8 research outputs found

    Narrative Exposure Therapy for Posttraumatic Stress Disorder associated with repeated interpersonal trauma in patients with Severe Mental Illness: a mixed methods design

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    Background: In the Netherlands, most patients with severe mental illness (SMI) receive flexible assertive community treatment (FACT) provided by multidisciplinary community mental health teams. SMI patients with comorbid posttraumatic stress disorder (PTSD) are sometimes offered evidence-based trauma-focused treatment like eye movement desensitization reprocessing or prolonged exposure. There is a large amount of evidence for the effectiveness of narrative exposure therapy (NET) within various vulnerable patient groups with repeated interpersonal trauma. Some FACT-teams provide NET for patients with comorbid PTSD, which is promising, but has not been specifically studied in SMI patients. Objectives: The primary aim is to evaluate NET in SMI patients with comorbid PTSD associated with repeated interpersonal trauma to get insight into whether (1) PTSD and dissociative symptoms changes and (2) changes occur in the present SMI symptoms, care needs, quality of life, global functioning, and care consumption. The second aim is to gain insight into patients’ experiences with NET and to identify influencing factors on treatment results. Methods: This study will have a mixed methods convergent design consisting of quantitative repeated measures and qualitative semi-structured in-depth interviews based on Grounded Theory. The study population will include adult SMI outpatients (n=25) with comorbid PTSD and receiving NET. The quantitative study parameters will be existence and severity of PTSD, dissociative, and SMI symptoms; care needs; quality of life; global functioning; and care consumption. In a longitudinal analysis, outcomes will be analyzed using mixed models to estimate the difference in means between baseline and repeated measurements. The qualitative study parameters will be experiences with NET and perceived factors for success or failure. Integration of quantitative and qualitative results will be focused on interpreting how qualitative results enhance the understanding of quantitative outcomes. Discussion: The results of this study will provide more insight into influencing factors for clinical changes in this population

    Prevalence estimates of combat-related post-traumatic stress disorder: critical review

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    The aim of the present study was to provide a critical review of prevalence estimates of combat-related post-traumatic stress disorder (PTSD) among military personnel and veterans, and of the relevant factors that may account for the variability of estimates within and across cohorts, including methodological and conceptual factors accounting for differences in prevalence rates across nations, conflicts/wars, and studies. MEDLINE and PsycINFO databases were examined for literature on combat-related PTSD. The following terms were used independently and in combinations in this search: PTSD, combat, veterans, military, epidemiology, prevalence. The point prevalence of combat-related PTSD in US military veterans since the Vietnam War ranged from approximately 2% to 17%. Studies of recent conflicts suggest that combat-related PTSD afflicts between 4% and 17% of US Iraq War veterans, but only 3–6% of returning UK Iraq War veterans. Thus, the prevalence range is narrower and tends to have a lower ceiling among combat veterans of non-US Western nations. Variability in prevalence is likely due to differences in sampling strategies; measurement strategies; inclusion and measurement of the DSM-IV clinically significant impairment criterion; timing and latency of assessment and potential for recall bias; and combat experiences. Prevalence rates are also likely affected by issues related to PTSD course, chronicity, and comorbidity; symptom overlap with other psychiatric disorders; and sociopolitical and cultural factors that may vary over time and by nation. The disorder represents a significant and costly illness to veterans, their families, and society as a whole. Further carefully conceptualized research, however, is needed to advance our understanding of disorder prevalence, as well as associated information on course, phenomenology, protective factors, treatment, and economic costs

    Memoria, ricordo e trauma

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    Il presente contributo prende in considerazione le attuali prospettive internazionali delle ricerche neuro scientifiche sulla memoria e sui traumi e i contributi della psicoanalisi nella prospettiva di un approccio terapeutico integrato. Le attuali teorie psicoanalitiche secondo la prospettiva relazionale concepiscono la memoria come una “struttura interiore costituita dalla elaborazione di tutte le esperienze : esse vengono apprese in relazione alla esperienza passata e da essa sono strutturate in una certa traccia; successive esperienze possono modificare la struttura- traccia precedente. Le teorie concordano nel ritenere che la struttura della traccia mnestica è un insieme in continua trasformazione , di cui solo una minima parte accede alla coscienza . Il ricordo è il processo che consente al soggetto di recuperare o usare quanto appreso e memorizzato. Nella “mentalità comune”esso viene a coincidere con quello che si è riusciti a memorizzare e poi a ripetere verbalmente (rie-vocare): implicito è il riferimento al ricordo verbale e al linguaggio come intrinseco al ricordo, piuttosto che esserne mediatore. Si ritiene anche che il non riuscire a esprimere quello che si è memorizzato sia da considerare una memoria imperfetta: è presente l’implicito assunto che avere una buona memoria implichi il saper riprodurre fedelmente quanto si è memorizzato (Imbasciati,1986). Una domanda che ci si può porre è se sia possibile considerare quanto chiamiamo memoria indipendentemente dall’organizzazione che assume ciò che viene appreso e ritenuto, cioè dal significato che può assumere dentro la mente: viene ricordato ciò che ha per noi un senso e viene considerato utile ; viene dimenticato ciò che invece non ha per noi significato. La memoria ha una organizzazione: se la paragoniamo ad un archivio che teniamo in ordine: dovremmo aspettarci che, se abbiamo riposto le nostre cose in un certo ordine, sia per noi più veloce e semplice ritrovarle quando ne abbiamo bisogno. In realtà non è così : l’organizzazione della memoria è modellata da tutt’altri criteri , inconsci , e di tipo emozionale . Fattori emotivi, affettivi e cognitivi possono influenzare sia la ricezione che l’'acquisizione e la conservazione di quanto appreso e memorizzato, per un periodo di tempo più o meno lungo. La motivazione interiore, l'interesse per l'argomento (si ricorda più facilmente e più a lungo un materiale dotato di significato e organizzato) favoriscono l'apprendimento. I nostri ricordi più vivi sono connessi a esperienze affettive, anche se non sempre evidenti. Il ricordo è il processo che consente al soggetto di recuperare quanto appreso e conservato. Se i ricordi affiorano da sé la riproduzione è spontanea (automatica); se emergono su richiesta il ricordo viene detto intenzionale. Una volta giunti a consapevolezza, i ricordi spontanei o volontari possono strutturarsi in nuove associazioni: talvolta riemergono ricordi di un lontano passato, che sembravano irrimediabilmente perduti, di cui il soggetto non sa stabilire nessun legame con il presente . Non sempre è possibile ricordare ciò che si desidera : ci sono esperienze, anche recentissime, che il soggetto non riesce a ricordare malgrado ogni sforzo salvo poi d'improvviso possano riemergere. Un fenomeno connesso alla memoria è quello delle dimenticanza e dell'oblio: l’incapacità totale o parziale a ricordare ciò che si è appreso. L’oblio non sarebbe la perdita della memoria ma una alterata coscienza di essa, una trasformazione del nostro modo di ricordare piuttosto che una trasformazione delle cose ricordate: il velo dell’oblio può sembrare come parziale perdita della memoria è solo “una lontananza di un qualcosa rimasto profondamente entro di noi …Cambia il nostro modo di sentire e di sentirci dentro sicchè anche le cose contenute , in tal nostro modo che cambia sono anch’esse trasformate. L’oblio assolve una funzione economica oltre che logica, la trasformazione menestica implica la possibilità di tenere raggruppate in insiemi una molteplicità di memorie; l’oblio è stato indicato come una forma condensata di memoria: l’oblio ci rende conto della complessità della memoria . La memoria è tutt’altro che la riproduzione degli eventi esterni di cui si è fatta esperienza . La complessità dei modelli psicoanalitici attuali testimonia la difficoltà di descrivere la traccia mnestica nei termini di una soggettività limitata dai parametri della consapevolezza. In tale prospettiva l’oblio è considerato non tanto assenza di memoria , quanto conservazione trasformativa e condensata di quanto può occasionalmente apparire in termini di memoria cosciente, Nell’oblio stanno le radici della memoria Eric Kandel (Kandell, 2007) afferma come in questi ultimi anni molti dati a disposizione ci hanno permesso di comprendere i meccanismi generali che regolano l’archiviazione dei ricordi. Sappiamo ancora poco, invece, dei circuiti neurali coinvolti nell’archiviazione dei diversi tipi di memoria: ne conosciamo i meccanismi generali, sappiamo che la memorizzazione a breve termine coinvolge proteine capaci di regolare l’efficienza della trasmissione sinaptica mentre la memoria a lungo termine dipende dalla modificazione dell’espressione dei geni che regolano i processi di crescita di nuove connessioni sinaptiche. Cristina Maria Alberini, una allieva di Kandell, sta portando avanti ricerche in questo settore : interessanti sono gli aspetti sulle proprietà della memoria relativamente alle modalità del ricordo di eventi traumatici: gli spunti che si possono trarre da questi contributi appaiono rilevanti per la psicoanalisi . Il capitolo propone riflessioni sulle attuali ricerche relative alla memoria e ai traumi secondo i dati presentati dalla Alberini. La Alberini studia come cambia la biologia del cervello quando si formano nuove memorie, cosa accade quando si recuperano ricordi passati e negli intervalli di tempo durante la processazione delle informazioni. Le memorie implicite sono memorie remote, inconsapevoli,, non ricordabili , che spesso coinvolgono il sistema motorio, le memorie esplicite sono quelle più comunemente utilizzate nel trattamento psicoanalitico. Non tutte le memorie esplicite possono essere ricordate facilmente: di solito sono selezionate. Quelle connesse a stati emotivi intensi di eventi significativi diventano ricordi più o meno durevoli: tale processo dipende da un livello ottimale di stress , in relazione cioè alle emozioni e alle motivazioni del soggetto. Quando il livello di stress è molto elevato le memorie non possono essere più ricordate : la Alberini si riferisce agli studi sui traumi . All’inizio di qualunque esperienza la relativa memoria è labile: dopo qualche tempo, viene perduta oppure subisce un processo biochimico di “consolidamento”, che la trasforma in memoria a lungo termine. Quando le memorie vengono ricordate ritornano fragili per un certo tempo e possono pertanto modificarsi : poi si “riconsolidano”. Se mentre la memoria è ancora fragile vengono somministrati in laboratorio determinati farmaci inibitori della sintesi proteica , la memoria viene perduta. In questo quadro si prospettano possibili interventi farmacologici e insieme psicoanalitici per modificare le memorie di fatti traumatici. Nel processo di riconsolidamento, la memoria rimane modificata, perché vi rientrano e vi si mescolano le vicende contestuali al momento del ricordare : il ricordo che si potrà poi avere è diverso. Il tema è di interesse soprattutto nella clinica, per quanto riguarda gli effetti ottenibili durante la fase di riconsolidamento a seguito di una rievocazione di eventi traumatici. Le ricerche in letteratura sottolineano che in sede terapeutica il ricordare può avere un riconsolidamento della memoria che può cambiare favorevolmente l’assetto del paziente . Come traslare questi interessanti dati neurobiologici in ambito psicodinamico? La Alberini fa riferimento a memorie di esperienze traumatiche e stressanti, come potrebbe essere la sindrome PTSD : il disturbo post-traumatico da stress (DPTS) (o Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD) segue in genere ad un evento traumatico, catastrofico o violento e si manifesta come un disagio mentale implicante molteplici fattori, sia personali sia ambientali: gli individui hanno una diversa suscettibilità e vulnerabilità alla condizione di stress, anche in relazione al maggiore o minore coinvolgimento diretto nell’esperienza traumatica (Van der Kolk,,McFarlane,; Weisaeth,2005; Frueh et al. 2013) Il disturbo da PTSD presenta aspetti molto complessi che coinvolgono forti emozioni sollecitate da un trauma e effetti psichici derivati da uno stato di stress. (Craparo, G. 2013) . I bambini che hanno sperimentato diversi tipi di vittimizzazione (Abuso, bullismo, violenza familiare) in genere possono presentare sintomi gravi di PTSD (Cloitre et. al, 2009; Fikelhor et al.2010): anche i bambini sotto i tre anni di età possono manifestare forme di PTSD (Drell et al 1993), perché hanno la capacità di percepire e memorizzare gli eventi, anche quelli traumatici, attraverso modalità della memoria implicita (Schore, 2003). Una valutazione dei principali aspetti clinici del PTSD (Nader, 2008) mette in evidenza l’importanza di identificare i fattori di rischio (violenza domestica, appartenenza a gruppi di pari devianti, problemi di condotta da parte dei genitori) ma anche di protezione (controllo parentale, responsività genitoriale, collaboratività, promozione della autonomia, coinvolgimento in attività pro sociali, presenza di adulti affettivamente significativi).Un altro fattore di protezione è la capacità di metalizzazione , cioè osservare e saper utilizzare costruttivamente i propri e altrui processi di pensiero, già presenti nell’infanzia (Allen, Fonagy e Batman, 2008) La valutazione della presenza di fattori di protezione e di risorse come delle capacità di resilienza al trauma sono importanti predittori di esiti positivi e di possibilità guarigione dal PTSD . L’esposizione a fattori di stress traumatico può causare alterazioni nel cervello come individuato attraverso le neuroimaging (Ford, 2009) in specifico il danno maggiore deriva dalla incapacità dei soggetti di sviluppare una autoregolazione(Ford. 2010): gli stressor traumatici hanno un impatto negativo sullo sviluppo della autoregolazione . L’auto regolazione e la disregolazione postraumatica nella prima infanzia possono manifestarsi in forme diverse, in particolare di sta provvedendo a una revisione ed ad un ampliamento dei sintomi relativi allo stress traumatico (D’Andrea et al., 2012)

    Virtual Reality as a Tool for Cognitive Behavioural Therapy: A Review.

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    This chapter describes the deployment of Virtual Reality (VR) for Cognitive Behavioral Therapy (CBT) to treat anxiety and other psychological disorders. Regarding anxiety, the most common technique is constituted of Exposure Therapy that, transposed to Virtual Reality, allows the patient to face a digital version of the feared object or situation, instead of a real or imaginal one. Virtual Reality Exposure Therapy (VRET) has proved effective in the treatment of anxiety disorders such as social phobia, Post-Traumatic Stress Disorder (PTSD), and panic disorder with agoraphobia and has shown an efficacy comparable to traditional in-vivo exposure with various specific phobias such as arachnophobia, acrophobia, and fear of flying. Thanks to its versatility, VR has also found an employment within the CBT framework with other psychological disorders, such as substance abuse, eating disorders, and in inducing non-pharmacological analgesia in patients undergoing painful medical procedures. Even when VR-based therapy does not lead to better results than traditional CBT in terms of efficacy, there are several reasons for preferring it over in-vivo exposure, including patient\u2019s comfort and safety, as well as the possibility to create complex or delicate scenarios (e.g. PTSD scenarios). In addition, VRET can be employed to facilitate the transition toward fearful objects in the real world in patients who would otherwise refuse to face real stimuli
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