23 research outputs found

    Ecological divergence of Chaetopteryx rugulosa species complex (Insecta, Trichoptera) linked to climatic niche diversification

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    Climate is often considered to be an important, but indirect driver of speciation. Indeed, environmental factors may contribute to the formation of biodiversity, but to date this crucial relationship remains largely unexplored. Here we investigate the possible role of climate, geological factors, and biogeographical processes in the formation of a freshwater insect species group, the Chaetopteryx rugulosa species complex (Trichoptera) in the Western Balkans. We used multi-locus DNA sequence data to establish a dated phylogenetic hypothesis for the group. The comparison of the dated phylogeny with the geological history of the Western Balkans shows that lineage formation coincided with major past Earth surface and climatic events in the region. By reconstructing present-day habitat conditions (climate, bedrock geology), we show that the lineages of C. rugulosa species complex have distinct climatic but not bedrock geological niches. Without exception, all splits associated with Pliocene/Pleistocene transition led to independent, parallel split into ‘warm’ and ‘cold’ sister lineages. This indicates a non-random diversification on the C. rugulosa species complex associated with late Pliocene climate in the region. We interpreted the results as the diversification of the species complex were mainly driven by ecological diversification linked to past climate change, along with geographical isolation

    The impact of transposable element activity on therapeutically relevant human stem cells

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    Human stem cells harbor significant potential for basic and clinical translational research as well as regenerative medicine. Currently ~ 3000 adult and ~ 30 pluripotent stem cell-based, interventional clinical trials are ongoing worldwide, and numbers are increasing continuously. Although stem cells are promising cell sources to treat a wide range of human diseases, there are also concerns regarding potential risks associated with their clinical use, including genomic instability and tumorigenesis concerns. Thus, a deeper understanding of the factors and molecular mechanisms contributing to stem cell genome stability are a prerequisite to harnessing their therapeutic potential for degenerative diseases. Chemical and physical factors are known to influence the stability of stem cell genomes, together with random mutations and Copy Number Variants (CNVs) that accumulated in cultured human stem cells. Here we review the activity of endogenous transposable elements (TEs) in human multipotent and pluripotent stem cells, and the consequences of their mobility for genomic integrity and host gene expression. We describe transcriptional and post-transcriptional mechanisms antagonizing the spread of TEs in the human genome, and highlight those that are more prevalent in multipotent and pluripotent stem cells. Notably, TEs do not only represent a source of mutations/CNVs in genomes, but are also often harnessed as tools to engineer the stem cell genome; thus, we also describe and discuss the most widely applied transposon-based tools and highlight the most relevant areas of their biomedical applications in stem cells. Taken together, this review will contribute to the assessment of the risk that endogenous TE activity and the application of genetically engineered TEs constitute for the biosafety of stem cells to be used for substitutive and regenerative cell therapiesS.R.H. and P.T.R. are funded by the Government of Spain (MINECO, RYC-2016- 21395 and SAF2015–71589-P [S.R.H.]; PEJ-2014-A-31985 and SAF2015–71589- P [P.T.R.]). GGS is supported by a grant from the Ministry of Health of the Federal Republic of Germany (FKZ2518FSB403)

    Caratterizzazione di alcuni siti della rete accelerometrica nazionale al fine di individuare la risposta sismica locale

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    Le indagini geotecniche finalizzate alla stima della risposta sismica locale si limitano molto spesso ai primi 30 m di profondità, valore che è diventato uno standard per la classificazione delle caratteristiche di un sito. Negli anni ’90 Borcherdt (1994) e Martin e Dobry (1994) suggerirono 30 m come la profondità standard di indagine per la verifica delle strutture. Boore et al. (1993, 1994, 1997) e Boore e Joyner (1997) basarono le regressioni per il calcolo delle leggi predittive del moto del suolo sullo stesso parametro. Nel 1997 negli Stati Uniti il National Earthquake Hazards Reduction Program (NEHRP) nella stesura delle norme tecniche per le costruzioni in zona sismica (FEMA, 1997) utilizza per la prima volta il parametro Vs30 come indice per la classificazione dei suoli, con lo scopo di definirne l’amplificazione. Le norme tecniche per le costruzioni in zona sismica della comunità Europea, EC8 (ENV, 1998) ente da dati provenienti dagli Stati Uniti occidentali e, utilizzando dati provenienti dalla stessa regione, Wald & Mori (2000) segnalano che le VS,30 non sono molto ben correlate con l’entità dell’amplificazione, in quanto esiste una forte dispersione dei dati. La figura 1.1 mostra il rapporto tra le amplificazioni, mediate sull’intervallo di frequenza compreso tra 3-5 Hz. raccomandano lo stesso parametro per suddividere i terreni, anche se le classi differiscono in parte dalla classificazione NEHRP. Infine, anche in Italia, le Norme Tecniche per le Costruzioni (Normative Tecniche per le Costruzioni, Gazzetta Ufficiale del 14/01/2008) adottano la stessa suddivisione dei terreni adottata dall’EC8.L’attendibilità della velocità delle onde di taglio nei primi 30 m (VS,30) come estimatore della risposta sismica di un sito, in termini di frequenza e amplificazione, è tuttavia molto discussa.Innanzitutto il parametro è stato ricavato unicamente da dati provenienti dagli Stati Uniti occidentali e, utilizzando dati provenienti dalla stessa regione, Wald & Mori (2000) segnalano che le Vs30 non sono molto ben correlate con l’entità dell’amplificazione, in quanto esiste una forte dispersione dei dati. La figura 1.1 mostra il rapporto tra le amplificazioni, mediate sull’intervallo di frequenza compreso tra 3-5 Hz. I valori risultano effettivamente molto dispersi, ma questo risultato può essere spiegato col fatto che non tutte le classi di sito hanno frequenza di risonanza compreso in questo intervallo di frequenza. Perciò per alcuni siti la media è stata calcolata nell’intorno della frequenza di risonanza (sulle amplificazioni massime), mentre per altri è stata calcolata sulle armoniche superiori, che hanno ampiezze minori. Lavori eseguiti con dati provenienti da altre regioni sottolineano come le Vs30 non siano buoni estimatori per la predizione di amplificazioni in bacini profondi (Park & Hashash, 2004), per la stima delle amplificazioni in altre regioni (Stewart et al., 2003) o in presenza di inversioni di velocità (Di Giacomo et al., 2005). Uno studio recente, eseguito su dati giapponesi (Zhao et al., 2006) si è evitato l’uso della Vs30 perché strati spessi di terreno rigido posti sopra il substrato roccioso amplificano il moto di lungo periodo, mentre gli strati sottili e soffici tendono ad amplificare il moto di corto periodo: ciò significa che la VS,30 non può rappresentare il periodo predominante del sito, dato che si basa solo sugli strati superficiali. Secondo Mucciarelli e Gallipoli (2006) il confronto tra l’amplificazione sismica al sito e la Vs30 mostra che quest’ultimo parametro non è adeguato per spiegare gli effetti di sito osservati in Italia a causa delle situazioni geologiche particolari che sono diffuse nel nostro paese. La figura 1.2 mostra la distribuzione dell’ampiezza rispetto alla classe di sito, in cui si vede che le classi sono mal discriminate e le mediane delle classi A e B (indicate dalla linea nera) sono uguali. È però necessario notare che questo grafico è stato costruito utilizzando le ampiezze ricavate col metodo dei rapporti spettrali H/V, ma in letteratura (Bard, 1999) è dimostrato che tali rapporti spettrali permettono di stimare la frequenza di risonanza, ma falliscono nella stima del valore di amplificazione. In particolare la Vs30 sottostima gli effetti locali ai siti con inversione di velocità e li sovrastima in siti con bacini profondi. La Vs30 sembra fornire dei buoni risultati solo in siti che abbiano un profilo di velocità monotono, crescente con la profondità e un forte contrasto di impedenza nella prima decina di metri. Questo studio si propone di verificare l’attendibilità della velocità delle onde di taglio valutate nei primi 30 m come estimatore della risposta sismica di un sito. Per questo scopo sono state selezionate 45 stazioni della Rete Accelerometrica Nazionale, di cui si conoscono i profili stratigrafici e i profili di velocità delle onde di taglio e di compressione. Inoltre sono state raccolte le registrazioni strong motion relative ai terremoti registrati da queste stazioni. Gli effetti di sito sono stati valutati in due modi: · Le registrazioni sono state utilizzate per calcolare i rapporti spettrali H/V per ricavare la frequenza fondamentale propria di ciascun sito (f0) e il relativo valore di amplificazione; · I profili di velocità delle onde di taglio sono serviti per ricavare il modello teorico monodimensionale per il calcolo della funzione di trasferimento del sito, eseguito per mezzo del modello proposto da Haskell e Thomson (Haskell, 1953, Thomson 1950), da cui ricavare la f0 e l’amplificazione. I valori ottenuti con i due metodi sono stati poi confrontati per verificare la congruenza dei risultati. I profili di velocità hanno permesso di classificare le stazioni utilizzando la velocità media delle onde di taglio nei primi 30 m (Vs30), secondo la normativa italiana. I risultati ottenuti dalla valutazione della risposta di ciascun sito, espressi in termini di frequenza fondamentale e amplificazione, sono stati correlati con la rispettiva classe di sito per verificare l’attendibilità del parametro delle Vs30 come estimatore degli effetti di sito

    Palladin is Upregulated in Kidney Disease and Contributes to Epithelial Cell Migration After Injury

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    Recovery from acute kidney injury involving tubular epithelial cells requires proliferation and migration of healthy cells to the area of injury. In this study, we show that palladin, a previously characterized cytoskeletal protein, is upregulated in injured tubules and suggest that one of its functions during repair is to facilitate migration of remaining cells to the affected site. In a mouse model of anti-neutrophilic cytoplasmic antibody involving both tubular and glomerular disease, palladin is upregulated in injured tubular cells, crescents and capillary cells with angiitis. In human biopsies of kidneys from patients with other kidney diseases, palladin is also upregulated in crescents and injured tubules. In LLC-PK1 cells, a porcine proximal tubule cell line, stress induced by transforming growth factor-β1 (TGF-β1) leads to palladin upregulation. Knockdown of palladin in LLC-PK1 does not disrupt cell morphology but does lead to a defect in cell migration. Furthermore, TGF-β1 induced increase in the 75 kDa palladin isoform occurs in both the nucleus and the cytoplasm. These data suggest that palladin expression is induced in injured cells and contributes to proper migration of cells in proximal tubules, possibly by regulation of gene expression as part of the healing process after acute injury
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