e pi\uf9 xenofobi quei cittadini che si collocano politicamente a destra, rispetto a chi vota formazioni di sinistra, e coloro che si mostrano pi\uf9 scettici verso l\u2019Europa (non si fidano delle istituzioni europee e non sono d\u2019accordo con il progressivo allargamento).
Il dato pi\uf9 interessante che emerge dalla ricerca CIRMiB \ue8 che esiste una relazione statistica tra il fatto di dichiararsi credenti praticanti (Indice di religiosit\ue0 ecclesiale), conformi ai precetti religiosi (Indice di conformit\ue0 religiosa-etica ecclesiale) e gli atteggiamenti di distanza sociale e xenofobia: viene smentita l\u2019idea corrente che chi pratica la religione e frequenta ambienti sociali di chiesa sia pi\uf9 aperto nei confronti degli stranieri, in quanto oggetti di attenzione caritatevole. La spiegazione fornita \ue8 che l\u2019appartenenza a una comunit\ue0 religiosa connota un gruppo di cittadini che hanno in comune tre caratteri spesso associati tra loro: et\ue0 anziana (oltre i 66 anni si accresce la probabilit\ue0 di essere xenofobi), basso livello di istruzione e elevata conformit\ue0 ai precetti religiosi. La spiegazione che si pu\uf2 avanzare \ue8 che la traduzione dei messaggi della Chiesa da parte dei suoi fedeli, che avviene attraverso i sacerdoti impegnati sul territorio, non arriva ad intaccare un sentimento di paura che \ue8 molto pi\uf9 profondo, una domanda implicita di sicurezza