5 research outputs found

    Miniere della memoria. Scavi in archivi, depositi e biblioteche

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    Le archeologie alibi sono affrontate, e discussem da tutti i punti di vista

    Picta fragmenta. La pittura vesuviana: una rilettura

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    Il pi\uf9 grande archivio della pittura antica: Pompei e la regione vesuviana lo sono ancora, a quasi tre secoli dall\u2019inizio della loro riscoperta. Anche se in questa seconda vita non tutto quello che era stato riportato alla luce ha superato la prova del tempo: molte decorazioni, ancora ben leggibili e ricche di colore al momento del rinvenimento, oggi sono scomparse. Per assicurare anche a chi verr\ue0 dopo di noi la conoscenza di questo eccezionale patrimonio, tanto prezioso quanto fragile, due sono le vie principali da percorrere: la conservazione della materia e il restauro della memoria. Solo attraverso azioni sistematiche di manutenzione i picta fragmenta di Pompei e gli altri vesuviani, cos\uec come quelli di tutti gli altri siti archeologici che hanno restituito tracce delle pareti dipinte del mondo antico, possono resistere all\u2019usura del tempo. Altrettanto importante \ue8 il lavoro di chi cerca di ricondurre i frammenti alla loro situazione originaria, ricomponendo disegni e restituendo colori, con un restauro che pu\uf2 essere reale e materico, ma anche virtuale. Alla base di entrambi sta l\u2019indispensabile miniera di informazioni che generazioni di ricercatori (archeologi, storici dell\u2019arte, archeometri) e di artisti (fotografi, disegnatori, pittori) hanno contribuito a formare. Da questa sinergia di competenze e di indirizzi nasce quell\u2019approccio globale e olistico allo studio della pittura antica che la comunit\ue0 scientifica indica come necessario: per meglio conoscere le pareti antiche in s\ue9, quale espressione di un\u2019arte applicata, e nei loro contesti, e per meglio farle conoscere. Pompei e i siti vesuviani sono, anche in questo, uno straordinario osservatorio-laboratorio: rileggere, con occhi nuovi e nuove domande, quello che delle loro pareti dipinte \ue8 arrivato sino a noi \ue8 l\u2019intento di questo libro. Alla ricerca, a partire dai picta fragmenta, delle picturae antiche: una realt\ue0 al plurale, da indagare con un approccio al plurale

    Athenian eye cups in context.

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    Since the late 1970s, scholars have explored Athenian eye cups within the presumed context of the symposion, privileging a hypothetical Athenian viewer and themes of masking and play. Such emphases, however, neglect chronology and distribution, which reveal the complexity of the pottery trade during the late sixth and the fifth centuries B.C.E. Although many eye cups have been found in Athens—namely on the Acropolis and mainly from late in the series—the majority come from funerary, sanctuary, and domestic contexts to the west and east. Most of the earliest, largest, and highest-quality examples were exported to Etruria, where the symposion as the Athenians knew it did not exist. Workshops and traders were clearly aware of their audiences at home and abroad and shifted production and distribution of vases to suit. The Etruscan consumers of eye cups made conscious choices regarding their purchase and use. Tomb assemblages from Vulci and elsewhere reveal their multivalent significance: they are emblematic of banqueting in life and death, apotropaic entities, likely with ritual uses. Rather than being signs of hellenization in a foreign culture, Athenian eye cups—like all Greek vases—were brought into Etruria, then integrated, manipulated, and even transformed to suit local needs and beliefs
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