Sickness behaviour pushed too far – the basis of the syndrome seen in severe protozoal, bacterial and viral diseases and post-trauma

Certain distinctive components of the severe systemic inflammatory syndrome are now well-recognized to be common to malaria, sepsis, viral infections, and post-trauma illness. While their connection with cytokines has been appreciated for some time, the constellation of changes that comprise the syndrome has simply been accepted as an empirical observation, with no theory to explain why they should coexist. New data on the effects of the main pro-inflammatory cytokines on the genetic control of sickness behaviour can be extended to provide a rationale for why this syndrome contains many of its accustomed components, such as reversible encephalopathy, gene silencing, dyserythropoiesis, seizures, coagulopathy, hypoalbuminaemia and hypertriglyceridaemia. It is thus proposed that the pattern of pathology that comprises much of the systemic inflammatory syndrome occurs when one of the usually advantageous roles of pro-inflammatory cytokines – generating sickness behaviour by moderately repressing genes (Dbp, Tef, Hlf, Per1, Per2 and Per3, and the nuclear receptor Rev-erbα) that control circadian rhythm – becomes excessive. Although reversible encephalopathy and gene silencing are severe events with potentially fatal consequences, they can be viewed as having survival advantages through lowering energy demand. In contrast, dyserythropoiesis, seizures, coagulopathy, hypoalbuminaemia and hypertriglyceridaemia may best be viewed as unfortunate consequences of extreme repression of these same genetic controls when the pro-inflammatory cytokines that cause sickness behaviour are produced excessively. As well as casting a new light on the previously unrationalized coexistence of these aspects of systemic inflammatory diseases, this concept is consistent with the case for a primary role for inflammatory cytokines in their pathogenesis across this range of diseases

Costruire la pace tra Stato e territori: i dilemmi del peacebuilding

I capitoli in questo volume confermano e approfondiscono un aspetto noto nella letteratura specialistica, e cioè che il ruolo degli attori internazio- nali nel sostenere la liberalizzazione economica e politica sia stato contrad- dittorio e talvolta deludente.2 A fronte di un’enfasi posta sulla necessità di promuovere la democrazia, le organizzazioni internazionali hanno spesso 1 Si veda, ad esempio, Roland Paris, At War’s End: Building Peace After Civil Conflict, Cam- bridge, Cambridge University Press, 2004. 2 Anna Jarstad e Timothy D. Sisk (a cura di), From War to Democracy: Dilemmas of Peace- building, Cambridge, Cambridge University Press, 2008; Roland Paris e Timothy D. Sisk (a cura di), The Dilemmas of Statebuilding: Confronting the Contradictions of Postwar Peace Operations, London, Routledge, 2009. Introduzione 17 18 Costruire la pace tra Stato e territori imposto in maniera verticistica, e talvolta persino autocratica, le proprie priorità economiche e politiche. Nel tentare di sostenere la costruzione e il consolidamento delle istituzioni politiche locali, gli attori internazionali hanno frequentemente fornito legittimità a protagonisti locali responsabili di crimini e malversazioni. Di più, la promozione di un’economia di mercato ha favorito la svendita di industrie nazionali a mafiosi oppure a potentati economici internazionali con scarso beneficio per la popolazione locale. Non sorprende, quindi, che il tipo di società che emerge nelle zone di crisi e conflitto sia spesso assai distante dagli standard promossi, almeno in linea di principio, dall’azione internazionale. Le istituzioni locali hanno una par- venza di democraticità, ma sono regolarmente percepite come illegittime e inefficaci dai cittadini di quei Paesi. Le minoranze etniche e nazionali continuano a essere oggetto di discriminazione, nonostante la presenza di legislazioni in linea con gli standard internazionali sui diritti umani e le libertà civili e politiche. L’economia ha talvolta vissuto un revival, sostenuto anche dagli aiuti internazionali, ma non è di norma in grado di soddisfare i bisogni della popolazione