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    L'adempimento del terzo al vaglio delle Sezioni Unite

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    Gli stretti nessi tra l’adempimento del terzo e l’indebito soggettivo ex latere solventis inducono a chiedersi se il terzo, qualora abbia pagato spontaneamente un debito altrui, possa surrogarsi nei diritti dell’accipiens in applicazione di quanto previsto dall’art. 2036, 3° co. c.c., posto che, dalla disposizione di cui all’art. 1180 c.c., che nulla prevede con riferimento agli effetti che si determinano a seguito dell’attività solutoria del terzo sui rapporti tra il debitore ed il solvens, discende che il terzo, una volta adempiuto spontaneamente il debito altrui, non avrebbe alcun titolo che gli derivi automaticamente dall’adempimento per agire in rivalsa nei confronti del debitore. A tal proposito, si evidenzia l’esistenza di un contrasto in seno alla giurisprudenza della Suprema Corte, in relazione alla possibilità, per il terzo che adempie spontaneamente un debito altrui, di surrogarsi nei diritti del creditore ai sensi degli artt. 2036, 3° co. e 1203, n. 5) c.c. Per la soluzione del dibattito giurisprudenziale, si rileva che, se si propende per l’assoluta “rigidità” dell’ordito codicistico di cui agli artt. 1201 ss. c.c., non residua alcuno spazio per ipotesi di surrogazione di diritto per così dire “atipiche” ed il terzo che adempie ex art. 1180 c.c. non potrà avvalersi dello strumento surrogatorio; diversamente, se si privilegia una soluzione più “elastica” e si giunge a ravvisare quel nesso di somiglianza tra le figure dell’indebito soggettivo ex latere solventis e l’adempimento del terzo, che consentirebbe l’estensione applicativa della previsione dell’art. 2036, 3° co. c.c. Infine, si pongono in luce le difficoltà alla concreta esperibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento nell’ipotesi dell’adempimento del terzo, che potrebbero derivare, per un verso, dalla circostanza che l’attribuzione patrimoniale ed il conseguente arricchimento ridonderebbe a vantaggio di un soggetto diverso dall’accipiens, per l’altro, dal carattere di sussidiarietà dell’azione stess

    La recettizietà della disdetta nel contratto di locazione

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    Muovendo dal pacifico orientamento giurisprudenziale che afferma la natura di atto recettizio della disdetta di un contratto di locazione (pur potendo tuttavia le parti pattuire diversamente), si esamina l’istituto della disdetta, sottolineandone le somiglianze e differenze con figure affini, quali la licenza ed il recesso: mentre la prima può definirsi come un negozio unilaterale recettizio che produce l’effetto di impedire la c.d. rinnovazione tacita del contratto, rendendo operante il termine finale del rapporto previsto dalla legge, la licenza designa un’intimazione formale con la quale il locatore comunica al conduttore di considerare operativo il termine finale del rapporto (già maturato o prossimo a scadere) e che intende ottenere il rilascio della cosa locata ed il recesso provoca la “anticipata” cessazione del rapporto rispetto alla sua naturale scadenza, determinando un effetto estintivo tout court e non, più propriamente, “impeditivo” (come invece è per la disdetta). Si sottolinea, quindi, come dall’analisi specifica della pronuncia della Cassazione oggetto di attenzione nonché in una prospettiva più generale, emerga la forza unificante della categoria della recettizietà, in quanto: 1) la Suprema Corte pare aver deciso, piuttosto che dall’interpretazione – invero equivoca – della clausola relativa alle modalità di esercizio della disdetta, proprio in base alla natura recettizia dell’atto in questione; 2) in materia locatizia, figure come disdetta, recesso e licenza – che possono creare problemi di distinzioni e delimitazioni reciproche - paiono trovare nella recettizietà un concetto in grado di comprenderle sotto un minimo comune denominator

    L'adempimento del terzo come "nuova" ipotesi di obbligazione naturale?

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    La fattispecie regolata dall’art. 1180 c.c. non disciplina i rapporti tra il debitore ed il terzo adempiente, sicché, qualora il terzo non abbia pagato in virtù di un titolo preesistente o concomitante all’adempimento, si pone il problema di individuare la causa giustificativa dello spostamento patrimoniale intervenuto e la conseguente azione che il solvens possa esercitare per ripetere quanto prestato, specie nelle ipotesi in cui, nonostante risulti l’avvenuto pagamento ad opera del terzo del debito altrui, manchi, tuttavia, la prova dell’esistenza di un rapporto sottostante in ragione del quale è stato effettuato il pagamento. Diverse sono le soluzioni prospettabili per la risoluzione della questione. Esse spaziano dalla configurabilità di un indebito soggettivo ex latere solventis, al ricorso al meccanismo surrogatorio; dalla gestione di affari altrui, all’esperibilità dell’azione generale di arricchimento senza causa. La Cassazione ha statuito che la disposizione dettata dall’art. 1180 c.c. non conferisce titolo al terzo adempiente per agire nei confronti del debitore al fine di ripetere la somma versata in adempimento, essendo necessario, a tal fine, che sia allegato e dimostrato il rapporto sottostante tra terzo e debitore e non essendo sufficiente l’effettiva dimostrazione dell’avvenuto pagamento ad opera del terzo. Nel saggio ci si interroga sulle eventuali conseguenze applicative del principio sancito dalla Suprema Corte, specie domandandosi se possa escludersi, sic et simpliciter, il diritto del terzo adempiente di agire in rivalsa contro il debitore, qualora sia provato l’avvenuto pagamento, ad opera del terzo, del debito altrui e, saggiando l’applicazione del principio enunciato dalla Cassazione al caso dell’amico che, per mero spirito di amicizia, provveda a pagare il debito altrui, si adombra il dubbio che ci si possa trovare in presenza di una “nuova” ipotesi di obbligazione natural

    Decisione e potere nell'atto amministrativo vincolato

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    L’ordinamento giuridico accorda all’amministrazione un margine di decisione, anche in caso di atti vincolati.La decisione è infatti una scelta per un’alternativa possibile, composta di volontà e giudizio. Sicché la decisione del necessario o dell’impossibile è insensata: scegliere il necessario è superfluo e, comunque, la scelta (e quindi la decisione) è mera apparenza; scegliere l’impossibile è inutile, dal momento che l’alternativa preferita non può essere attuata, cioè il programma d’azione non può essere effettivamente messo in pratica. Secondo chi ritiene che l’atto vincolato non sia una decisione e dunque non sia un provvedimento amministrativo, la decisione di adottare un atto vincolato è superflua o inutile: l’amministrazione non ha altre possibilità oltre quella di adottare l’atto con il contenuto predeterminato dall’ordinamento, al ricorrere dei presupposti.Una tale impostazione confonde la necessità, la possibilità e l’impossibilità con l’obbligo, il permesso e il divieto. Quando la (meta-)norma vincola l’azione amministrativa, impone all’amministrazione di decidere in maniera conforme ad essa, ma non rende la decisione necessaria: la (meta-)norma obbliga l’amministrazione ad adottare un atto con un certo contenuto al ricorrere dei presupposti vincolati, ma non impedisce che l’amministrazione di fatto adotti un atto di contenuto diverso. Anche quando l’ordinamento prefigura integralmente l’attività amministrativa, l’amministrazione conserva la possibilità, ancorché non il permesso, di agire diversamente, cioè di non rispettare la norma ipotetico-costitutiva. L’amministrazione, cioè, decide in ogni caso se disporre un certo effetto in una determinata situazione e quale effetto disporre.L’atto adottato in violazione del vincolo è illegittimo. E tuttavia nel nostro ordinamento anche tale atto produce i suoi effetti e permette all’amministrazione di perseguire il fine (eventualmente anch’esso illegittimo) che voleva perseguire con l’atto che viola il vincolo, salva l’eventualità del suo annullamento.Oltre ad essere sensata (cioè né necessaria, né inutile), tale decisione è anche giuridicamente rilevante: produce effetti giuridici, potenzialmente diversi da quelli prefigurati dall’ordinamento.In sostanza, anche quando l’ordinamento prefigura integralmente l’azione amministrativa, l’amministrazione decide il contenuto dell’atto: l’atto amministrativo è in ogni caso un fatto istituzionale, sub specie di decisione. Anche l’atto vincolato è dunque esercizio del potere amministrativo, è un provvedimento amministrativo al pari di quello discrezionale e può essere legittimo/illegittimo (non solo lecito/illecito).Da ciò tuttavia non discende che dinanzi ad un provvedimento vincolato vi siano interessi legittimi. Il discorso sulle situazioni giuridiche del cittadino in relazione al provvedimento vincolato dipende dall’elemento che la nozione di interesse legittimo (e, correlativamente, di diritto soggettivo) privilegia: se la sussistenza del potere in capo all’amministrazione (‘l’interesse legittimo è la pretesa ad ottenere o conservare un bene della vita oggetto di potere amministrativo’) oppure il grado di «certezza» di soddisfazione che l’ordinamento assicura alla pretesa del cittadino (‘l’interesse legittimo è la pretesa ad ottenere o conservare un bene della vita a soddisfazione solo eventuale’)
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