65 research outputs found

    Sick and injured bodies: medical imagery and media practice of care

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    For a long time, scholars in the Humanities have been trying to move towards a boundary space that touches upon the medical and scientific disciplines. More than others, the topic of representation/visualisation, the relationship between ways of seeing, images, and the techniques to create them has emerged as a fertile and valuable ground for dialogue. This special issue of Cinema & Cie sets itself the ambitious goal of opening an interdisciplinary discussion reflecting on the images of illness, wound, pain, scar, and cure, which are shared today more than ever and go beyond the narrow medical field. In order to develop a new interdisciplinary methodology suitable for capturing the emotions, material dimensions, bodily practices, performative dynamics, and intersubjective systems that, as a whole, consolidate the mise en discourse of the body as an object of care, we have called upon the traditions of Trauma Studies, Medical Humanities and Visual Culture of science and medicine. In this perspective, images are not only the starting point for understanding knowledge production processes but also a valuable restorative tool for care and therapeutic practices

    Sick and Injured Bodies : Medical Imagery and Media Practices of Care

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    Peer reviewedPublisher PD

    Activating mutation in MET oncogene in familial colorectal cancer

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    <p>Abstract</p> <p>Background</p> <p>In developed countries, the lifetime risk of developing colorectal cancer (CRC) is 5%, and it is the second leading cause of death from cancer. The presence of family history is a well established risk factor with 25-35% of CRCs attributable to inherited and/or familial factors. The highly penetrant inherited colon cancer syndromes account for approximately 5%, leaving greater than 20% without clear genetic definition. Familial colorectal cancer has been linked to chromosome 7q31 by multiple affected relative pair studies. The <it>MET </it>proto-oncogene which resides in this chromosomal region is considered a candidate for genetic susceptibility.</p> <p>Methods</p> <p><it>MET </it>exons were amplified by PCR from germline DNA of 148 affected sibling pairs with colorectal cancer. Amplicons with altered sequence were detected with high-resolution melt-curve analysis using a LightScanner (Idaho Technologies). Samples demonstrating alternative melt curves were sequenced. A TaqMan assay for the specific c.2975C <b>></b>T change was used to confirm this mutation in a cohort of 299 colorectal cancer cases and to look for allelic amplification in tumors.</p> <p>Results</p> <p>Here we report a germline non-synonymous change in the <it>MET </it>proto-oncogene at amino acid position T992I (also reported as <it>MET </it>p.T1010I) in 5.2% of a cohort of sibling pairs affected with CRC. This genetic variant was then confirmed in a second cohort of individuals diagnosed with CRC and having a first degree relative with CRC at prevalence of 4.1%. This mutation has been reported in cancer cells of multiple origins, including 2.5% of colon cancers, and in <1% in the general population. The threonine at amino acid position 992 lies in the tyrosine kinase domain of MET and a change to isoleucine at this position has been shown to promote metastatic behavior in cell-based models. The average age of CRC diagnosis in patients in this study is 63 years in mutation carriers, which is 8 years earlier than the general population average for CRC.</p> <p>Conclusions</p> <p>Although the <it>MET </it>p.T992I genetic mutation is commonly found in somatic colorectal cancer tissues, this is the first report also implicating this <it>MET </it>genetic mutation as a germline inherited risk factor for familial colorectal cancer. Future studies on the cancer risks associated with this mutation and the prevalence in different at-risk populations will be an important extension of this work to define the clinical significance.</p

    Il corpo femminile e il dare alla luce: Kirsa Nicholina (Gunvor Nelson, 1969)

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    Tra la fine degli anni ‘50 e gli anni ’70 una serie di processi come un diverso approccio al corpo e alla sessualità, la medicalizzazione del parto e l’utilizzo di nuove tecnolgie mediche della visione imprimono una radicale svolta alla rappresentazione della nascita. Tale rappresentazione si sottrae agli angusti confini del contesto medico per muovere verso una circolazione più ampia che interseca e promuove un ampio dibattito sul corpo femminile, sulla riproduzione, sull’aborto, ecc. Il corpo nel suo divenire materno, già fuori campo nel cinema classico, è nuovamente estromesso e negato, ricordiamo l’iconico “scatto” del feto interstellare di Lennart Nilsson che ritrae un embione umano di 18 settimane sulla copertina di “Life” nel1965. L’intervento intende indagare se e come le registe nel cinema indipendente hanno saputo costruire forme di rappresentazione della nascita alternative, come hanno rappresentato il corpo e convocato l’identità femminile, e attraverso quali linguaggi, concentrando l’analisi su alcune pellicole

    Il cinema e l’educazione popolare nei progetti della Società Umanitaria (1915-1921)

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    Il saggio si propone di indagare l’educazione all’immagine e attraverso l’immagine promossa dalla Società Umanitaria e dal Teatro del Popolo di Milano. L’Umanitaria, costituita come ente morale a Milano nel 1893, è divenuta negli anni un’istituzione cruciale nell’impegno sociale e nell’educazione popolare, grazie ad una progettualità illuminata e diversificata e ancora, grazie alla ramificazione sul territorio (oltre a Milano, Napoli, Roma e la Sardegna) e alla proficua collaborazione con altri enti. La ricognizione della pratiche educative del primo Novecento che hanno progressivamente integrato illustrazioni, proiezioni di lanterne luminose e pellicole cinematografiche può illuminare sul ruolo del linguaggio delle immagini fisse e in movimento nell’approccio pedagogico dell’ente e sulla sua possibile ricezione nel tessuto popolare

    A Marginal Circuit. Films, Visual Devices, Practices of Educational and Rural Propaganda Cinema

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    Sullo sfondo del passaggio dal cinema dai primordi alla codificazione del dispositivo cinematografico, la presente ricerca si propone di indagare una pratica marginale: la cinematografia di istruzione e propaganda rurale, nel suo sviluppo in Italia tra il 1912 ed il 1937. Attraverso casi di studio inerenti l'Istituto Nazionale Minerva, L'Istituto Italiano Proiezioni Luminose, la cinemateca agricola dell'Istituto Luce e in maniera più tangenziale l'Opera delle proiezioni Luminose e l'Istituto Cerere, approderemo alla ricostruzione di un corpus specifico di materiali, dispositivi e prassi e all'individuazione di un percorso evolutivo di questo circuito minore. Lo studio di pratiche culturali "invisibili" e scarsamente affrontate dagli studiosi illumina le teorie sull'istituzionalizzazione svelando un paesaggio più articolato e meno scontato. Il circuito rurale incarna contemporaneamente la forza di un nuovo medium e l'instabilità delle istituzioni che lo utilizzano nella difficile transizione al regime, proponendosi come strumento rivelatore di aspettative e urgenze, e del reciproco ricollocarsi delle istanze educative e del pubblico di massa.Against the background of the (now familiar) transition from early to classical cinema my work explores a marginal filed of research: the educational and rural propaganda cinema and its institutional practices produced ad developed in Italy between 1912 and 1937. Taking the Istituto Nazionale Minerva, Istituto Italiano Proiezioni Luminose, Istituto Luce's agricultural cinemateca and the Opera delle Proiezioni Luminose and the Istituto Cerere as case studies, I outline the films, visual devices, and practices used in what I call a rural circuit of films . My project is therefore focused upon an invisible cultural practice which has been traditionally disregarded by scholars. It introduces an otherwise absent corpus of works into institutionalizations's theories, revealing a complex and less obvious film history. At the same time, the rural circuit of films embodies the strength of a new medium and the movement towards dictatorship in Italy. Film offers itself as an instrument which traces the expectations and needs of pedagogical institutions and their changing relationship to the masses

    La scena fluida

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    Questo volume si propone di ripensare il ruolo centrale assunto dal cinema nella modernità italiana, leggendolo non come il risultato di una riflessione consapevole e lungimirante di un ceto intellettuale, ma come un insieme di pratiche, applicazioni, ritualità, progetti di carattere più diffuso e partecipativo, attorno alle quali solo in un secondo tempo si sono potute coagulare delle scritture che hanno dato forma all'immaginario tecnologico della nazione. Insieme a Umberto Barbaro, Emilio Cecchi, Aldo De Benedetti, Arnaldo Ginna, gli autori si confrontano allora con gli psicologi (Arnheim, Gemelli, Ponzo, De Abundo), gli architetti (Terragni, Baldessari), gli artisti delle affissioni (Mauzan), con il cinema missionario di padre De Agostini, con il "Cinematografo natante" promosso dal "Giornale del contadino", con il cineamatore conte Mazzocchi, e con l'anti-diva Elettra Raggio. Si delinea così un’evoluzione del rapporto tra l'Italia e la modernità che conosce una prima significativa fioritura nella belle époque (una modernità "progettata" dalle élite culturali e artistiche e che il cinema rende popolare), si riassesta dandosi strutture, mezzi e strategie nel ventennio fascista (la modernità «immaginata» dai media), ed esploderà quasi con prepotenza nel secondo dopoguerra (una modernità praticata nei consumi, e perciò finalmente acquisita). "Davvero il Novecento in Italia esplode con il Manifesto futurista in un universo passatista, diventando poi inesorabilmente fascista?

    Il corpo femminile e il dare alla luce: Kirsa Nicholina (Gunvor Nelson, 1969)

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    Tra la fine degli anni ‘50 e gli anni ’70 una serie di processi come un diverso approccio al corpo e alla sessualità, la medicalizzazione del parto e l’utilizzo di nuove tecnolgie mediche della visione imprimono una radicale svolta alla rappresentazione della nascita. Tale rappresentazione si sottrae agli angusti confini del contesto medico per muovere verso una circolazione più ampia che interseca e promuove un ampio dibattito sul corpo femminile, sulla riproduzione, sull’aborto, ecc. Il corpo nel suo divenire materno, già fuori campo nel cinema classico, è nuovamente estromesso e negato, ricordiamo l’iconico “scatto” del feto interstellare di Lennart Nilsson che ritrae un embione umano di 18 settimane sulla copertina di “Life” nel1965. L’intervento intende indagare se e come le registe nel cinema indipendente hanno saputo costruire forme di rappresentazione della nascita alternative, come hanno rappresentato il corpo e convocato l’identità femminile, e attraverso quali linguaggi, concentrando l’analisi su alcune pellicole
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