8 research outputs found

    [ADPKD: predictors of Renal Disease progression]

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    Factors predicting rapid progression of kidney disease in ADPKD can be divided into genetic (non-modifiable) and clinical (modifiable) risk factors. Patients harbouring PKD1 mutations, in particular if truncating, have a more severe form of ADPKD. Clinical risk factors include decrease in glomerular filtration rate and renal blood flow at a young age; high total kidney volume; hypertension and urological complications <35 years; albuminuria/proteinuria. The renal disease is also more severe in males and in subjects with family history of ESRD <55 years. In recent years, two models for predicting progression in ADPKD have been published: the Mayo model, based on height-adjusted TKV, age and eGFR, and the Brest model, based on PKD gene mutation type, gender, and early onset of hypertension and urological complications. With the emergence of new disease-modifying therapies, prediction tools are essential. However, the high variability in ADPKD makes the predicting models difficult to apply on an individual patient basis. Thus, the above-mentioned predicting models should be viewed as complimentary to clinical evaluation and follow-up. In the future, an individual risk score linking genetic, imaging and clinical data might prove the most accurate way of predicting long-term outcome

    PERITONITE IN DP: DIABETICI vs. NON-DIABETICI

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    INTRODUZIONE. La peritonite è una complicanza temuta in dialisi peritoneale (DP). In Italia circa il 25% dei pazienti dializzati è diabetico. SCOPO DELLO STUDIO. Esistono differenze nel decorso ed esito della peritonite tra diabetici e non in DP? PAZIENTI E METODI. Pazienti trattati in DP nel nostro centro dal 01/01/09 al 31/12/17, suddivisi in diabetici (DM) e non-diabetici (nDM). Analisi degli episodi di peritonite. RISULTATI. Selezionati 285 pazienti (89 DM, 196 nDM), 93 dei quali con almeno un episodio di peritonite (31% DM, 35% nDM, p=0,593). L’incidenza era di 0,34 episodi/paziente-anno per DM e 0,27 per nDM. L’analisi multivariata secondo Cox non rilevava differenze significative nella sopravvivenza dalla peritonite tra i due gruppi, sia al primo episodio (p=0,394) che con rientro dei pazienti (p=0,473). Per gli esiti, la percentuale di pazienti guariti era 71% DM vs 78% nDM (p=0,41), la sopravvivenza del paziente non differiva (p=0,679), mentre vi era una tendenziale minor sopravvivenza della metodica nei DM (p=0,049; p=0,080 non considerando i deceduti). Considerando gli episodi successivi al primo, non vi erano differenze nell’insorgenza (33% DM; 36% nDM; p=0,78); era però maggiore nei DM il numero di eventi entro il primo anno (p=0,001). Non sono emerse differenze significative nel tasso di exite-site infection (ESI) concomitanti (p=0,175) né nel germe isolato: Gram+ 37% DM, 38% nDM, p=0,868; Gram- 21% DM, 23% nDM, p=0,785; colture miste 16% DM, 7% nDM, p=0,119; non crescita 24% DM, 27% nDM, p=0,669. CONCLUSIONI. I diabetici in DP non hanno un maggior rischio di sviluppare peritonite rispetto ai nDM e il decorso di tali episodi non è peggiore; inoltre non vi sono differenze nella natura del germe causativo. La DP è una metodica sicura anche per i pazienti diabetici

    PERITONITE IN DP: CONFRONTO TRA METODICHE

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    INTRODUZIONE. La peritonite è una complicanza temuta in dialisi peritoneale (DP). Il rischio di peritonite potrebbe variare tra APD, CAPD e incrementale manuale (IM) in rapporto alle caratteristiche della metodica e al numero/momento delle connessioni. SCOPO. Esistono differenze nel decorso ed esito della peritonite tra pazienti APD, CAPD e IM? PAZIENTI E METODI. Pazienti trattati con DP nel nostro centro dal 01/01/09 al 31/12/17, suddivisi in funzione della metodica in uso. Analisi degli episodi di peritonite. RISULTATI. Selezionati 389 pazienti (215 APD, 61 CAPD, 113 IM), 99 dei quali con almeno un episodio di peritonite (30% APD, 23% CAPD, 18% IM; p=0,041). L’incidenza era di 0,27 episodi/paziente-anno per APD, 0,30 per CAPD, 0,16 per IM. L’analisi multivariata secondo Cox non rilevava differenze significative nella sopravvivenza dalla peritonite tra i tre gruppi, sia al primo episodio (p=0,518) che con rientro dei pazienti (p=0,129). Tuttavia dal confronto tra metodiche a dose piena vs IM emergeva una differenza significativa (p=0,014).Per gli esiti, la percentuale di pazienti guariti era 78% APD, 63% CAPD, 77% IM (p=0,374) e non vi erano differenze nella sopravvivenza della metodica (p=0,060) né del paziente (p=0,734).Per la comparsa di peritoniti successive alla prima, non vi erano differenze significative tra i tre gruppi (APD 31%; CAPD 29%; IM 10%; p=0,178).Non vi erano differenze significative nel tasso di exite-site infection (ESI) concomitanti (p=0,504) né tra gli esiti delle colture: Gram+ 40%, 42%, 41%, p=0,976; Gram- 24%, 16%, 18%, p=0,660; colture miste 6%, 21%, 5%, p=0,077; non crescita 27%, 11%, 36%, p=0,164. CONCLUSIONI. IM è associata a minor rischio di peritonite rispetto alle metodiche DP a dose piena, tuttavia il decorso di tali eventi è sovrapponibile

    PRIMA E DOPO IL TRAPIANTO DI RENE: EMODIALISI VS. DIALISI PERITONEALE.

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    INTRODUZIONE. Nonostante si cerchi di avviare i pazienti CKD5 direttamente al trapianto di rene (tx), evitando la dialisi, il temporaneo transito in essa è spesso indispensabile. La dialisi deve essere quindi gestita al meglio, per ottimizzare le condizioni del paziente al momento del tx. Una meta-analisi pubblicata nel 2016 suggeriva che la scelta della dialisi peritoneale nel pre-tx era associata ad una migliore sopravvivenza a 5 anni dal trapianto ed una minore incidenza di delayed graft function (DGF). [1] SCOPO DELLO STUDIO. Valutare se la metodica dialitica influenza l’immissione in lista, le condizioni al tx e i suoi esiti a un anno. PAZIENTI E METODI. Sono stati selezionati i pazienti del nostro Centro sottoposti a primo tx di rene dal 01.01.2008 al 1.1.2017 e con almeno un anno di osservazione post tx. RISULTATI. Sono stati inclusi 131 pazienti, 69 dall’emodialisi (HD) e 67 dalla dialisi peritoneale (DP). I pazienti in DP entravano in lista attiva prima di quelli in HD: mediana di 9 mesi (IQ-IIIQ: 5-14) dall’inizio della dialisi vs. 14 (IQ-IIIQ: 8-24; p=0.01). L’attesa in lista tx era minore nel gruppo DP con una mediana di 23 mesi (IQ-IIIQ: 11.5-37) rispetto ai 35 (IQ-IIIQ: 15-51) del gruppo HD (p=0.007). Considerata la più precoce immissione in lista e il minor tempo al trapianto in DP, l’età dialitica al trapianto era significativamente inferiore in DP (4.5 IQ-IIIQ: 3.1-6 anni vs 2.6 IQ-IIIQ: 1.7-4 anni p<0.0001). Al momento del tx le due popolazioni non differivano per prevalenza di comorbidità (ipertensione arteriosa, diabete mellito, cardiopatia ischemica, vascolopatia periferica e cerebrale, neoplasia) ad eccezione di malattia sistemica, più frequente in HD (30.4% vs 14.5%; p=0.03). Al momento del tx, i valori di emoglobina (Hb) erano maggiori in HD (Hb media 11.4±0.7 g/dL in HD e 11.1±0.9 g/dL in DP; p=0.03), così come i valori di albuminemia (media 4.1±0.3 g/dL in HD e 3.7±0.4 g/dL in DP; p< 0.001). Parimenti il Body Mass Index era superiore in HD (media di 24.6 ± 4.6 in HD vs 23.1 ± 3.5 in DP p=0.04). La diuresi residua era maggiore in DP (mediana 1200ml/die, IQ-IIIQ: 700-1800 vs 200 ml/die, IQ-IIIQ: 0-1000; p < 0.001). Tutti gli indicatori durante il primo anno post tx risultavano simili, ad eccezione dell’anuria post tx che era maggiore in HD (16.7% vs 5.1%; p=0.49). L’incidenza di rigetto, l’ospedalizzazione e le complicanze infettive e cardiovascolari erano simili. La funzione renale a 3 mesi e ad 1 anno era simile nei due gruppi, in particolare a 3 mesi la creatinina sierica media era 1.5 ± 0.6 mg/dl in HD e 1.5 ± 0.5 mg/dl in DP e ad 1 anno 1.6 ± 1.0 mg/dl in HD e 1.5 ± 0.5 mg/dl in DP. Non si è verificato nessun caso di peritonite sclerosante incapsulante post Tx. A fine osservazione, la sopravvivenza del graft e la sopravvivenza della popolazione era pari al 100%. CONCLUSIONI Nella nostra casistica non si sono evidenziate differenze negli indicatori e negli esiti nel primo anno post-tx tra pazienti HD e DP. Tuttavia, la più rapida immissione in lista e i minori tempi di attesa consentono al paziente in DP di trascorrere meno tempo in dialisi

    XIX Convegno Gruppo di Studio di Dialisi Peritoneale. Lecco

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    INTRODUZIONE. La Sclerosi Peritoneale Incapsulante (EPS) è una rara complicanza della Dialisi Peritoneale (DP) la cui prevalenza varia dallo 0,7 al 3,3% ed è direttamente proporzionale alla durata della DP (3,9% entro i primi 4-6 anni di DP, 18-67% oltre i 10 anni). Altri fattori di rischio per EPS sono: cessazione della DP (emodialisi, trapianto), soluzioni dialitiche scarsamente biocompatibili e/o ad elevata concentrazione di glucosio, possibile predisposizione genetica. Inoltre, sembra chiara la responsabilità degli inibitori delle calcineurine nell’insorgenza della EPS dopo trapianto di rene. PAZIENTI E METODI. Studio retrospettivo monocentrico su tutti i pazienti incidenti in DP nel nostro Centro dal 17 luglio 1979 al 31 dicembre 2017. RISULTATI. Pazienti incidenti in DP: 1045 (M/F= 580/465), durata mediana in DP: 24 mesi (IQ-IIIQ: 9-47). Diagnosticati 26 (2.5%) casi di EPS (M/F= 16/10) con una durata mediana in DP di 88 mesi (IQ-IIIQ: 45-143). A fine osservazione, 23 (88.5%) pazienti con EPS erano deceduti (mediana di sopravvivenza dalla diagnosi di EPS: 29 mesi): in 10 (43,5%) la causa del decesso era la EPS. Due (7.7%) pazienti avevano un trapianto di rene funzionante dopo 143 e 134 mesi dalla diagnosi e un (3.8%) paziente era in HD a 114 mesi dalla diagnosi. Dividendo l’intera popolazione DP in quattro decadi (Figura. 1), nei pazienti incidenti dal 1/2008 al 12/2017 (n° 304, 29,1%) non è stato diagnosticato alcun episodio di EPS, con una differenza statisticamente significativa tra la IV^ e la I^ decade (p=0,027), tra la IV^ e la II^ (p<0,001) e tra la IV^ e la III^ (p<0,001). Durante le quattro decadi si è resa evidente la progressiva riduzione della durata della DP (IV^ vs I^ decade: p<0,001; IV^ vs II^: p<0,001; IV^ vs III^: p<0,001) e l’aumento dell’età ad inizio DP (media±DS: 64±16). Inoltre, nessuno dei 405 (38,7%) pazienti incidenti in DP dal 8/2004 ha sviluppato la EPS (mediana in DP: 17 mesi; IQ-IIIQ: 5-34). Nello stesso periodo, anche i 94 (23,2%) pazienti DP trapiantati e gli 80 (19,7%) pazienti trasferiti in emodialisi, non hanno a tutt’oggi manifestato segni/sintomi compatibili con EPS. CONCLUSIONI. Da anni la EPS è riconosciuta come una rara ma temibile complicanza della DP. Nella nostra esperienza, nel corso dei decenni si è resa evidente la progressiva diminuzione del tempo trascorso in DP che ha, verosimilmente, contribuito a una significativa riduzione degli episodi di EPS. Inoltre, l’approfondita conoscenza della metodica dialitica, la migliore biocompatibilità delle soluzioni peritoneali, l’aumento del numero dei trapianti e il perfezionamento della terapia antirigetto, hanno cooperato a limitare la comparsa della EPS anche dopo il trapianto. A tutt’oggi, la DP deve quindi essere considerata come una metodica depurativa valida e sicura, che deve essere offerta a tutti i pazienti idonei

    A Translational Approach to Spinal Neurofibromatosis: Clinical and Molecular Insights from a Wide Italian Cohort

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    Spinal neurofibromatosis (SNF), a phenotypic subclass of neurofibromatosis 1 (NF1), is characterized by bilateral neurofibromas involving all spinal roots. In order to deepen the understanding of SNF's clinical and genetic features, we identified 81 patients with SNF, 55 from unrelated families, and 26 belonging to 19 families with at least 1 member affected by SNF, and 106 NF1 patients aged &gt;30 years without spinal tumors. A comprehensive NF1 mutation screening was performed using NGS panels, including NF1 and several RAS pathway genes. The main features of the SNF subjects were a higher number of internal neurofibromas (p &lt; 0.001), nerve root swelling (p &lt; 0.001), and subcutaneous neurofibromas (p = 0.03), while hyperpigmentation signs were significantly less frequent compared with the classical NF1-affected cohorts (p = 0.012). Fifteen patients underwent neurosurgical intervention. The histological findings revealed neurofibromas in 13 patients and ganglioneuromas in 2 patients. Phenotypic variability within SNF families was observed. The proportion of missense mutations was higher in the SNF cases than in the classical NF1 group (21.40% vs. 7.5%, p = 0.007), conferring an odds ratio (OR) of 3.34 (CI = 1.33-10.78). Two unrelated familial SNF cases harbored in trans double NF1 mutations that seemed to have a subclinical worsening effect on the clinical phenotype. Our study, with the largest series of SNF patients reported to date, better defines the clinical and genetic features of SNF, which could improve the management and genetic counseling of NF1

    A Translational Approach to Spinal Neurofibromatosis: Clinical and Molecular Insights from a Wide Italian Cohort

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    Spinal neurofibromatosis (SNF), a phenotypic subclass of neurofibromatosis 1 (NF1), is characterized by bilateral neurofibromas involving all spinal roots. In order to deepen the understanding of SNF&rsquo;s clinical and genetic features, we identified 81 patients with SNF, 55 from unrelated families, and 26 belonging to 19 families with at least 1 member affected by SNF, and 106 NF1 patients aged &gt;30 years without spinal tumors. A comprehensive NF1 mutation screening was performed using NGS panels, including NF1 and several RAS pathway genes. The main features of the SNF subjects were a higher number of internal neurofibromas (p &lt; 0.001), nerve root swelling (p &lt; 0.001), and subcutaneous neurofibromas (p = 0.03), while hyperpigmentation signs were significantly less frequent compared with the classical NF1-affected cohorts (p = 0.012). Fifteen patients underwent neurosurgical intervention. The histological findings revealed neurofibromas in 13 patients and ganglioneuromas in 2 patients. Phenotypic variability within SNF families was observed. The proportion of missense mutations was higher in the SNF cases than in the classical NF1 group (21.40% vs. 7.5%, p = 0.007), conferring an odds ratio (OR) of 3.34 (CI = 1.33&ndash;10.78). Two unrelated familial SNF cases harbored in trans double NF1 mutations that seemed to have a subclinical worsening effect on the clinical phenotype. Our study, with the largest series of SNF patients reported to date, better defines the clinical and genetic features of SNF, which could improve the management and genetic counseling of NF1

    The absence that makes the difference: choroidal abnormalities in Legius syndrome.

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    Neurofibromatosis type 1 (NF1) is an hereditary disorder characterized by abnormal proliferation of multiple tissues of neural crest origin, and presents mainly with multiple café-au-lait macules, axillary freckling and neurofibromas. Choroidal involvement in NF1 patients has been studied, thanks to the development of non-invasive tools such as infrared monochromatic light during fundus examination, which showed bright patchy lesions consistent with choroidal nodules. Choroidal abnormalities identified with near-infrared reflectance have reported with a frequency of up to 100% in NF1, and have been recently been proposed as a novel diagnostic criterion for NF1. Legius syndrome can be clinically indistinguishable from NF1 and results in a small percentage of individuals being misdiagnosed. We investigated the presence of choroidal abnormalities in Legius syndrome to determine their specificity to NF1 and their potential usefulness as a novel diagnostic criterion for NF1. We examined the fundus of 16 eyes by confocal scanning laser ophthalmoscopy with infrared monochromatic light in eight patients with molecularly confirmed Legius syndrome. No abnormalities were observed, confirming the diagnostic value of choroidal abnormalities for the diagnosis of NF1
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