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    ANALISI DELLE FRAZIONI PLASMATICHE DELLA GAMMA-GLUTAMMILTRANSFERASI (GGT) IN DONATORI DI SANGUE REATTIVI AI TEST DI SCREENING PER L'EPATITE B e C

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    RIASSUNTO Questa tesi sperimentale si inserisce in un progetto di ricerca finalizzato allo studio delle variazioni dell’espressione delle frazioni dell’enzima gamma-glutammiltransferasi sierica (GGT) in soggetti donatori di sangue risultati positivi ai test di screening per HBsAg e/o HCVAb a cui i donatori sono abitualmente sottoposti ogni qual volta che effettuano una donazione. Affinché la donazione possa essere considerata valida, il donatore, in base alla normativa vigente in Italia, deve risultare negativo ai test di screening per le malattie infettive, tra cui il test per l’antigene di superficie del virus dell’epatite B (HBsAG) e il test per valutare la presenza di anticorpi contro il virus dell’epatite C (anti-HCV). Può accadere che il donatore risulti positivo a tali test, pur essendo negativi i test che valutano la presenza di DNA o RNA virale (test NAT) e i test di conferma per l’HBV e l’HCV applicati in caso di reattività/positività iniziale al test di screening; in questo caso le unità di sangue ed emocomponenti provenienti da tali donatori non possono essere utilizzate a fini medici e vengono eliminate nonostante il donatore non possa considerarsi affetto da epatite B o C. Ci si trova così di fronte ad un problema di gestione di tali donatori e delle relative donazioni di sangue. La GGT è utilizzata come marcatore di danno epatico dal 1961; il test per la valutazione della GGT è molto sensibile ma al tempo stesso poco specifico, perciò è difficile associare l’elevazione della GGT a una specifica causa patologica. Le frazioni della GGT, invece, sono biomarcatori più specifici per determinate patologie epatiche, infatti, la frazione b-GGT è associata a steatosi epatica non alcolica e la frazione s-GGT ad epatite virale cronica di tipo C; Il rapporto tra queste due frazioni è perciò utile per la diagnosi differenziale tra questi due gruppi di patologie epatiche. La valutazione delle frazioni plasmatiche della GGT assume, quindi, un significato diagnostico maggiore rispetto alla semplice valutazione della GGT totale. La valutazione delle frazioni di GGT è stata effettuata utilizzando una cromatografia per esclusione molecolare associata all’iniezione post-colonna di un substrato fluorescente specifico per l’enzima GGT. La cromatografia e le condizioni della reazione post-colonna permettono di individuare e quantificare nel plasma, in modo selettivo e sensibile, quattro frazioni di GGT, delle quali tre sono complessi ad alto peso molecolare, b- GGT (PM=2000 kDa), m-GGT (PM=1000 kDa), s-GGT (PM=250 kDa) e una quarta frazione, f-GGT (PM=70 kDa) con un peso molecolare compatibile con l’enzima libero. Lo scopo di questa tesi è valutare se i donatori positivi ai test di screening iniziali per l’epatite B e C (gruppo Reattivi) presentino frazioni di GGT significativamente diverse rispetto ai donatori con risultato negativo ai test di cui sopra (gruppo Controllo) e, se ci siano differenze significative anche con un gruppo di pazienti (gruppo Positivi) che, invece, sono realmente positivi ai test NAT per la presenza di genoma virale e/o al test per la ricerca di anticorpi contro il virus. Analizzando i dati ottenuti dalle analisi cromatografiche, emerge che non tutte e quattro le frazioni della GGT sono significativamente diverse nei tre gruppi oggetto dello studio: le frazioni b-GGT ed f-GGT, infatti, non presentano differenze significative all’analisi statistica. Le variabili GGT Totale, m-GGT, s-GGT ed il rapporto b-GGT/s-GGT, invece, sono risultate significativamente diverse nei tre gruppi (statistica Kruskal-Wallis) e, in particolare, il test per il confronto multiplo (Test di Dunn) ha mostrato differenze nel confronto Positivi vs Controlli e Positivi vs Reattivi mentre non ci sono differenze quando confrontiamo il gruppo dei Controlli con il gruppo dei Reattivi (Controlli vs Reattivi). La GGT totale ha mostrato valori statisticamente più elevati nel gruppo dei Positivi rispetto ai Controlli e ai Reattivi (Positivi vs Controlli; Positivi vs Reattivi; p<0.05). La frazione m-GGT mostra nel gruppo dei Positivi valori significativamente più elevati rispetto agli altri due gruppi e, situazione analoga, si può osservare anche per la frazione s-GGT. In questo caso il gruppo Positivi ha valori di mediana e 25°-75° percentile nettamente superiori rispetto ai valori riscontrati negli altri due gruppi [Positivi: 14,9 (6,1 – 27,5); Controlli: 4,7 (2,4 – 6,9); Reattivi: 3,5 (2,2 – 9,1)] Tale dato è in accordo con l’ipotesi che la frazione s-GGT sia un indice specifico di danno epatocellulare, come verificato in pazienti HCV. Essendo la frazione s-GGT più elevata nel gruppo dei Positivi, è chiaro che il rapporto b-GGT/s-GGT vada invece a ridursi in questo gruppo. E’ interessante notare che il 75% dei positivi ha valori del rapporto b-GGT/s-GGT più bassi del valore di 25° percentile del gruppo Controllo e del gruppo Reattivi. Altra variabile presa in considerazione è il volume di eluizione il quale può essere considerato come un marcatore surrogato della variabilità delle frazioni in termini di composizione/qualità; il volume di eluizione dipende dalla massa molecolare (in questo caso della GGT) e presenta per le frazioni b-GGT ed f-GGT un coefficiente di variazione inferiore rispetto a quello delle frazioni m- ed s-GGT. (C.V. b-GGT=1,4%; C.V. f-GGT=0,8%; C.V. m-GGT= 3%; C.V. s-GGT= 1,9%). E’ stato valutato il volume di eluizione della frazione s-GGT e, per ridurre la variabilità inter-cromatogramma, è stata considerata la differenza tra i volumi di eluizione di f-GGT ed s-GGT e non il valore assoluto della frazione s-GGT; l’analisi statistica non ha però riscontrato differenze significative tra i tre gruppi per quanto riguarda la variabile Vol. el.(f-GGt – s-GGT) e questo ci porta a dire che l’epatite HCV non sembra essere associata alla produzione di una frazione s-GGT con composizione diversa rispetto a quella presente nei soggetti sani. Le analisi statistiche di correlazione tra la variabile Viremia e i principali marcatori di danno epatico (ALT; AST e GGT Tot) e le varie frazioni della GGT hanno mostrato una correlazione positiva con ALT,AST e GGT Tot; la frazione b-GGT non ha mostrato una correlazione significativa con la viremia, a conferma dei dati presenti in letteratura che vedono la b-GGT, non associata a danno epatico ma piuttosto ad alterazioni dello stato metabolico degli epatociti; tra le altre frazioni la viremia correla principalmente, in senso positivo, con la s-GGT e, in senso negativo con il rapporto b-GGT/s-GGT. Tali risultati sono in accordo con i dati di letteratura che vedono in elevati valori di s-GGT un indice di danno epatocellulare. La suddivisione del gruppo dei Positivi in due sottogruppi, l’uno costituito dai pazienti con Viremia zero (n=14) e l’altro costituito da pazienti con viremia positiva (n=29) è servita a valutare se la replicazione virale vada o meno ad incidere sul profilo di attività delle varie frazioni; all’analisi statistica tutte le variabili sono risultate significativamente più elevate nel sottogruppo viremia positiva rispetto al sottogruppo viremia zero; in particolare la frazione s-GGT risulta nettamente più elevata nei pazienti con replicazione virale in atto, di nuovo in accordo con i dati di letteratura e di questa tesi che indicano la frazione s-GGT un importante indice di danno epatocellulare. Il rapporto b-GGT/s-GGT risulta, di conseguenza, significativamente più basso nel sottogruppo viremia positiva. Confrontando le variabili di cui sopra tra il gruppo Controllo e il sottogruppo Viremia zero, paragonabili dal punto di vista della replicazione virale, emerge che tutte le variabili analizzate non mostrano differenze significative tra i due gruppi tranne il rapporto b-GGT/s-GGT che risulta significativamente più basso nel sottogruppo Viremia zero rispetto al gruppo Controllo. Questo dato fa ipotizzare che il fatto di essere venuti a contatto con il virus HCV, lasci alterazioni permanenti al tessuto epatico; una sorta di “impronta” che fa sì che nel tempo persistano differenze nell’attività delle frazioni di GGT e, quindi, del rapporto b-GGT/s-GGT. L’analisi delle curve ROC ha valutato la capacità di GGT Tot, s-GGT e rapporto b/s-GGT di distinguere l’uno dall’altro i soggetti Controllo, Reattivi e Positivi. Nessuna delle tre variabili mi permette di distinguere i Controlli dai Reattivi mentre il rapporto b/s-GGT è la variabile che mi permette la migliore discriminazione dei soggetti Positivi all’HCV rispetto agli altri due gruppi, presentando il valore più elevato di area sottesa alla curva. Concludendo, da questo lavoro di tesi, è emerso che l’analisi delle frazioni di GGT ha un significato diagnostico maggiore rispetto alla GGT totale e che il valore del rapporto b-GGT/s-GGT risulta essere l’indice più sensibile di un’alterazione del tessuto epatico in corso di epatopatia virale. I dati emersi hanno confermato quelli presenti in letteratura e l’analisi delle frazioni GGT è servita ad escludere come causa delle reattività iniziale al test del gruppo dei Reattivi un’infezione subclinica che, se presente, sarebbe stata messa in evidenza da una diversa distribuzione delle frazioni e del rapporto b-GGT/s-GGT. Escludendo l’infezione subclinica, la causa della reattività potrebbe essere la presenza in circolo di un interferente di altra natura

    Lightweight insulating geopolymer material based on expanded perlite

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    Expanded perlite, owing to its lightweight and excellent thermal insulating properties, has been extensively used in different industrial sectors to produce self-standing insulating boards bonded with various organic polymers or calcium-silicates. In order to improve the high temperature behavior and mechanical performances of such materials inorganic binders, such as geopolymers, can be regarded as a promising alternative. Please click Additional Files below to see the full abstract

    Geopolymer oxygen carriers for chemical-looping combustion

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    One of the best alternatives to reduce the economic cost of CO2 capture is represented by the chemical looping combustion (CLC). This technology accomplishes indirect fuel combustion by use of a solid oxygen carrier (OC), generally a metal oxide having the capability of transporting the oxygen needed for the combustion from an air reactor to a fuel reactor, usually designed as two coupled fluidized beds. The combustion takes place in the fuel reactor through the reaction between the fuel and the solid OC, which is consequently reduced to a lower oxidation state. The reduced OC is then transferred to the air reactor, where it is regenerated by oxidation in air at high temperature. Therefore, the CLC process enables the inherent separation of the produced CO2, the stream exiting the fuel reactor being only composed of CO2 and H2O, easily separable by water condensation. Please click Additional Files below to see the full abstract

    Chemical Looping Combustion in a Bed of Iron Loaded Geopolymers

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    Abstract The chemical looping combustion allows for inherent CO 2 separation when burning fossil fuels in presence of a suitable oxygen carrier. The choice of the material to be used should take into account not only chemical/physical properties but also economical, environmental, and safety concerns, addressing for more common materials, like Fe oxides. In this research a geopolymeric oxygen carrier, based on Fe 2 O 3 , was tested for the first time in a laboratory CLC plant operated at high temperature for the combustion of a CO rich gas from char gasification in CO 2 . The CLC plant reliably performed in repeated cycles without decay of the CO conversion during the chemical looping combustion. The maximum CO content in the flue gas was around 1% vol. and carbon monoxide conversion achieved 97%. The calculated oxygen transport capacity was 0.66%. The plant results were confirmed by the XRD analysis that proved the presence of reduced phases in samples after chemical looping stage and by significant peaks obtained during H 2 reduction in TPR equipment

    X-linked hypophosphatemic rickets. What the orthopedic surgeon needs to know

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    Purpose: X-linked hypophosphatemic rickets (XLH) is a rare genetic disease characterized by an increase in fibroblast growth factor 23 (FGF23) expression. The skeleton is one of the systems most affected and deformities of the lower limbs are one of the first reasons for consulting an orthopedic surgeon. The aim of the present study was to offer practical advice for a comprehensive orthopedic approach to XLH. Materials: A literature search was conducted in PubMed, a freely available and cost-effective database. The articles included in the study were discussed by a research group with specific expertise in bone metabolism and pediatric deformities, in order to answer three fundamental questions and thus provide the orthopedic specialist with guidance on XLH: (1) How should the physician complete the diagnosis of XLH?; (2) When might a surgical procedure be recommended?; (3) What kind of surgical procedure should be performed? Results: Sixty-three articles were included and discussed by the research group. Conclusions: A correct and timely diagnosis of XLH is essential to appropriately manage affected patients. To complete this diagnosis a detailed medical history of the patient, a comprehensive clinical and radiographic evaluation, and specific biochemical tests are needed. Pharmacological treatment is based on supplementation of both phosphate and vitamin D, however, a monoclonal antibody that inactivates FGF23 (burosumab), has recently been introduced with promising results. Orthopedic surgery is needed in cases of moderate or severe deformities, to allow physiological growth and prevent early osteoarthritis and gait alterations. Surgical options are osteotomies and hemiepiphysiodesis, which is preferred whenever possible. Three different devices for temporary hemiepiphysiodesis are available (staples, transphyseal screws and tension band plates). Obviously, surgical procedures need an appropriate medical therapy to be effective. In conclusion, the diagnosis, treatment and follow-up of XLH require a multidisciplinary approach and a comprehensive evaluation of anamnestic, clinical and radiographic data

    Trans-papillary bilio-pancreatic stenting: When how and which stent

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    Nowadays, stenting malignant biliary stenosis (extrahepatic or hilar), benign biliary stenosis, and pancreatic duct stenosis in chronic pancreatitis as well as stenting for prophylaxis of post- endoscopic retrograde cholangiopancreatography pancreatitis and for failed extraction of biliary stones or endoscopic papillectomy are the many common challenges for a bilio-pancreatic endoscopist. The purpose of this review is to provide a practical approach to bilio-pancreatic stenting indications and techniques. Having a thorough understanding of stenting indications and techniques, for a bilio-pancreatic endoscopist means being able to develop a tailored approach for each clinical scenario depending on the type of stent used. Biliary stents, in fact, vary in diameter, length, and composition, making it possible to give each patient personalized treatment

    Neuroautonomic evaluation of patients with unexplained syncope: Incidence of complex neurally mediated diagnoses in the elderly

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    BACKGROUND: The incidence of syncope increases in individuals over the age of 70 years, but data about this condition in the elderly are limited. Little is known about tilt testing (TT), carotid sinus massage (CSM), or supine and upright blood pressure measurement related to age or about patients with complex diagnoses, for example, those with a double diagnosis, ie, positivity in two of these three tests. METHODS: A total of 873 consecutive patients of mean age 66.5±18 years underwent TT, CSM, and blood pressure measurement in the supine and upright positions according to the European Society of Cardiology guidelines on syncope.1 Neuroautonomic evaluation was performed if the first-line evaluation (clinical history, physical examination, electrocardiogram) was suggestive of neurally mediated syncope, or if the first-line evaluation was suggestive of cardiac syncope but this diagnosis was excluded after specific diagnostic tests according to European Society of Cardiology guidelines on syncope, or if certain or suspected diagnostic criteria were not present after the first-line evaluation. RESULTS: A diagnosis was reached in 64.3% of cases. TT was diagnostic in 50.4% of cases, CSM was diagnostic in 11.8% of cases, and orthostatic hypotension was present in 19.9% of cases. Predictors of a positive tilt test were prodromal symptoms and typical situational syncope. Increased age and a pathologic electrocardiogram were predictors of carotid sinus syndrome. Varicose veins and alpha-receptor blockers, nitrates, and benzodiazepines were associated with orthostatic hypotension. Twenty-three percent of the patients had a complex diagnosis. The most frequent association was between vasovagal syncope and orthostatic hypotension (15.8%); 42.9% of patients aged 80 years or older had a complex diagnosis, for which age was the strongest predictor. CONCLUSION: Neuroautonomic evaluation is useful in older patients with unexplained syncope after the initial evaluation. A complex neurally mediated diagnosis is frequent in older people. Our results suggest that complete neuroautonomic evaluation should be done particularly in older patients
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