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    Note sullo stile dell\u27Institutio di Marulić

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    0. Il contributo, dopo una breve premessa di tipo culturologico sull’opportunità di adottare in questo ramo degli studi una prospettiva coerente per la letteratura croata antica, superando impostazioni rivelatesi inadeguate come quella croniana, prende in esame il quinto capitolo del III libro dell’Institutio, intitolato De sacerdotibus honorandis. L’analisi testuale intende far luce sugli aspetti stilistici dell’opera, per poi proporre alcuni confronti per la ricerca del più prossimo modello culturale e letterario e indicare le conseguenze di questo genere di scrittura per lo stesso sviluppo linguistico croato. 1. Dopo l’annuncio del tema (quantum honoris sacerdotali dignitati deferri debeat), il testo si articola in tre principali sequenze compositive: 1) esempi di sacerdotium legis (Melkisedek come primo re-sacerdote, Aron come esempio positivo e “contemplativo”, interpretato figuralmente nei diversi sensi, Doeg come esempio negativo e “drammatico”), con un primo elogio del sacedote in coda; 2) dopo la formula di passaggio, esempi di sacerdotium Evangelii, anche qui con una struttura tripartita: la lettera di papa Anacleto e la legge dell’imperatore Costantino come testimonianze autorevoli; episodi tratti dalla vita dei santi, tra cui S. Martino, S. Ambrogio, S. Antonio abate e S. Francesco; un esempio femminile conclusivo (Maria Egiziaca), il cui commento finale sull’eccellenza e unicità sel servizio sacerdotale diventa la migliore introduzione alla sezione successiva; 3) come exhortatio finale, che coinvolga emotivamente il lettore, l’autore colloca un elogio dei sacerdoti come vicari di Cristo e il monito al lettore e a se stesso ad avere il più grande rispetto dei sacerdoti, nonché ai sacerdoti stessi a essere degni di tale vocazione con la loro purezza di vita. La materia, di per sé frammentaria, acquista nell’elaborazione di Marulić la forma di un insieme unitario, coerente e chiaro, ben articolato e artisticamente rilevante. Già qui si nota la distanza da Valerio Massimo, che aveva più che altro mirato a raccogliere insieme gli esempi perché lo studente di retorica potesse trasceglierli più facilmente per le sue esercitazioni, tanto che la divisione e la titolatura dei capitoli furono probabilmente frutto di un successivo intervento redazionale. 2. Sul piano linguistico, si può dire che il latino di Marulić rispecchia fedelmente la varietà tematica, da una parte variando l’espressione e la sintassi e utilizzando un ornatus moderato, dall’altra con un vigile controllo della generale fluidità del discorso, raggiungendo in tal modo un alto livello di comunicatività e omogeneità testuale. Gli esempi addotti riguardano casi di strutturazione sintattica complessa, in cui il verbo (e la proposizione) principale evidenziano l’elemento più importante (la decisione morale dei personaggi, il miracolo che risolve la situazione rivelando la volontà di Dio, ecc.); l’uso dell’ordine trimembre e di molti altri artifici retorici (anafora, asindeto, climax, omoteleuto e omeoarcto, chiasmo, allitterazione, iperbato, sinonimia...); il potenziamento ottenuto attraverso la collocazione del verbo all’inizio della frase; lo slancio emotivo che varia l’eloquio con imperativi, congiuntivi esortativi, vocativi ed esclamazioni. Nella terza parte del capitolo, l’elogio lirico del sacerdote va soggetto a una vera e propria elaborazione poetica, con abbondanza di figure di suono e di ritmo, nonché di citazioni bibliche, dirette e indirette. Il risultato letterario è un gioioso inno a Gesù, che a sorpresa termina con il verbo offendat, che suona come un ultimativo, solenne avvertimento al sacerdote. Marulić dunque varia e/o intensifica secondo la necessità, ma sempre dando al lettore un’indubbia impressione di generale chiarezza e scorrevolezza. Si sente qui che vive ancora in lui (e lo tiene al riparo dagli eccessi retorici) quella vitale latinità medievale, che aveva sempre privilegiato la funzionalità dell’espressione (pur adattata alle nuove esigenze), e non la rigida normatività stilistica e l’imitazione di un ristretto numero di autori, come è per esempio il caso delle Elegantiae del Valla. 3. A tale riguardo può essere istruttivo paragonare il testo di Marulić con il capitolo dedicato allo stesso tema nel De imitatione Christi di Tommaso da Kempis, opera che Marulić, seguace del movimento della devotio moderna, non solo conosce bene, ma traduce anche in lingua croata. Il divario stilistico, infatti, salta subito all’occhio: nel molto più breve De dignitate sacramenti et statu sacerdotali (IV, 5), l’articolazione della sintassi si riduce drasticamente, prevalgono i periodi brevi, l’andamento bipolare e i parallelismi; l’espressione è condensata, ogni parola richiede una sosta di meditazione. Solo nella parte finale troviamo un periodo un po’ più lungo e una serie asindetica, che contribuiscono alla generale impressione di “visione spirituale”, di concentrata tensione interiore. Marulić ha una sensibilità molto simile a quella di Tommaso da Kempis, ma nell’Institutio ha evidentemente optato per un più ampio, scorrevole e vivace respiro narrativo, attenuando, si direbbe, la linea mistico-ascetica e instaurando col lettore una confidenza e una cordialità più vicine al suo orizzonte culturale e letterario e alla spiritualità cristiano-umanistica di matrice italiana. Ritengo - e le ricerche future potranno ulteriormente approfondire e verificare il punto - che un modello stilistico, letterario e morale di prim’ordine per l’Institutio di Marulić poté senz’altro essere il Petrarca, anch’egli autore di raccolte di esempi morali, dal Rerum memorandarum al De viris illustribus e al De remediis. Il primo di questi scritti, in particolare, è in gran parte modellato su Valerio Massimo: attingendo a numerose fonti, il Petrarca dà forma a una serie di trattazioni morali, nelle quali dispone esempi tratti dal mondo classico, ma anche contemporaneo (come nel caso di re Roberto di Sicilia), seguendo Valerio soprattutto nel taglio aneddotico della narrazione e nella costruzione di un repertorio di esempi morali tratti dalla civiltà greco-latina, in una prospettiva unitaria. Già nella struttura di fondo, tuttavia, riprende piuttosto la partizione ciceroniana, classica (e cristiana) della materia secondo le quattro virtù cardinali, e soprattutto non può trovare in Valerio e nei suoi manierismi retorici un modello di lingua e di stile che lo soddisfi. È sufficiente considerare alcuni casi nei quali in entrambi gli autori la materia è la stessa o molto vicina, per convincersi del fatto che la lingua morale del Petrarca è del tutto diversa e si può appoggiare sull’esperienza della vitale latinità medievale, che in lui assume la sua misura classica, protoumanistica. Con la sua sensibilità stilistica, con il suo senso dello studiato equilibrio “musicale” dell’espressione prosastica, Marulić si pone sulla sua stessa linea di libera mistura di antico e moderno, prendendo però la materia dalla Bibbia, dalla tradizione della Chiesa e dalle vite dei santi. Mondo classico e cristiano, in Petrarca come in Marulić, si riconfermano essere i due polmoni del medesimo, unico organismo vivente, poiché l’umanesimo tende alla rinascita spirituale del mondo cristiano, che nell’etica antica cerca appoggio e guida per una coscienza cristiana più serena, riconciliata col mondo. Lo strumento di tale missione “civilizzatrice” è certamente la lingua latina, che in Petrarca come in Marulić si sviluppa senza alcuna rigidità normativa. E come Petrarca e Dante, anche Marulić promuove in parallelo anche la sua lingua materna (volgare) come lingua letteraria, traducendo in croato l’Imitatio di Tommaso da Kempis, la cui essenzialità e asciuttezza si rivelano il terreno ideale per saggiare le possibilità della prosa croata in via di formazione. Nel corso dei secoli il latino continuerà ad agire con la sua potente azione modellante, e questo “allenamento” della prosa aprirà la strada alla standardizzazione della lingua croata proprio nell’ambito dell’oratoria sacra e della letteratura didattico-morale, la cui lingua raggiungerà nel XVIII secolo, soprattutto per opera della koiné francescana dalmato-bosniaco-slavonica, un alto livello di omogeneità. Come illustrazione si riporta un passo di un’omelia solenne sullo stesso tema di fra Filip Lastrić da Oćevja (1700-1783)

    Sullo stile e la rilevanza culturale dell’Epistola A Papa Adriano VI di Marco Marulić

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    Nella comunicazione quotidiana assistiamo oggi a un singolare rinnovamento del genere epistolografico, tutte le volte che scriviamo (digitiamo) e scambiamo messaggi di posta elettronica (e-mail) privati o ufficiali, o anche, a un più basso ma non meno vitale livello stilistico, messaggi SMS, che somigliano talora a mini-lettere, o più spesso a epigrammi. Sono le nuove, ma ormai onnipresenti forme della comunicazione elettronica, che danno spazio anche a una parola più intima e confidenziale, o persino emotivamente connotata, riattualizzando di fatto l’antica funzione della lettera come dono, espressione di familiarità (cfr. Pseudo-Demetrio, Sullo stile 224). In questo contributo prendo in esame l’Epistola a Papa Adriano VI di Marco Marulić nell’ambito dell’epistolografia umanistica e all’interno del corpus maruliciano, nonché i suoi caratteri compositivi e stilistici, per cercare di valutarne l’importanza non solo come modo, ma anche come messaggio che scorre fra le righe, proponendo un confronto con passi tratti da discorsi/lettere contro i Turchi di Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), l’umanista italiano che il 19 agosto 1458, quando Marul era un bambino di otto anni, diventò papa. 2. 1. Al tempo di Marulić l’epistolografia umanistica aveva già una ricca tradizione, da quando Petrarca secondo il nuovo gusto aveva dato forma alle sue esemplari raccolte Familiares, Seniles e Sine nomine, aprendo così la strada a generazioni di umanisti, che fino al XVIII secolo seguiranno le sue orme, raccogliendo le proprie lettere latine, pubbliche o private, e diffondendole manoscritte, o in seguito a stampa, e sempre più nelle lingue nazionali, come opere letterarie. «Nel Quattrocento la rinnovata prassi epistolare, pur nel rapporto di ‘continuazione diretta’ con le artes dictaminis, ebbe la consapevolezza che il messaggio epistolare, conformato agli esempi antichi di Cicerone e di Plinio, potesse assurgere a strumento di diffusione del programma di studia humanitatis e ad espressione costitutiva della società culturale umanistica» (Griggio). Così fecero molti seguaci del Petrarca, come Coluccio Salutati (1331-1406) e i suoi allievi Leonardo Bruni (1370-1444) e Poggio Bracciolini (1380-1459), parallelamente al graduale affinamento della lingua latina come strumento di una comunicazione linguistica stabile, a differenza delle lingue nazionali, considerate mutevoli, e alla comparsa di trattati epistolografici che fornivano regole ed esempi agli studenti di retorica, dal De compositione di Gasparino Barzizza (ca. 1360-1431) al Modus epistolandi di Francesco Nigro (1452-1523) e al De conscribendis epistolis di Erasmo da Rotterdam (1466-1536). Nell’ambito del corpus letterario maruliciano l’Epistola a papa Adriano VI. tra i pochi testi epistolari in prosa è l’unico esempio di lettera di carattere pubblico. Infatti, su un totale di 22 testi, 11 sono lettere private e 10 lettere dedicatorie premesse a opere letterarie, ivi compresa la lettera dedicatoria all’Epistola a papa Adriano. Per il fatto stesso di avere la dedica e l’epigramma finale come paratesti accompagnatori, l’Epistola si conferma come opera letteraria che merita autonoma valorizzazione. La ragione per cui all’interno dell’opus maruliciano essa non va a comporre, insieme ad altre unità dello stesso genere, una raccolta epistolare in prosa come quelle del Petrarca, di Erasmo o del Poliziano, è da ricercare probabilmente, da una parte, nella tipica indole riservata dello scrittore, non in-cline a esporsi troppo direttamente al pubblico, dall’altra nella situazione di insicurezza materiale della vita dei cittadini di Spalato (che appena fuori dalle mura sapevano di andare incontro alla cattura o alla morte), una situazione che con la sua fragilità e drammaticità toglieva evidentemente agli scritti letterari pubblici la concreta possibilità di circolare liberamente ed essere recepiti in un clima psicologicamente positivo. Significativo in questo contesto è anche il fatto che Marulić dica di aver scritto l’Epistola su insistenza del predicatore domenicano, suo amico, Dominik Buća di Kotor, nella quale riconosce l’ispirazione di Dio, nonché dopo lunga esitazione e intima riflessione, come si legge sia nella dedica sia nell’esordio dell’Epistola. Ma una volta accettato il suo compito, Marulić lo svolge fino in fondo, condensando, si direbbe, in un’unica lettera ciò che le grandi raccolte epistolografiche umanistiche descrivevano e narravano in modo assai ampio, vario e dettagliato. La funzione della lettera rimane però la medesima, cioè quella di essere specchio, illustrazione letterariamente elaborata ma fedele dell’individualità umana e artistica dell’autore, come sottolineava lo Pseudo-Demetrio (Sullo stile 227: «La lettera, come il dialogo, deve dare la massima importanza all’espressione del carattere: infatti, ognuno scrive la lettera quasi come immagine della propria anima»), le cui osservazioni sulla composizione delle lettere erano state attentamente valorizzate dal geniale Angelo Poliziano, contemporaneo di Marulić, che indicava così la via per un nuovo sviluppo dell’epistolografia umanistico-rinascimentale, nel segno della docta varietas, che ben si applica anche all’approccio di Marulić. Se con i lavori in versi croati (Judita, Tužen’je grada Jerozolima, Molitva suprotiva Turkom) Marulić incoraggiava i suoi connazionali, esprimeva chiaramente e rafforzava vieppiù il senso di comune appartenenza e la volontà di resistere, ora, nel 1522, all’età di settant’anni si rivolge al papa con questa lettera politico-morale, in un elegante latino umanistico, per lanciare all’Europa un appello in difesa della sua patria, per il conseguimento della preziosa concordia tra i cristiani, il definitivo allontanamento viribus unitis della minaccia dell’invasione ottomana mediante energici contrattacchi e il finale ristabilimento della pace in Europa, offrendo al contempo, ormai avanti con gli anni, una singolare summa delle esperienze vissute, come individuo e come corifeo del suo popolo, conformemente all’idea tipicamente umanistica di lettera come documento storico-biografico e testimonianza per il futuro, quale è ad esempio l’emblematica Epistola Posteritati del Petrarca. 2. Il testo dell’Epistola è stampato nell’originale come un continuum grafico che utilizza il punto ( . ) e la barra ( / ) per indicare le necessarie pause, lunghe o brevi: già questo rimanda all’articolazione ritmico-musicale del testo, la cui elaborazione retorica è espressamente notata nel colofone (epistola eloquentissima). Propongo dunque una divisione del testo in capitoli sulla base di tale ritmo, in modo tale che ogni «a capo» marchi l’inizio di una nuova unità ritmica e i «versi» così ottenuti siano raggruppati, formando i capitoli, in base ai connettivi testuali che segnano le varie tappe dello sviluppo dei pensieri e delle emozioni dell’autore (cfr. la suddivisione proposta, con relativa numerazione, nella versione originale del contributo). Il testo risulta costruito simmetricamente: lo apre a mo’ di preludio una lettera accompagnatoria (la dedica a Dominik Buća) a un livello stilistico leggermente più basso (intimo) e lo chiude a mo’ di postludio un testo poetico (la preghiera epigrammatica a Cristo per papa Adriano in otto distici elegiaci) a un livello stilistico più elevato, mentre in mezzo si colloca il corpo dell’Epistola, in cui i tre capitoli introduttivi (1-3) corrispondono ai tre conclusivi (23-25) e i nove capitoli a tematica prevalentemente storico-politica e descrittivo-argomentativa (4-12) agli altrettanti capitoli a tematica prevalentemente didattico-morale ed etico-parenetica (14-22). In posizione centrale, il tredicesimo capitolo emerge chiaramente quale apice espressivo dell’intero sistema testuale, il cui spazio si allarga sia all’indietro, con la serie delle interrogative retoriche di intensità crescente nel capitolo precedente, sia in avanti, con il riassuntivo appello alla cessazione delle guerre fra cristiani che dovrebbe fondarsi sull’unità di fede nel capitolo successivo. La salutatio è drasticamente semplificata e consiste nella sola inscriptio, in cui l’inversione alicui aliquis (al posto del più standard aliquis alicui) avviene in ossequio al destinatario, e già nel secondo capitolo balena l’exemplum neo-testamentario della Samaritana che non ebbe timore di rivolgersi umilmente a Cristo. Con questo esempio evangelico in posizione iniziale l’autore è come se volesse subito stabilire col lettore/destinatario un rapporto confidenziale, creando l’atmosfera calda e familiare tanto raccomandata dagli umanisti. Ad essa contribuisce anche la leggera, quasi colloquiale formula di passaggio atque ita mecum ipse tacitus ratiocinari coepi (2,4), in contrasto col ritmo lento e solenne dell’apertura della lettera (con il parallelismo vel exiguae admodum / vel nullius omnino 1,1-2), regolando così la comunicazione su una misura intermedia, equilibrata, dal momento che subito dopo l’eloquio si eleva nuovamente fino alle eleganti figure conclusive di omoteleuto e omeoarcto (veluti praesenti atque audienti / exponimus et explicamus 2,8). La critica ha osservato che Marulić si rivolge al papa in modo piuttosto libero, scevro da lodi superflue, immediato. Si trattava infatti di un papa olandese, allergico a eleganze e lusinghe, di un temperamento nordico, severo e riservato, educato nella terra natia nello spirito della devotio moderna dai Fratelli della Vita Comune. Con la sua elezione «era compiuto il voto ardente del mondo cristiano, espresso tante volte dai migliori, d’avere un papa pio, dotto e santo. [...] Ora era chiamato sulla cattedra di Pietro uno totalmente fuori dalla politica italiana, il quale nulla più aveva a cuore che la difesa della cristianità e lo stabilimento della decaduta disciplina ecclesiastica. [...] La schietta semplicità propria della persona di Adriano e la sua rigidità ascetica formavano in confronto con Leone X un contrasto tale, che non se ne poteva immaginare uno più forte» (Pastor). Il fatto che, una volta divenuto papa, contrariamente all’usanza consolidatasi ormai da mezzo millennio, non mutò il suo nome, firmandosi sempre Adriano, era chiaro segno del fatto ch’egli volesse continuare ad essere se stesso. S’inimicò gli italiani non amando vacuità e cortigianerie, paganesimo e frivolezze, tanto che una volta disse con disprezzo che le lettere del cardinale Sadoleto erano opera di un poeta, cosa che i contemporanei presero come un beffeggiare la eloquenza. Che impressione gli fece allora l’epistola eloquentissima di Marulić? Lo infastidì l’aggiunta poetica? Era però questa una preghiera a Cristo, nella quale la menzione stessa del «selvaggio» dio pagano Marte simboleggiava (come in Krleža) l’universale tragedia della guerra. Ritengo peraltro che si possa affermare che l’eloquenza di Marulić nell’Epistola è sempre ben dosata, allo scopo di mettere in adeguato rilievo i temi scottanti dell’attualità politica e i grandi valori morali, universali. Pastor nota che l’Epistola di Marulić «con vive parole» rappresentava al papa il pericolo da parte degli infedeli. Adriano era in effetti sensibile alle eleganze della lingua latina, l’unica, del resto, di cui si servisse come pontefice, e il fatto che non parlasse italiano gli alienava ancor più gli italiani, che in lui vedevano uno straniero, un barbaro venuto dal nord a metter tutto a soqquadro. Nella prima parte dell’Epistola Marulić illustra anzitutto (capp. 4-7) le tragiche conseguenze dell’avanzata turca, tanto per la sua terra, che sanguina per le ininterrotte incursioni e devastazioni, quanto per l’intera regione, esposta alla loro marcata aggressività anticristiana, facendo anche brevemente memoria della perdita di numerosi territori per sottolineare le continuità e pervicacia dei loro intenti (rafforzatasi con la presa di Costantinopoli, che aveva in certa misura risvegliato l’Europa). Nella descrizione dei «mali che ci opprimono» (4,1) prevale la paratassi per asindeto, che con la sua efficacia visiva presenta la sconvolgente situazione. Riguardo ai «suoi dominatori (domini) Veneti» (5,2) lo scrittore ricorda la pace d’interesse stipulata coi Turchi, che non è vera pace, ma solo simulatio, una finzione per evitare mali maggiori. Conclude poi il quadro delle violenze sui cristiani con un commento riassuntivo in cui si lancia in un’acrobazia stilistica: Denique nihil praetermittere | impii pium putant | quod religioni nostrae ludibrio fore arbitrantur (gioco sonoro pii – piu – pu, figura etimologica impii – pium, proposizione principale al centro, che allontana la relativa introdotta da quod dall’antecendente nihil). Rimarca quindi (8) il commune periculum che incombe sulle terre cristiane, vicine o lontane, e l’importanza strategica del regno di Pannonia che si oppone al forte e motivato esercito turco. Qui (9-10) al tono narrativo-descrittivo subentra quello deliberativo-argomentativo: in tali circostanze, per scongiurare la caduta di quel regno (che segnerebbe la fine per tutti: actum est, mihi crede, de repub-lica christiana 9,2), urge l’intervento delle forze cristiane unite in quell’area. I recenti fatti militari sono brevemente presentati in un asciutto stile storico-narrativo, in contrasto con l’emotività (Deus hoc avertat! 9,8) e il ritmo accelerato del primo appello a una decisa e concorde azione militare in difesa del cristianesimo: questa idea-guida, lapidariamente incisa in forma di sentenza all’inizio del cap. 10 (Com-mune periculum communibus armis propulsandum est), viene espressa, da qui fino alla fine del testo, dal registro dimostrativo e da quello emotivo (esortazione o protesta), che si alternano in una serie di variazioni. Marulić sapeva che l’ostacolo maggiore alla realizzazione di tale progetto, la più grossa pietra d’inciampo che causava un’azione lenta e indecisa, fiacca e discontinua, oscillante o nulla, era la situazione dell’Europa cristiana, caratterizzata dalla cronica mancanza della volontà politica di trovare una soluzione efficace, condivisa e durevole del problema turco e tutta presa dalle sue «discordie, rivalità, ire, liti, guerre» (discordiae, simultates, irae, rixae, bella 20,3). Ciò era risultato evidente fin da quando il problema si era posto in modo serio in seguito alla caduta di Costantinopoli, evento che per i contemporanei di autentica formazione umanistica era stato un vero e proprio trauma. I potenti del tempo avevano abbandonato la città al suo destino, senza intromettersi negli avvenimenti quando ancora potevano impegnarsi militarmente per un esito diverso della vicenda. E il risultato fu che all’epoca di Marulić la situazione della penisola balcanica rivelava ancora grosso modo la stessa instabilità di un’ottantina d’anni prima, quando al concilio di Mantova indetto da papa Pio II per esortare i re e principi cristiani alla pace e alla spedizione contro i Turchi, il 18 settembre 1459 l’umanista Francesco Filelfo, nel suo discorso pronunciato a nome del duca di Milano Francesco Sforza, sottolineava, come Marulić, l’aggressiva politica del sultano e la necessità di aiutare gli Ungheresi. L’esclamazione che il regno di Pannonia non deve assolutamente cadere (hoc omen Deus avertat!) e le rivolte interne con cui gli Ungheresi continuano a scannarsi tra loro (intestinis seditionibus assidue digladiantur) mostrano interessanti consonanze con Marulić (Deus hoc avertat! 9,8; nequaquam inter se, sed cum solo illo digladiarentur atque certarent 11,2-3). Marulić conosceva questo testo? In ogni caso, parlando degli Ungheresi, Filelfo introduce il tema della discordia cristiana, sulla quale Marulić si concentrerà da qui in avanti, rivolgendosi anche lui ai cristiani con l’imperativo. Infatti, nei capp. 11 e 12, che conducono all’apice espressivo ed emotivo esattamente al centro del testo, l’autore passa a considerare la situazione di fatto: davanti al pericolo turco l’Europa cristiana offre un tristissimo spettacolo di sanguinose, estenuanti guerre di un regno contro l’altro. Lo iato tra la logica reazione difensivo-strategica che sarebbe necessaria per risolvere la crisi e la realtà fattuale, concreta era enorme, doloroso. Perciò, dopo i versi del Bellum civile di Lucano citati a rinforzo, la tensione emotiva continua a crescere, introducendo anche nuovi, forti motivi religiosi, come l’ira di Dio e le vittorie turche come punizioni dei crimini cristiani e l’enorme ingiustizia dello spargimento del sangue di coloro per la cui salvezza Gesù morì sulla croce. Il climax raggiunge il suo apice nel cap. 13, dove l’autore si rivolge direttamente ai cristiani con un’apostrofe che culmina nel grido di protesta Resipiscite tandem, resipiscite insipientes! (13,1). Poi, dopo un abbassamento di tensione a vantaggio del tono esplicativo (Nam... 13,6) e un rallentamento del ritmo con le figure del chiasmo e dell’iperbato che sigillano il capitolo (legi suae seruire coget, suae obtemperare impietati 13,10), all’improvviso e a tempo accelerato si leva di nuovo lo scongiuro: Desinite iam tandem, Christiani, aduersus Christianos bella gerere! Desinite caedibus inter uos desaeuire! (14,1-2). La profonda sfiducia nella possibilità di organizzare una spedizione a causa degli odi e delle divisioni tra i cristiani si ritrova apertis verbis in Enea Silvio Piccolomini, dunque proprio in colui che come papa era stato il più attivo ed entusiastico promotore della crociata. La seconda parte dell’Epistola, quella morale, parte proprio dalla disperazione che deriva inevitabilmente dall’esame della concreta realtà politica, in quanto, dice l’autore, i cristiani hanno perduto la fratellanza e l’umanità e i loro cuori sono lontani l’uno dall’altro, ed è questo il motivo per cui scoppiano i conflitti: fraternitatis, immo etiam humanitatis obliti, discordibus animis inuicem confligitis (14,6-7). È gravemente sconvolto il sistema dei valori: è questo che soprattutto colpisce, turba e induce a riflettere Marulić come credente e umanista, autore di svariate opere a carattere morale divenute famose in tutta Europa come l’Institutio o l’Evangelistarium. La supplica al papa, che occupa l’intera seconda metà del testo, potrà dunque essere intesa come tentativo di riaffermare i valori perduti, racchiusi nel concetto di sapientia (marcato dalla figura etimologica Resipiscite, insipientes!), nel modo proprio alla sua sensibilità, cioè con l’illustrazione per mezzo di esempi, e sotto la guida della massima autorità morale, quella del successore di Pietro, al quale Marulić più direttamente si rivolge in questa seconda parte (Pater sancte 16, 2). Lo conferma la formula riassuntiva finale nella conclusione, dove egli fa appello proprio alla sapienza e dignità del papa: tuae sapientiae est, Patre sacrosancte, tuaeque dignitatis prospicere ut... (23,3-4). La sapientia umanistica è il concetto chiave per comprendere la serie di esempi che l’autore dissemina in questa seconda parte dell’Epistola a sostegno dell’ideale riaffermazione di tre valori principali: concordia, pace e fratellanza. In tale orizzonte, spirituale e culturale-letterario insieme, il cui iniziatore era stato il Petrarca, sapientia rimanda a uno stile di vita e di cultura e a una visione del mondo che nascono dall’armonico accoglimento della Rivelazione divina, prima di Cristo (Antico Testamento) e in Cristo (Nuovo Testamento), da una parte, e della tradizione, popolare e letteraria (e quindi anche retorico-filosofica), dell’antichità classica, dall’altra. Qui gli esempi di Marulić vanno come a comporre proprio questo insieme, essendo desunti sia dalla Bibbia (Re Davide nel cap. 17, Gesù nei capp. 19 e 21), sia dal patrimonio classico, popolare (favola di Esopo nel cap. 18) e letterario (aneddoto di Plutarco, il cui nucleo didattico-morale e narrativo deriva anch’esso da Esopo, e sentenza di Sallustio nel cap. 22). Nel caso dell’aneddoto di Plutarco è interessante confrontare la rielaborazione di Marulić (eseguita con tutta probabilità per il tramite di contemporanee versioni latine) con il doppio originale (Reg. et imp. apoph. 174F e De garr. 511C) e con la traduzione di Francesco Filelfo (condotta sugli Apoph.). L’adattamento di Marulić si differenzia in larga misura dalla classica traduzione, com’è quella del Filelfo, ad esempio per l’uso del discorso diretto, l’omissione di ciò che non gli serve (il fatto che Sciluro ammaestrasse così i suoi figli in punto di morte) e l’aggiunta di ciò che invece gli serve (quibus convocatis per marcare il concetto di comunione davanti all’autorità del padre), o con l’espansione di una singola parola chiave (l’idea di debolezza, che in entrambi gli originali era espressa dal semplice aggettivo AσθενεÇς / Aσθεν[ς, è ampliata in omnium offensis uos ipsos exponetis). Per quel che riguarda gli esempi biblici, l’influsso dell’Institutio è manifesta sia nella generale intonazione didattico-morale, sia nel fatto che l’autore si appoggia con tutta evidenza a parti del capitolo De pace colenda (III, 6), riutilizzando fra l’altro la citazione evangelica sulla caduta dei regni discordi e quella di Sallustio. È significativo che nell’Institutio Marulić abbia messo prima la citazione pagana (mascherando la fonte con l’indefinito quidam) e dopo quella evangelica, mentre nell’Epistola è il contrario, così che dopo la «voce della Verità» la citazione di Sallustio è annunciata con le parole si quis Euangelio minus credulus dubitat («Se qualcuno dubita che sarà così perché crede meno al Vangelo» 22,1): come per allargare con tale inserto (nel rivolgersi a un papa!) lo spazio del vero destinatario a dimensioni universali, all’intera umanità, coerentemente con i principi dell’umanesimo. Mi piace pensare che col successivo esempio di Sciluro Marulić abbia voluto in modo particolare includere anche i Turchi nel suo sogno di pace, fratellanza e conco

    Senekina podloga nauku o dobročinstvima u Marulićevu Evanđelistaru

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    Il contributo intende mostrare la massiccia presenza di Seneca nella sezione dell’Evangelistarium di Marko Marulić dedicata al tema dei benefici (V, 21 – VI, 1). L’influsso del trattato senecano De beneficiis (come di taluni c.d. Proverbia Senecae e dell’Epistola 81) è evidente sia sul piano strutturale, nell’articolazione fondamentale in tre tempi (dare > ricevere > contraccambiare), sia su quello tematico, che riprende puntualmente da Seneca tutta una serie di pensieri e immagini che vanno a costituire il filo conduttore del discorso, all’occorrenza integrato con risonanze, ampliamenti ed exempla biblici; anche la formulazione è sovente molto vicina al testo senecano, arrivando in un caso alla citazione letterale.U posvetnom pismu svojega talijanskog prijevoda Marulićeva Evanđelistara, koji je izašao u Firenci 1571. godine, kamaldoležanin Silvano Razzi lijepom sintagmom božanska etika ističe osnovno obilježje toga Marulićeva djela kao priručnika kršćanske moralke te ujedno posvjedočuje odličan prijam što ga je ono doživjelo kod suvremenika, u prvom redu kao vrijedno štivo koje je svojom izvanrednom psihagogijskom snagom bodrilo pojedince u njihovu duhovnom napredovanju i svakodnevnom vježbanju u krepostima. Najugledniji antički uzor za takvo, snažno i živo pisanje o pitanjima praktične etičke filozofije nedvojbeno je bio Seneka, na kojega se gledalo gotovo kao na kršćanskoga pisca. Senekina se moralna proza od srednjovjekovlja nadalje neprekidno čitala i visoko cijenila, kako poradi estetskog užitka, tako i radi duhovne koristi; renesansni su je čitatelji mogli proučavati i uz nju meditirati bilo u cjelovitim izdanjima, bilo u antologijama najrelevantnijih mjesta. Tako, na primjer, u prvome dijelu svojega repertorija moralne filozofije Collectanea moralis philosophiae (Lisabon, 1571.) dominikanac Luis de Granada daje tematski izbor sentencija iz Senekinih djela, hvaleći u predgovoru rimskoga pisca kao vrsnoga moralnog filozofa: »Kao što je Fabije [Kvintilijan] o Ciceronu rekao da je u bavljenju govorništvom veoma napredovao onaj komu se Ciceron osobito svidio, tako će u društvenoj kreposti i pravom rasuđivanju ljudskih stvari veoma napredovati onaj kojemu čitanje Seneke bude bliska navika.« Senekina su djela doista bila bliska Marku Maruliću, koji ih je – kao što znamo iz oporučnog popisa knjiga – posjedovao u vlastitoj knjižnici (njegov je svezak naslovljen seneca moralis, a tiskan je u Veneciji 1490.). Polazeći od zapažanja da je Marulićev Evanđelistar i po sadržaju (zaokupljenost pitanjima moralne filozofije) i po svrsi (izrazita psihagogijska težnja sa svrhom poticanja čitatelja na kreposni život) srodan sa Senekinom moralnom prozom, u ovom radu usporedio sam Marulićev nauk o dobročinstvima u Evanđelistaru sa Senekinom raspravom De beneficiis (»O dobročinstvima«). Svrha je rada utvrditi koliko je antički filozof utjecao na djelo splitskoga pisca. da Marulić nije samo čitao nego i podrobno poznavao spomenuti Senekin traktat, izravno potvrđuju zapisi pod natuknicom »Seneca – Beneficium« u njegovu Repertoriju: tu je on pažljivo zabilježio pojmove ili mjesta koja je smatrao najkorisnijima i najznačajnijima, izričito citirajući na samom početku Knjigu o dobročinstvima (Liber de beneficiis). Takvo »kartotečno« skupljanje građe bilo je podsjetnik i priprema za pisanje vlastitih tekstova, pa je za nas vrlo zanimljivo ne samo u sadržajnom pogledu nego i kao uvid u »piščevu radionicu« u doba renesanse. Nauk o dobročinstvima smješten je u Evanđelistaru na kraj V. knjige (pogl. 21-26), a na početku sljedeće, VI. knjige (pogl. 1-5) nastavlja se specifičnijom temom zahvalnosti, odnosno nezahvalnosti prema Bogu. Budući da su knjige od IV. do VII. posvećene trećoj, najvećoj bogoslovnoj kreposti, tj. ljubavi (caritas),tema dobročinstava i (ne)zahvalnosti istaknuta je već ključnim položajem u samojsredini toga dijela Evanđelistara. dok su u uvodnim poglavljima V. knjige i u VI. knjizi (pogl. 2-5 i 6-10) građa i primjeri u cijelosti preuzeti iz Biblije i crkvene povijesti, u ostalim se poglavljima V. (22-26) i prvom poglavlju VI. knjige izlaganje uglavnom bavi međuljudskim odnosima, a biblijski se primjeri znakovito prorjeđuju. Na početku izlaganja Marulić najavljuje temu i njezinu artikulaciju: »Nakon razmatranja o milostinji ostaje da raspravljamo i o drugim dobročinstvima, kako u davanju tako i u primanju, te o iskazivanju zahvalnosti«. Tematski se nacrt podudara sa Senekinim. Kod njega se, naime, nakon uvodnoga dijela (I, 1-3),osnovna artikulacija rasprave najavljuje ovim riječima: »Ljude treba poučavati da rado daju, rado primaju, rado uzvraćaju.« Predočuje se zatim bitna dimenzija dobročinstva, tj. volja / dobrohotnost / duh (voluntas / benevolentia / animus), i njegova definicija: »što je dakle dobročinstvo? dobrohotan čin koji dodjeljuje radost te se, dodjeljujući je, i sam raduje, a pritom je naklonjen onomu što čini i od svoje volje na to pripravan.« Marulić će voluntas istaknuti na kraju 23. poglavlja, kao svojevrsni zaključni naglasak dijela u kojem se bavi davanjem dobročinstava (pogl. 22-23). Senekino se izlaganje nastavlja prema ovoj shemi (navode se odmah i odjeci u Marulića): — koja dobročinstva treba davati (I, 11-15), čemu odgovara euang. V, 22 (»O podjeljivanju dobročinstava«), i na koji način (II, 1-17), čemu odgovara euang. V, 23 (»Kako smo se dužni vladati pri davanju dobročinstava«); — kako se ljudi trebaju ponašati kod primanja dobročinstava (II, 18-35),čemu odgovara euang. V, 24 (»O primanju dobročinstava«); — iskazivanje zahvalnosti, odnosno nezahvalnosti (III, 1-5), s tri opširno obrađena pitanja: može li nezahvalnost biti kažnjena zakonom (III, 6-17), može li sluga dati dobročinstvo gospodaru (III, 18-28) te mogu li katkad djeca dati svojim roditeljima veća dobročinstva od onih koja su od njih primili (III, 29-38); Evanđelistar odrazuje temu u sljedećem, 25. poglavlju (»O vraćanju dobročinstava«), a od triju pitanja razvit će drugo u VI, 1 (»Može li se Bogu uzvratiti dobročinstvo«), gdje će afirmirati mogućnost da čovjek svojim vladanjem uzvrati dobročinstvo Bogu, i to ekvivalentnim primjerom sluge koji – iako je sve što ima primio od gospodara – može ovome pružiti dobročinstvo, žrtvujući za nj čak i svoj život; — pitanje jesu li davanje dobročinstva i iskazivanje zahvalnosti stvari koje treba željeti radi njih samih (IV, 1), s odlučnim pozitivnim odgovorom50, u polemici s epikurejcima, a naročito s njihovom tvrdnjom da Bog ne daje dobročinstva (IV, 1-20), uz produbljivanje pojma zahvalnosti i nezahvalnosti, s isključivanjem bilo kakve koristoljubivosti (IV, 21-40); na kraju 25. poglavlja Evanđelistara također je riječ o darežljivosti kao kreposti koja isključuje bilo kakvu koristoljubivost, pa je ona, dakle, sama sebi svrha; Božja su dobročinstva glavnom temom Marulićeva uvodnoga, 21. poglavlja; — nakon prvih četiriju knjiga svoje rasprave u posljednjim se trima (V-VII) Seneka bavi nizom sporednih pitanja, među kojima je i treba li biti dužan i uzvratiti dobročinstvo onomu koji nam je poslije nanio nepravdu (VI, 4-6),što odgovara sadržaju 26. poglavlja Evanđelistara (»Jesmo li dužni komu za dobročinstvo za kojim je uslijedila nepravda«). Zašto je Marulić izabrao baš tajetički problem? Seneka će o njemu opširnije govoriti i u jednom pismu Luciliju (X, 81), jer – kaže – u djelu O dobročinstvima ono nije bilo dovoljno razrađeno;moguće je da je takvo autorovo inzistiranje skrenulo Marulićevu pozornost baš na to pitanje. Temom dobrotvornosti (beneficentia) bavi se i dio prve knjige Ciceronova djela O dužnostima (I, 42-60), ali se u njega kompozicijska struktura i opći pristup znatno razlikuju od Seneke i Marulića. Početna tvrdnja izlaganja o dobrotvornosti jest da »nema ništa prikladnije ljudskoj naravi, ali traži više mjera opreza« (cautiones), koje će daljnji tekst ilustrirati, a to su: da dobrotvornost nikome ne škodi, da ona ne bude veća od stvarnih mogućnosti, da se svakome pruži prema zasluzi. Pri ovom pak trećem opreznom potezu treba razmotriti tri čimbenika, tj. vladanje, raspoloženje prema nama te društvene veze i usluge koje su prije bile pružene nama u korist: dobročinstva će se podjeljivati onim ljudima u kojima sja kakva krepost, koji su nam čvrsto i postojano skloni i koji su nam društveno bliži, s time da razmjenjivanje dobročinstava ide na obostranu korist, učvršćujući i štiteći društveno-politički poredak. Slijedi opis stupnjeva ljudskog zajedništva po koncentričnim krugovima, na osnovi zajedničke pripadnosti ljudskoj vrsti, rodu, gradu, obitelji. Snažni su čimbenici društvene kohezije sličnost u vladanju kod pripadnikâ višega staleža, otkud nastaje pravo prijateljstvo, te veza s državom, tj. domoljublje. U zaključku Ciceron upozorava da zbog raznolikosti slučajeva nije dostatno usvojiti teorijska načela, nego treba prakticiranjem postati iskusnim i uvježbanim, »da bismo mogli biti dobri knjigovođe dužnostî pa, dodajući i oduzimajući, vidjeti koji je rezultat, te otud prosuditi koliko si svakome dužan«. Marulić u Evanđelistaru neće slijediti Cicerona u kompoziciji, a pogotovo u ovakvim društvenim »proračunima«, koje on u pogl. 25. izrijekom odbija. Gotovo pola tisućljeća nakon Cicerona (389. g. po. Kr.) sv. Ambrozije također piše djelo pod naslovom O dužnostima, u kojemu svojem kleru, a vjerojatno i laicima, nudi zbirku pravila za kršćanski život. Ambrozije zadržava opći ustrojCicerova traktata, ali primjere iz antičke povijesti zamjenjuje biblijskima. Izlaganje o dobrotvornosti (I, 30-34) počinje razlikom između beneuolentia kao bene uelle i liberalitas kao bene facere, a obje su potrebne za savršenu dobrotvornost; u promicanju dobrohotnosti kao kategorije prepoznatljiv je Senekin utjecaj. Slijedi niz pouka u Ciceronovu duhu, među kojima je i napomena da dobročinstvo treba uzvratiti obilnijom mjerom, oponašajući u tome plodnu zemlju, koja posijano vraća mnogostruko. Ambrozije nadalje objašnjava da dobrohotnost nadmašuje darežljivost i zasniva pravo prijateljstvo kao duhovno zajedništvo (ovdje je također razvidan Senekin utjecaj); u Crkvi ona postaje još većom s obzirom na zajedničku vezu Milosti. Na kraju, pak, ističe Ciceronov pojam sličnosti u vladanju kao preduvjet i posljedicu prave dobrohotnosti, za što prilaže i biblijske primjere: nije moglo biti dobrohotnosti između Noinih sinova, niti između Ezava i Jakova, jer su imali različitu ćud i drukčiji temperament. Marulić kao vjerski pisac prvo poglavlje izlaganja (V, 21) posvećuje Božjim dobročinstvima, tj. stvaranju svijeta i čovjeka te Kristovu otkupljenju. Kao odgovor, čovjek može oponašati Boga »u iskazivanju čovjekoljublja svojim bližnjima« (in impartienda proximis nostris humanitate), jer nas najsličnijima njemu čini ljubav. Zato je pružanje dobročinstava po uzoru na Krista temeljna značajka kršćanskoga života. Marulićev univerzalni pristup dalek je od Ciceronova, pa i od Ambrozijeva, a veoma je blizak Senekinu. Početna formulacija zapravo transponira u potvrdni lik jednu od Senekinih izreka (u Marulićevu izdanju: Proverbia senecae) koja je zapisana u Repertoriju: »što znači činiti dobročinstvo? Nasljedovati Boga.« I u Senekinu se traktatu više puta vraća misao da je dobročinstvo oponašanje bogova/boga (II, 29, 4-6; III, 15, 4; VII, 31, 4-5). Sljedeće Marulićevo poglavlje (V, 22) određuje kada i komu valja pružiti dobročinstvo. Početni asindetski niz nadovezuje se na onaj iz prethodnog poglavlja da bi pojačao univerzalnost pojašnjavanjem učinaka dobročinstava. Marulić tvrdi da dobročinstvo moramo uskratiti kad znamo da će primatelju naškoditi, unatoč molbama i inzistiranjima: to je varijacija na odnosni Senekin tekst (II, 14). Tema je doduše prisutna i u Cicerona i sv. Ambrozija, ali u sasvim drukčijem, preskriptivnom tonu, pri čemu nema one živosti Senekina izraza, koja se odrazuje i u Marulićevoj preradi. Sâm Bog u svojoj mudrosti – dodaje ovdje splitski pisac – »ne daje sve onima koji ga mole. [...] Jer se često događa da oni koji to postignu trpe štetu po svoju dušu. što bi dakle gnjevan možda dopustio, to milostiv uskraćuje, a mi ne znamo«. (Odjekuje ovdje jedan epigram Prospera Akvitanskog, koji je zapravo pjesnička transpozicija Augustinove misli iz enarrationes in Psalmos. Patristički je izvor Marulić mogao preuzeti ili izravno ili preko sekundarnog izvora, kakav bi mogao biti Compendium moralium notabilium [1300., tiskan u Veneciji 1505.] padovanskog suca i pisca Geremije da Montagnone, u kojem je Prosperov epigram citiran u odjeljku posvećenom dobročinstvima.) Slijedi u Marulićevu tekstu misao da dobročinstvo rađa većom zahvalnošću kad se daje dragovoljno, što potkrepljuje jedna od Senekinih izreka koja se tu doslovno citira: »Kažu da je dvostruko draže, ako od svoje volje pružiš ono što je potrebno« (Bis esse gratum, aiunt, quod opus est si ultro offeras). Nadalje, tvrdi se da se, kad netko opravdano moli nešto što mu je uistinu potrebno, ne smije odugovlačiti, nego treba dati odmah: osim kratkog umetka Salomonove pouke, ovo je također preradba iz Seneke (II, 5). Odavde do kraja poglavlja Marulić precizira komu treba pružati dobročinstva, preporučujući da se nadasve izaberu zaslužni, čestiti ljudi, kao što je čitao i u Cicerona i u Seneke. U uvodnoj formulaciji preoblikuje jednu od senekinih izreka proširujući je. Tvrdi, naime, da se radi o lihvi, a ne o dobročinstvu kad čovjek daje zato što očekuje da će se time okoristiti; pokazuje se da je Marulić ovdje doslovce preuzeo, s neznatnom sintaktičkom prilagodbom, rečenicu iz prvoga, opširnog poglavlja prve knjige Senekina traktata: dignus est decipi qui de recipiendo cogitavit, cum daret u Marulića postaje dignus decipi, quoniam de recipiendo cogitauit, cum daret. U kontrastu s tim, završni dio pogl. 22. posve je u biblijskom ozračju: citirajući Novi zavjet, Marulić potvrđuje da treba činiti dobro i neprijatelju, da bi se njegova mržnja rastopila u naklonost i dobrohotnost,i nezahvalnomu, jer smo svjesni da će Bog nagraditi svako dobro djelo. Nakon opazaka o prvim dvama poglavlja u tekstu sam priložio tablični pregled podudarnosti što sam ih uočio između Marulićeva Evanđelistara (V, 21 – VI, 1) i Senekine rasprave O dobročinstvima, s dotičnim zapisima iz Repertorija;istaknuo sam nekoliko naročito zanimljivih slučajeva znatne Marulićeve tekstovne blizine Seneki. Na osnovi iznesenoga, možemo reći da je u nauku o dobročinstvima Marulićeva Evanđelistara razvidan dublji Senekin trag. U tekstu gotovo da i nema mjesta u oblikovanju kojega se ne bi razabrao Senekin podtekst, pri čemu ga kršćanski humanist slobodno preformulira, nanovo tumači ili čak doslovno preuzima / citira. Zapaziti je, napokon, da u usporedbi sa sedam knjiga Senekina trakata odnosnih sedam poglavlja u Marulićevu Evanđelistaru imaju isti osnovni ustroj (davati – primati – uzvraćati – posebna pitanja) te iste ključne teme (važnost animus i voluntas, dobročinstvo kao čin beskompromisne ljubavi po uzoru na Božju dobrotvornost). Iako u predgovoru Evanđelistara Marulić izričito tvrdi da »ništa strano neće biti uvršteno, kako se ne bi činilo da nam je potrebno što tuđe«, pokazuje se da je on itekako znao de facto valorizirati antičko naslijeđe, svjestan da se, kako sam kaže, »u toj tako sjajnoj vrsti pouke navodi [se] uistinu mnogo toga što su mudro i oštroumno pronašli i obradili filozofi«

    Surface electromyography pattern of human swallowing

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    <p>Abstract</p> <p>Background</p> <p>The physiology of swallowing is characterized by a complex and coordinated activation of many stomatognathic, pharyngeal, and laryngeal muscles. Kinetics and electromyographic studies have widely investigated the pharyngeal and laryngeal pattern of deglutition in order to point out the differences between normal and dysphagic people. In the dental field, muscular activation during swallowing is believed to be the cause of malocclusion.</p> <p>Despite the clinical importance given to spontaneous swallowing, few physiologic works have studied stomatognathic muscular activation and mandibular movement during spontaneous saliva swallowing.</p> <p>The aim of our study was to investigate the activity patterns of the mandibular elevator muscles (masseter and anterior temporalis muscles), the submental muscles, and the neck muscles (sternocleidomastoid muscles) in healthy people during spontaneous swallowing of saliva and to relate the muscular activities to mandibular movement.</p> <p>Methods</p> <p>The spontaneous swallowing of saliva of 111 healthy individuals was analyzed using surface electromyography (SEMG) and a computerized kinesiography of mandibular movement.</p> <p>Results</p> <p>Fifty-seven of 111 patients swallowed without occlusal contact (SNOC) and 54 individuals had occlusal contact (SOC). The sternocleidomastoid muscles showed a slight, but constant activation during swallowing. The SEMG of the submental and sternocleidomastoid muscles showed no differences between the two groups. The SEMG of the anterior temporalis and masseter muscles showed significant differences (p < 0.0001). The duration of swallowing was significantly higher in the SNOC subjects. Gender and age were not related to electromyographic activation. Healthy SOC and SNOC behaved in different ways.</p> <p>Conclusion</p> <p>The data suggest that there is not a single "normal" or "typical" pattern for spontaneous saliva swallowing. The polygraph seemed a valuable, simple, non-invasive and reliable tool to study the physiology of swallowing.</p

    Giustizia e letteratura II

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    The book explores and links different cultures, disciplines and perspectives, with a far more original and broad approach to the relations between “Justice” and “Literature” than more traditional works focused on “Law” and “Literature”. The many contributions from writers, literature and movie critics, psychologists, and criminal law practitioners and scholars, draw a complex and interdisciplinary path through primary texts of Italian and international literature, with the aim of prompting readers’ reflections about core issues related to law, crime, and responsibility. Through the analysis of masterpieces of literature, theatre and cinema, this book aims at stimulating dialogue and debate, as well as critical abilities and a deep-rooted sense of justice, amongst both law professionals and citizens at large. Literature and other forms of narration are presented here as a privileged key to approach long-standing questions about (amongst other) causes and consequences of crime; victimization and coping mechanisms; the role of criminal law and criminal proceedings; legalism and equity; law and ethics; the ‘time’ of justice; freedom, responsibility, culpability and forgiveness; rules, legality, socialization and culture; language and images as mediums for justice issues; the impact of prejudice and of existing balances of power on the application of the law; social and legal mechanisms of exclusion and inclusion; gender issues and legal systems; and so on. A whole section (Part V) is devoted to crimes against humanity and how the literary testimony may be understood both as a strategy to resist injustice and to seek justice, and as a way to prevent further horrors. Through this quest for justice in literature and arts, the volume proposes a wider cultural and research project which defies traditional formalistic and retributive approaches to criminal law, in order to open new perspectives for restorative and reintegrative strategies

    ECMO for COVID-19 patients in Europe and Israel

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    Since March 15th, 2020, 177 centres from Europe and Israel have joined the study, routinely reporting on the ECMO support they provide to COVID-19 patients. The mean annual number of cases treated with ECMO in the participating centres before the pandemic (2019) was 55. The number of COVID-19 patients has increased rapidly each week reaching 1531 treated patients as of September 14th. The greatest number of cases has been reported from France (n = 385), UK (n = 193), Germany (n = 176), Spain (n = 166), and Italy (n = 136) .The mean age of treated patients was 52.6 years (range 16–80), 79% were male. The ECMO configuration used was VV in 91% of cases, VA in 5% and other in 4%. The mean PaO2 before ECMO implantation was 65 mmHg. The mean duration of ECMO support thus far has been 18 days and the mean ICU length of stay of these patients was 33 days. As of the 14th September, overall 841 patients have been weaned from ECMO support, 601 died during ECMO support, 71 died after withdrawal of ECMO, 79 are still receiving ECMO support and for 10 patients status n.a. . Our preliminary data suggest that patients placed on ECMO with severe refractory respiratory or cardiac failure secondary to COVID-19 have a reasonable (55%) chance of survival. Further extensive data analysis is expected to provide invaluable information on the demographics, severity of illness, indications and different ECMO management strategies in these patients

    Marulićeva poslanica papi Hadrijanu VI. na talijanskome: prijevod s traduktološkom napomenom

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    Presento in questo contributo la mia traduzione dell’Epistola a papa Adriano VI di Marco Marulić in lingua italiana, rendendo ragione dei procedimenti traduttivi mediante i quali ho cercato, nel darle forma, di rispecchiare almeno in parte la varietà ritmico-stilistica dell’originale latino. Come atto di riscrittura di un testo in un diverso codice linguistico, il lavoro traduttivo è tanto più esigente e complesso, quanto la qualità artistica dell’originale è più alta e multiforme. La fedeltà al testo di partenza da una parte e la rifinitura nella lingua di arrivo dall’altra raramente si trovano congiunte in un prodotto di cui il traduttore possa sentirsi pienamente soddisfatto. Nel nostro caso, la varietà dell’epistola eloquentissima di Marulić si manifesta nella contaminazione di diversi tipi di eloquenza (epistola confidenziale a Domenico Buća, oratoria politico-deliberativa nella prima parte dell’Epistola al papa, morale-epidittica nella seconda) e nella variazione stilistico-espressiva degli aspetti »musicali« (fonico-ritmici) ed emotivi.Opat Melchiorre Cesarotti (1730-1808), padovanski književnik, kritičar i jezikoslovac, pjesnik i prevoditelj s grčkoga (Eshila, Pindara, Demostena, Ilijade),ali i s francuskoga (Voltaireovih tragedija Cezarova smrt i Muhamed) i engleskoga (Ossianovih pjesama), u Eseju o filozofiji jezikâ, sretno spajajući iluminizam s ranim romantizmom, tvrdio je da jezik treba osloboditi autoritetâ i prestrogih tradicijskih normi, a pod vodstvom razuma i ukusa otvoriti ga pozitivnom utjecaju suvremenih stranih jezika. Poglavlje Korist prijevodâ slikovito opisuje postupke pravog prevoditelja: »Vrsni prevoditelj, namjeravajući s jedne strane da se natječe sa svojim izvornikom, i odbijajući da zaostane za njim; a bojeći se s druge strane da se pred svojim sunarodnjacima ne bi pokazao nejasnim i barbarskim, prisiljen je na neki način svoj jezik staviti na muke, kako bi njemu samom pokazao pun raspon njegovih snaga; domišljato ga zavesti kako bi pobijedio njegova nerazumna kolebanja te ga ponovno pribiližio stranim jezicima; pronalaziti razne oblike pomirenja i dogovora, i napokon učiniti ga bogatijim nijansama i raspoloženjima, a da ga ne izobliči ili unakazi. Piščev jezik pokazuje držanje čovjeka koji hoda uravnoteženo, uvijek jednako neusiljen i staložen; prevoditeljev pak predstavlja atleta istreniranog u svim gimnastičkim vježbama, koji umije izvući ono najbolje iz svakoga svojeg uda, pa se predaje svakom, makar i najneobičnijem pokretu s tolikom lakoćom da se taj uvijek čini najprirodnijim, štoviše jedinim.« Dakle, prijevod kao vježbanje i provjera mogućnosti jezika, pa i iskušavanje novih izražajnih sredstava; pravi izazov, koji prevoditelja nuka da svoj jezik ne prihvati takav kakav jest, nego da ga »podvrgne mukama« kako bi postigao rezultat koji bi se čak mogao mjeriti s predloškom. U svom prijevodu Marulićeve Poslanice Hadrijanu VI. (1522) na talijanski jezik, uzeo sam ovaj Cezarottijev opis kao misao vodilju jer se duboko slažem s takvom »dinamičnom« koncepcijom prijevoda, po kojoj tumačenje predloška i njegovo prenošenje drugim kodom u novi jezični organizam teži stvaranju živog teksta, za živu zajednicu govornika koji danas uz pomoć prijevoda mogu putovati u prošlost – u našem slučaju, nekih petstotinjak godina unatrag. Dobro je pak poznata »otvorenost« književnog prevođenja, zbog niza kulturoloških, povijesnih i psiholoških, dakle izvanjezičnih čimbenika koji su neminovno uključeni u proces i koji kombiniranjem vode do nužno subjektivnog rezultata. Umjetnička kvaliteta traži da prevoditelj postupa, Ciceronovim riječima, ut orator, sententiis isdem et earum formis tamquam figuris, verbis ad nostram consuetudinem aptis: »kao govornik, istim mislima i njihovim oblicima kao i figurama, riječima prikladnima našoj navadi.« Prema tome, prijevod će uvijek biti usavršiv, sve dok se u takvoj tekstovnoj radionici, ili borilištu, prevoditelj ne preda i proglasi svoj rad konačnim. Znakovito je da je upravo zbog takve očito subjektivne komponente prevođenja, kad je na leuvenskom kolokviju o temi »Književnost i prevođenje« 1976. godine i utemeljena traduktologija, prihvaćen pojam Translation studies, dosl. »prijevodni studiji«, a ne prijevodna znanost,koja bi implicirala viši stupanj objektivnosti. No, svijest o mnogostrukosti i raznolikosti traduktoloških teorija »ne znači«, piše Paola Faini, »odreći se sučeljavanja s problemom što ga čin prevođenja postavlja. Znači zapravo dati odgovarajuću važnost složenosti samoga čina, pa gledati na različite teorije u njihovoj nužnoj privremenosti, kao na rezultat vremenske evolucije elemenata koji upravljaju jezičnim i kulturnim stvaralaštvom«. Dakle, prevoditelj će se odlučiti za one postupke, one prioritetne kriterije koje bude smatrao najprikladnijima za svoj konkretni, povijesno individualizirani prevodilački čin, težeći njihovu što dosljednijem primjenjivanju. Prevodeći Marulićevu Poslanicu Hadrijanu VI. na talijanski jezik, držao sam se sljedećih temeljnih načela: 1) budući da je predložak književni tekst koji u okviru epistolografskoga žanra otvara prostor i povijesnom pripovijedanju i moralno-didaktičkoj parenezi, s istaknutom ritmičkom i stilskom izražajnošću i raznolikošću, prednost sam davao ritmičkom čimbeniku i nastojao sam prenijeti govornički ritam predloška služeći se rješenjima koja bi barem donekle stvarala sličan »glazbeni« učinak na talijanskome (npr. uerebar profecto / ad tantae maiestatis uirum / mearum quicquam dare litterarum > »ero decisamente riluttante / a consegnare una mia lettera, quale che sia, / a un uomo di siffatta maestà«); 2) s obzirom na to da talijanski pripada među jezike analitičkoga tipa, pa sažetost latinskog predloška nije uvijek moguće odraziti u prijevodu, često sam ju »razriješio« širim sklopom riječi, analitičkim sredstvima (npr. amissa repetant, recepta ... > »riconquistino i territori perduti, e dopo averli recuperati ...«) ili ponekad redundancijom, kako bi jasno izašla na vidjelo semantička vrijednost koju sam želio istaknuti i razjasniti (npr. persuasit > »mi ha definitivamente convinto a farlo«); tek iznimno pomalo sam »forsirao« talijanski kako bi bliže slijedio predložak, ali nastojeći to što prirodnije uklopiti u govorni tijek (npr. temerarium quippe uidebatur ut ego ... > »temerario certo appariva che io ...«); 3) na leksičkom i sintaktičkom planu, prednost u odabiru davao sam riječima i sintagmama suvremenog uporabnog jezika za koje sam smatrao da se najskladnije uklapaju u govorni tijek i ne stvaraju poteškoće u razumijevanju ni dvosmislenosti (npr. si tamen adhuc pauca quaedam subiecero > »non prima però di aver aggiunto qualche parola«), po potrebi katkad žrtvujući pokoju riječ koja bi »otežala« tekst (npr. quod ... multa distet locorum intercapedine > »se ... lo separa una grande distanza«). Što se tiče prijevoda autorova imena Marcus Marulus talijaniziranim oblikom Marco Marulo umjesto izvornoga hrvatskog Marko Marulić, valja napomenuti kako su me na taj izbor potakli ne samo veća eufonija oblika Marulo, koji se – bliže odražavajući latinsko Marulus – bolje uklapa u zvučni kontekst talijanske rečenice, nego i povijesno-kulturni razlozi, jer pisanje Marulo omogućava da se istakne međunarodna, europska dimenzija ugleda koji je pisac stekao latiniziranim oblikom Marulus, od kojega potječe talijanizirani Marulo. Dodat ćemo kako sâm prijevod otvara pitanja koja potiču na daljnje razmišljanje i proučavanje. Tijekom prevođenja jedno je od njih posebno privuklo moju pozornost: zašto u Poslanici nije problematiziran i financijski aspekt, koji je zasigurno utjecao na neučinkovito organiziranje borbe protiv Turaka? Njegova konkretna važnost natuknuta je u zaključnom apelu Poslanice, ali nije predmetom zasebnog razmatranja. Odsutnost ekonomskog pitanja, tj. financiranja pohoda donekle smo i očekivali, jer je Marulićeva Poslanica u biti moralni poziv na obraćenje i jedinstvo kršćanâ kao jedini pravi način opiranja turskoj invaziji. Ali možda je posrijedi i oprez, odluka da se ne dira u preosjetljive teme neumjesnim spominjanjem financijskih poteškoća i/ili lakomosti crkvenih i svjetovnih dostojanstvenika. U suprotnom, pisac bi prekoračio dopuštenu mu mjeru prijekora upućenih samom papi, jer u Poslanici (pogl. 7-8) već nalazimo svojevrstan prosvjed protiv osvetničkog ponašanja Petrova nasljednika, kojega Marulić poziva da odgodi kažnjavanje (differ ultionem) onih koji povrjeđuju dostojanstvo Crkve: zbog univerzalnosti moralnoga diskursa Poslanice, opomena poprima karakter opće kritike prema takvoj politici papinstva. O bezobzirnom pak pljačkanju novca prikupljenog za protuturski rat, koji je redovno završavao u raznoraznim džepovima, umjesto da posluži cilju, svjedoči Erazmovo pero u Odgoju kršćanskoga vladara (Institutio principis Christiani)iz 1516., posvećenom budućem caru Karlu V: »I vidimo da je pod izgovorom takvih [tj. protuturskih] ratova kršćanski puk toliko puta opljačkan, a da se ništa nije postiglo. [...] Međutim, kakvi su oni koji sada vode takve ratove, prije će se desiti da ćemo mi postati Turci nego će oni preko nas postati kršćanima. Prvo moramo raditi na tome da budemo bratski povezani kršćani, a zatim, bude li prilike, možemo navaliti i na Turke.« Iz ovih riječi dobro se razabire koliko je moralna poruka Marulićeve Poslasnice u biti bliska Erazmovim nazorima

    Development of a prototype for the analysis of multiple responses of the autonomic nervous system

    No full text
    The autonomic nervous system (ANS) drives different non-voluntary responses, which can be investigated by multiple sensors. We propose a modular hardware prototype for the noninvasive acquisition, processing and transmission of biological signals to analyze the ANS in synchrony with the video recording of the pupil. The implementation includes 1) two noninvasive sensors, a pulse oximeter and an electrodermal activity sensor, 2) a module able to collect the information and send it to the PC via USB and 3) a graphic user interface for visualization, synchronization and data saving. A series of experimental tests were performed to investigate the effect of different stimulations: light, dental occlusion, transcutaneous electrical nerve stimulation (TENS) and mental efforts. They indicate the reliability of the system and the importance of the joint detection of more signals for discriminating different states of the ANS. Specifically, heart rate, Galvanic response and pupil size were compared, showing some coherence in their oscillations and a different ability to discriminate between the stimulation conditions. Their joint detection is thus important for discriminating different states of the ANS
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