169 research outputs found

    Vittore Carpaccio

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    Con riferimento ai contributi precedenti su questo argomento e alle nuove attribuzioni in favore del primissimo Vittore Carpaccio, la scheda \ue8 occasione per delinearne il profilo della primissima fase, con particolare riguardo ai rapporti con Giovanni Bellini. Particolare rilievo ha la ricostruzione di un politico di piccole dimensioni, due scomparti del quale si identificano nelle tavole del Museo di Castelvecchio di Veron

    Nelle chiese di Farra, Soligo e Col San Martino. Itinerario di pittura dal Tre al Quattrocento

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    Il volume indaga le pitture murali del Trecento e Quattrocento nelle chiese d’Oltre Piave, territorio del Comune di Treviso nel Medioevo, svelandone i complessi influssi artistici coevi. Le pitture inedite di Santa Maria dei Broli a Farra, del 1310 circa, si ricollegano a una cultura veneziana bizantineggiante nelle sue manifestazioni periferiche più tarde. Mentre quelle di Santa Maria Nova di Soligo, di metà Trecento, si devono a tre frescanti. Il primo dei quali si accosta al Maestro di Vigo, ne condivide l’interesse per il retaggio giottesco secondo l’interpretazione dei Riminesi attivi per i Collalto, e mentre palesa un timido avvicinamento alle novità apportate dai pittori emiliani presenti nella Marca non accusa ancora la presenza di Tomaso da Modena. Nel Quattrocento, l’affresco dell’Eremo di San Gallo a Soligo (1448) insieme ai dipinti devozionali in San Vigilio di Col San Martino, spettanti a Giovanni di Francia (1452 e 1458) e a un suo seguace (1489), confermano il dominio in questo territorio del linguaggio tardogotico di cui il pittore, originario di Metz in Lorena, attivo specie nei dintorni di Feltre, è un significativo esponente nel panorama della pittura dell’arco alpino. Parallelamente, è dedicato ampio spazio al contesto storico: sono messi in luce i rapporti tra gli esponenti di una nobiltà rurale e i casati dei da Camino e dei Collalto, o le comunità religiose dei Cistercensi di Follina e dei Certosini insediatisi sul Montello, le intricate testimonianze documentarie riguardanti i fondatori delle cappelle trecentesche e le loro famiglie. Si ricostruisce così un quadro articolato della società locale, delle sue manifestazioni religiose, come quella del pellegrinaggio terapeutico. Si indagano le ragioni delle scelte iconografiche conformi alla spiritualità del Tardo Medioevo: la rappresentazione dell’Imago Pietatis su scala monumentale o l’individuazione del culto per san Guglielmo di Vercelli (o sant’Amico di Rambona). Con comparazioni a più ampio raggio territoriale si documenta anche la precocità del culto dei santi Bernardino da Siena, Bovo e Rocco nel Quattrocento e le relative soluzioni iconografiche che li riguardano

    Carpaccio a Pozzale di Cadore, 1519. Le ultime opere per Venezia, Istria e Cadore

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    Il volume ha per oggetto il polittico di Vittore Carpaccio della chiesa parrocchiale di San Tommaso apostolo di Pozzale di Cadore che l\u2019 artista veneziano firma e data nel 1519. Si tratta di un significativo esempio dell\u2019arte di Venezia presente in Cadore, il quale precede l\u2019avvento della fortuna di Tiziano Vecellio e dei suoi famigliari nella patria cadorina. Nell\u2019illustrare l\u2019opera di Carpaccio per Pozzale nella dinamica fra centro e periferia alpina si coglie l\u2019occasione per ampliare la ricerca sui seguenti argomenti a ciascuno dei quali \ue8 dedicato un apposito capitolo del volume. 1.Tracciato della pittura in Cadore, con il Bellunese e Feltrino, circa 1519. Tratta del comporsi di un interesse critico per l\u2019arte della regione cadorina nei secoli. 2. Congetture sulla committenza. Approfondite ricerche d\u2019archivio portano a considerare come committenti dell\u2019opera di Carpaccio i regolieri di Pozzale. Si coglie l\u2019occasione per delineare la dinamica della committenza di opere d\u2019arte da parte delle Regole. Viene dedicato largo spazio alla figura dell\u2019arcidiacono e pievano di Pieve Pietro Mareno Aleandro che fu al governo della chiesa cadorina negli anni venti e trenta del Cinquecento per conto dei cardinali di casa Grimani. Attraverso la sua azione pastorale ricostruita con molti documenti inediti si offre uno spaccato della vita delle comunit\ue0 cadorine in anni difficili, nei quali si situa anche la commissione dell\u2019opera di Carpaccio per Pozzale. 3.L\u2019opera di Carpaccio di Pozzale \ue8 illustrata nei suoi aspetti tipologici, iconografici, nella sua fortuna critica. 4.Il volume comprende una ricerca sull\u2019ultima fase di attivit\ue0 di Carpaccio nella quale si situa anche la sua opera cadorina, ma che comprende soprattutto una vasta attivit\ue0 per Venezia e l\u2019Istria, contrassegnata dalla partecipazione della bottega, ovvero del figlio Benedetto del quale si individua il percorso a cominciare dalla collaborazione con il padre

    Una Imago pietatis di Vittore Carpaccio agli esordi

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    Le due tavole di Vittore Carpaccio del Museo di Castelvecchio raffiguranti Santa Caterina d’Alessandria e Santa Dorotea si propongono come scomparti di un piccolo polittico del quale si riconosce per la prima volta quale lunetta Il Cristo morto sostenuto sul sepolcro da due angeli acquisito dalla Collezione Alana (Newark, Delaware, USA). L’alta qualità e gli inediti valori espressivi di quest’opera di respiro monumentale, finora non inclusa negli studi su Carpaccio, consente di collocare con migliori motivazioni il polittico di cui fa parte, nella problematica fase iniziale del maestro veneziano nell’occasione ricostruita nel suo complesso con altri nuovi apporti. Il percorso stilistico inedito di Carpaccio agli esordi conferma come fosse fondamentale la lezione di Giovanni Bellini, nonostante la personale interpretazione da subito dimostrata

    Da Andrea Celesti ad Antonio Arrigoni: disegni, precisazioni e proposte

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    Il saggio fa riferimento al profilo di Antonio Arrigoni delineato dall’autore nel 1997 con il quale è stata portata l’attenzione su questo pittore veneziano attivo a cavallo tra il Seicento e il Settecento. Arrigoni si è rivelato essere una personalità di notevole importanza, nonostante sia stato trascurato dalla critica in modo incredibile. La geografia dell’attività di Arrigoni risulta vasta. Sono molto significativi i legami che egli stabilisce con Antonio Molinari e, soprattutto, Giambattista Pittoni. Significative sono anche le somiglianze con lo stile di altri maestri con i quali è stato confuso: Sebastiano Ricci, Antonio Balestra e Gregorio Lazzarini

    Da Pietro Marascalchi a Pietro Mera. A proposito di stagioni, esperienze e metodi del manierismo veneto

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    E\u2019 proposta l\u2019attribuzione al pittore fiammingo Pietro Mera della pala d\u2019altare della chiesa di Sedico presso Belluno. Un dipinto noto per aver figurato nel catalogo di Pietro de\u2019 Marascalchi detto dalla Spada, a partire dagli studi dedicati a questo estroso manierista di Feltre da Giuseppe Fiocco. La rettifica attributiva \ue8 l\u2019occasione per aggiungere altre opere e per proporre la revisione generale dell\u2019attivit\ue0 di Mera a Venezia, specie nella prima fase di fine Cinquecento e degli inizi del Seicento. Si hanno allora i suoi risultati migliori. Di seguito, il contributo rende noto un dipinto autografo di Pietro de\u2019 Marascalchi, finora inedito. Si tratta dell\u2019eccentrica e visionaria Adorazione dei pastori della Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis a Palermo che si presenta fra quelle pi\uf9 rappresentative, situate circa il 1560. Si configura come libera traduzione della celebre Adorazione dei pastori di Polidoro da Caravaggio per la chiesa della Madonna dell\u2019Altobasso di Messina. Si prospettano alcune ipotesi su come il Marascalchi possa aver conosciuto questo modello che fu oggetto di repliche ma non di traduzioni grafiche. Il pittore dimostra di saper individuare fonti manieristiche, nella fattispecie raffaellesche, in modo indipendente da Jacopo Bassano. Lo stile di quest\u2019ultimo improntato a quello di Parmigianino, rimane il suo punto di riferimento fondamentale, ma non gli impedisce una ricerca ed esiti di stile del tutto personali

    Il sacrificio del colonnello Francesco Rossi e dei suoi cavalieri a Santa Maria di Campagna: 9 novembre 1917

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    Il volume, promosso da Graziano e Teresa Moretto, ricostruisce in maniera aggiornata la vicenda umana e militare del comandante di Piemonte Reale Cavalleria, Colonnello Francesco Rossi, caduto l\u20198 novembre 1917 a Santa Maria di Campagna (TV) insieme ai suoi cavalieri nel ripiegamento delle truppe italiane dopo la disfatta di Caporetto. La ricerca condotta dagli autori consente di comprendere sia il Colonnello Rossi che l\u2019uomo Rossi, e altres\uec la nascita storiografica del \u201cmito dell\u2019Eroe\u201d. I numerosi documenti biografici, le molte immagini d\u2019archivio inedite, unite alle sue missive alla famiglia, ed in particolare, il suo testamento spirituale, ci restituiscono un \u201ceroe\u201d che, solo e travagliato nel suo intimo, vive nella certezza di valori alti ed eterni. Come pendant artistico dell\u2019impresa del Colonnello, viene inoltre presa in esame la tela \u201cLa Battaglia di Campagna\u201d, 1918 (Trieste), opera di Achille Beltrame, celebre illustratore e pittore, il cui nome \ue8 legato alla realizzazione delle tavole per \u201cLa Domenica del Corriere\u201d fin dai primi del \u2018900. Per quarantasei anni offre con le sue tavole una visione degli avvenimenti d\u2019Italia e del mondo, segnando un ventennio, con i suoi modelli e stilemi narrativi, della grafica giornalistica (oltre che divulgativa). In questo contesto in particolare si tenta di restituire una larga panoramica della sua produzione di taglio militare e della variegata destinazione della sua verve pittorica: copertine di riviste, cartoline, cartelloni, tele, tavole giornalistiche, tutte collocate in una produzione artistica lunga e felice, ricordata da critici d'eccezione quali Dino Buzzati e Ugo Ojetti, le cui trascrizioni sono offerte nel volume a mo' di corollario documentario

    Note storiche e artistiche sulla nuova chiesa della Nativit\ue0 della Beata Vergine in Santa Maria di Campagna

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    Il contributo ricostruisce i contesti di vita religiosa e sociale nei quali il vescovo Giuseppe Zaffonato annuncia la necessit\ue0 di una nuova chiesa (1946), il vescovo Giuseppe Carraro benedice e posa la prima pietra (1956), il successore Albino Luciani la apre al culto con solenne benedizione (1963), alla vigilia della partecipazione all\u2019apertura del Concilio Vaticano II. Particolare riguardo \ue8 dato ai riti liturgici che riguardano questi momenti. Si considera il progetto architettonico di Luigi Candiani di matrice neoromanica, con riferimento alle sue opere in diocesi di Treviso realizzate tra le due guerre. Si delineano gli orientamenti estetici della commissione proposta alla ricostruzione delle chiese distrutte nella Grande Guerra. Per il dopoguerra si pongono a confronto le novit\ue0 antesignane promosse a Bologna dall\u2019arcivescovo Giacomo Lercaro e le scelte in diocesi periferiche come quelle di Treviso e di Vittorio Veneto. Il contributo si completa con l\u2019ampia documentazione dell\u2019antica chiesa distrutta, il catalogo delle opere d\u2019arte superstiti rinvenute nell\u2019occasione. Chiude una prospettiva di ricerca: le ipotesi sulle origini della chiesa in base a inedite testimonianze dei secoli IX-X; l\u2019edizione dell\u2019inedito documento del 1514 di consacrazione della chiesa ricostruita dai Canonici Regolari di Sant\u2019Antonio di Castello di Venezia che ne ebbero da allora la cura pastorale durata fino al 1773, riguardante tutte le chiese della pieve di Chiarano

    ANTONIO ARRIGONI E GIAMBATTISTA PITTONI: I DISEGNI DEL CAPRETTO IMMOLATO

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    \uc8 attribuita al pittore veneto Antonio Arrigoni la \u2018Morte di Abele\u2019, dipinto da stanza assegnato ad Aureliano Milani in occasione del recente passaggio sul mercato antiquario viennese. Tale rettifica offre l\u2019occasione per affrontare con nuovi elementi la problematica della distinzione dei suoi disegni da quelli di Giambattista Pittoni. Si tratta, in particolare, di quelli raccolti nel cosiddetto Album Salvotti, i cui fogli sono ora divisi fra il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie dell\u2019Accademia di Venezia e la Fondazione Giorgio Cini, Raccolta di Giuseppe Fiocco. Il primo contesto in cui tale operazione si rende necessaria \ue8 quello della formazione di Pittoni a fianco di Arrigoni, personalit\ue0 di pi\uf9 lunga esperienza messa in luce solo di recente. Altro contesto \ue8 quello della condivisione fra loro del metodo creativo, come quello che presuppone l\u2019esperienza dell\u2019accademia del nudo, da collocare attorno agli anni venti del Settecento. Mentre si va arricchendo il catalogo dei dipinti di Arrigoni, in modo inequivocabile, la distinzione di paternit\ue0 dei disegni si configura problematica e sempre pi\uf9 complessa, proprio per la prossimit\ue0 dei due pittori e il loro metodo di lavoro. Essi si avvalgono dello studio dal vero per giungere a un\u2019elaborazione formale \u201caccademizzante\u201d e, in seguito, impiegano in modo iterato gli stessi disegni parziali \u2018memorativi\u2019

    Botteghe di scultura lignea del Rinascimento fra Venezia, Treviso e l\u27Istria. Una precisazione per Paolo Campsa e identificazioni del Maestro dell\u27altare di Spresiano e di Benedetto da Ulm, addenda su Giovanni Martini

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    L’attività di Paolo Campsa, che assomma la fase di società con Giovanni di Malines, documentata dal 1497 al 1513, a quella svolta in autonomia fino al 1541, fa di questa personalità il principale punto di riferimento per la scultura lignea veneziana di Terraferma e dell’Istria durante un lungo arco temporale del Rinascimento maturo. Della prima attività si dispone della Madonna con il Bambino di Buie del 1497 e del trittico di Monopoli del 1502; accertato è anche il trittico di Besca (Veglia) del 1514, con il quale Campsa esordisce in autonomia. Su tali fondamenta si è gettato un ponte verso la fase di Campsa più avanzata. Questa vede come capisaldi due opere firmate e datate: il Cristo risorto del 1533 di Soave (Verona) e la Madonna con il Bambino del 1534 di collezione privata. Di conseguenza, è stato agevole convogliare in uno stesso catalogo opere di provenienza veneziana, dal Trevigiano e dall’Istria. L’elenco comprende gli altari di Torcello, di Treville di Castelfranco, di San Cassiano e San Giorgio di Quinto di Treviso; per l’Istria, di Momorano, Montona, Medolino e, per la Dalmazia, dell’Isola di Lesina
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