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    AVALIANDO A GESTÃO UNIVERSITÁRIA PONTO A PONTO: ESTUDO DE CASO

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    O processo de avaliação do ensino superior segue duas vertentes principais: a avaliação centrada no planejamento institucional com metas e indicadores globais bem definidos e a avaliação setorizada ou pontual que permite uma visão detalhada das rotinas e envolvimento dos indivíduos com a instituição. Neste trabalho apresentamos os resultados da avaliação pontual interna e externa de um setor administrativo da Universidade Federal de Santa Catarina. A avaliação foi realizada através análise de questionários com questões abertas e de resposta induzida. Os questionários foram preenchidos anonimamente e de forma voluntária por servidores da unidade (32 respondidos de 34 questionários enviados) e por usuários dos serviços da unidade (81 respondidos de 138 questionários enviados). Os resultados mostram, entre outros, os seguintes pontos positivos da avaliação interna: alto grau de envolvimento dos servidores com o processo de avaliação; satisfação com o trabalho; ambiente de trabalho propício à troca de idéias. Dos pontos negativos podemos ressaltar: os servidores sentem uma distribuição desigual da carga de trabalho no setor e fora dele e manifestam a falta de reuniões periódicas com as chefias. A avaliação externa revela respostas elogiosas ao trabalho do setor mas também que parte dos serviços prestados não são bem conhecidos da comunidade universitária. A auto avaliação é mais severa do que a avaliação externa, mostrando o espírito crítico dos servidores do setor. A avaliação permite recomendar ações concretas para reforçar os pontos positivos e minimizar os aspectos negativos como, por exemplo, o estabelecimento de uma agenda de reuniões periódicas entre servidores e chefias. Concluímos, além dos resultados diretos, que a avaliação setorizada é um mecanismo válido de diagnóstico da gestão e que existe, na comunidade universitária, um ambiente propício à continuidade da aplicação deste método

    I nuovi vicini : famiglie migranti e integrazione sul territorio

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    La ricerca condotta dalla Caritas ambrosiana nel 2011 si \ue8 proposta di analizzare se e come l\u2019insediamento di famiglie immigrate, con la presenza di figli minorenni e inseriti nel sistema scolastico, produca un incremento delle relazioni con i contesti locali, favorisca l\u2019instaurazione di rapporti con il vicinato e in modo particolare con famiglie italiane, stimoli l\u2019accesso ad alcuni servizi sociali, promuova in definitiva processi quotidiani di integrazione sociale. Dato il rilievo della dimensione urbana per l\u2019analisi di questi fenomeni, la ricerca \ue8 stata svolta in ambiti locali diversi. La parte quantitativa, basata su circa 400 questionari somministrati a uomini e donne con almeno un figlio residente con loro in Italia, \ue8 stata sviluppata in quattro contesti territoriali: per un terzo a Milano; per un quarto in medie citt\ue0, da 50.000 a 200.000 abitanti (prevalentemente a Brescia); per il 14% in piccole citt\ue0 (da 20.000 a 50.000 abitanti); per un altro quarto, infine, in centri pi\uf9 piccoli. L\u2019approfondimento qualitativo \ue8 invece consistito in 37 interviste, somministrate a due gruppi di donne che si presumeva ponessero in atto degli stili diversi di rapporto tra dimensione familiare e societ\ue0 locale: madri dell\u2019Europa Orientale con un lavoro extradomestico e madri pakistane arrivate per ricongiungimento e casalinghe. Le interviste sono state effettuate in due quartieri multietnici di Milano (via Padova e Corvetto); due quartieri altrettanto compositi di una media citt\ue0 come Brescia (Carmine e San Polo); infine a Seregno, una citt\ue0 medio-piccola della provincia di Monza e Brianza. Sul rapporto tra insediamento e familiare e pratiche abitative, la ricerca fornisce un quadro in cui si mescolano elementi positivi ed altri pi\uf9 problematici. Come era prevedibile, l\u201980% degli intervistati afferma che \ue8 stato difficile trovare casa, anche se questo vale meno per gli immigrati dell\u2019Europa Orientale (65%) e molto di pi\uf9 per quanti provengono dall\u2019Africa sub-sahariana (97%): un indizio di differente trattamento sul mercato abitativo, in relazione all\u2019apparenza fisica e alla provenienza. Quanto alle dimensioni dell\u2019abitazione rispetto alle esigenze familiari, il 50% sperimenta una situazione di affollamento (da 0,5 a 1 stanza per ogni componente della famiglia), mentre per il 9,7% si deve parlare di sovraffollamento (meno di 0,5 stanze a testa). Un risultato piuttosto sorprendente riguarda il fatto che nel corso della permanenza in Italia la situazione mediamente non migliori, sebbene si debba tenere conto della crescita delle dimensioni del nucleo familiare. Le spese per la casa assorbono infatti buona parte del reddito familiare: il 42% fino a due figli, il 52% per chi ne ha tre o pi\uf9. Per quanto riguarda la socialit\ue0, e in modo particolare le persone che gli intervistati frequentano nel tempo libero, i risultati propongono un quadro articolato, in cui genere, provenienza, posizione nel percorso migratorio si mostrano influenti. Nel complesso, parenti e amici stranieri sono citati al primo posto da pi\uf9 della met\ue0 degli intervistati. Pi\uf9 di un terzo tuttavia frequenta soprattutto ambienti misti, formati da italiani e stranieri. Gli uomini fanno pi\uf9 riferimento alle reti etniche delle donne. Queste a loro volta si differenziano profondamente tra primo migranti e ricongiunte: le seconde sono molto pi\uf9 inclini a una socialit\ue0 etnica delle prime (63% contro 39%), che sono il gruppo pi\uf9 propenso verso una socialit\ue0 mista o composta da italiani (61% contro una media del 46% per l\u2019intero campione). Quanto alle provenienze, europei orientali e latinoamericani appaiono pi\uf9 orientati verso circuiti amicali che comprendono anche italiani, mentre asiatici e nordafricani sono pi\uf9 inseriti in reti etniche. Interrogati su aspetti concreti della vita quotidiana, circa un terzo degli intervistati dichiarano di scambiare visite a casa con i vicini italiani: un dato rilevante, che parla di mescolanza e buon vicinato nella sfera quotidiana. Soltanto un decimo per\uf2 esce a pranzo o a cena con loro: gli scambi, si pu\uf2 arguire, crescono, ma pi\uf9 negli spazi privati della casa che in luoghi e occasioni pubbliche. La frequentazione di luoghi del tempo libero che comportano dei costi (ristoranti, cinema, teatri) ha tuttavia una prevedibile correlazione con il reddito: molti immigrati non circolano in vari ambiti dedicati alla socialit\ue0 e all\u2019intrattenimento semplicemente perch\ue9 non possono permetterselo. La mappa dei riferimenti in caso di necessit\ue0 \ue8 a sua volta composita. In assoluto, per le necessit\ue0 che richiedono un alto livello di fiducia (lasciare le chiavi di casa, chiedere un prestito, affidare i figli\u2026) il primo punto di riferimento sono i parenti. Per le necessit\ue0 secondarie (lavoro, burocrazia, scuola), prevalgono nettamente gli amici connazionali. Nel complesso per\uf2, considerando nell\u2019insieme le diverse variabili, il profilo pi\uf9 diffuso pu\uf2 essere definito \u201camicale misto\u201d, giacch\ue9 entrano in gioco frequentemente anche amici italiani. Di nuovo: avanzano mescolanza e mutuo aiuto nella vita di ogni giorno. Un aspetto cruciale dei processi di integrazione familiare riguarda i rapporti con il mercato del lavoro. In generale, in quasi met\ue0 del campione (45%) entrambi i genitori lavorano. I valori salgono sensibilmente quando si tratta delle famiglie provenienti dall\u2019area euro-orientale e balcanica (54%), mentre scendono nella componente nordafricana (21%). Anche qui per\uf2 il fatto che in pi\uf9 di una coppia su cinque anche la madre-moglie lavori fuori casa indica che si verificano tendenze divergenti rispetto alle idee correnti. Nella componente latinoamericana troviamo invece i casi pi\uf9 numerosi di madri lavoratrici sole (23%), oltre a un 4% di madri sole e senza lavoro. Le differenze nella partecipazione al lavoro si riflettono nel ricorso ai servizi, nella gestione delle responsabilit\ue0 educative, nella divisione del lavoro domestico e nelle forme di socialit\ue0. Nel caso in cui entrambi i genitori siano occupati, aumenta il ricorso ai servizi, soprattutto per la prima infanzia; i mariti sono pi\uf9 coinvolti nella vita scolastica, nella gestione domestica, nei compiti di accudimento. Le mogli hanno invece accesso a reti sociali pi\uf9 diversificate, a cui concorrono il lavoro, gli incontri con altri genitori, insegnanti e operatori in occasione delle attivit\ue0 dei figli, le relazioni familiari. Le famiglie in cui le madri non svolgono occupazioni extradomestiche conoscono maggiori ristrettezze economiche, che si traducono in un minore accesso ai servizi, come quelli per il tempo libero dei figli. Le madri si trovano gravate di maggiori oneri di cura, che a loro volta frenano l\u2019accesso al mercato del lavoro e l\u2019apprendimento della lingua italiana. Hanno per\uf2 maggiore tempo da dedicare alle relazioni sociali, legate soprattutto alle attivit\ue0 dei figli, bench\ue9 di solito limitate al gruppo etnico-linguistico di appartenenza. I mariti in questo caso tendono a delegare maggiormente compiti domestici e responsabilit\ue0 educative, ma non mancano casi in cui le competenze sviluppate nel periodo della separazione si traducono in una maggiore compartecipazione alla vita domestica rispetto ai modelli tradizionali. Le madri sole sono ovviamente le pi\uf9 svantaggiate, in termini economici e di conciliazione tra lavoro e responsabilit\ue0 genitoriali. Le loro reti di sostegno sono pi\uf9 ridotte e frammentarie, le strategie di conciliazione precarie, il tempo libero ridotto al minimo. Un\u2019altra area di indagine si riferiva alle concezioni e pratiche educative. Anzitutto, all\u2019incirca tre famiglie su quattro consentono/incoraggiano la partecipazione dei figli a luoghi educativi extrascolastici, con una media di 1,38 ambiti per figlio. L\u2019essere nati in Italia anzich\ue9 ricongiunti favorisce la partecipazione, con uno scarto di circa dieci punti percentuali: si pu\uf2 presumere che competenze linguistiche e socializzazione precoce incidano positivamente. Un dettaglio risulta interessante: il 39% dei figli frequenta luoghi religiosi, molto probabilmente soprattutto oratori cattolici, con un rapporto molto labile con la confessione religiosa di appartenenza; per i ragazzi nati in Italia, il valore sale al 48%, rivelando una consapevolezza delle opportunit\ue0 di svago e socializzazione che questi ambienti possono offrire in modo gratuito, indipendentemente dall\u2019educazione religiosa. La nascita in Italia ha ripercussioni prevedibili anche sugli usi linguistici: \ue8 pi\uf9 probabile che i genitori parlino con i figli solo in italiano (15%), o in pi\uf9 lingue (40%), e meno frequente che comunichino nella lingua del paese di origine (45%, contro 62% per i figli ricongiunti). In sostanza, le famiglie migranti sono luoghi di comunicazione plurilinguistica, con diverse combinazioni tra italiano e lingue ancestrali. Incide per\uf2 su questo punto la posizione delle madri nel ciclo migratorio familiare: le madri ricongiunte per due terzi circa parlano con i figli nella lingua ascritta, mentre tra le primo migranti il valore scende sotto il 50%. Queste differenze si collegano a loro volta con le provenienze: le componenti nazionali che seguono prevalentemente percorsi migratori tradizionali (Asia, Nord-Africa), in cui le mogli-madri arrivano dopo i mariti, in casa parlano maggiormente la lingua ancestrale. Viceversa, se sono pi\uf9 frequenti le donne primo-migranti, aumentano il plurilinguismo e l\u2019uso dell\u2019italiano. Nella vita quotidiana, la maggiore esposizione dei figli all\u2019influenza della societ\ue0 ospitante si fa sentire in svariati ambiti: l\u2019interesse per ci\uf2 che accade nei paesi di origine, la visione di film o programmi televisivi, l\u2019ascolto di musica tipica, sono gli aspetti che maggiormente distinguono genitori e figli, con differenze che superano i trenta punti percentuali. Viceversa l\u2019alimentazione registra maggiori convergenze: resta vero che i figli apprezzano di pi\uf9 il cibo italiano e meno quello tipico, ma le differenze non sono altrettanto pronunciate. Un punto nevralgico come l\u2019abbigliamento sembra assumere invece una spiccata connotazione di genere, giacch\ue9 la principale linea di distinzione non contrappone genitori e figli, ma piuttosto uomini e donne: sono il 38% delle madri e il 23% delle figlie a dichiarare di utilizzare capi di vestiario, accessori e acconciature tipici dei contesti di origine, molto pi\uf9 dei componenti maschili delle famiglie (rispettivamente 24 e 12%). Emerge poi nuovamente una significativa differenza in base alle provenienze: le maggiori distanze tra genitori e figli contraddistinguono le famiglie asiatiche e nordafricane. Qui i genitori appaiono pi\uf9 legati ai contesti di origine e alle tradizioni culturali importate, mentre i figli mediante i processi di socializzazione si avvicinano a preferenze e interessi dei coetanei italiani

    Proton or photon irradiation for hemangiomas of the choroid? A retrospective comparison

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    Abstract Purpose To compare on a retrospective basis the results of therapy in patients with uveal hemangioma treated with photon or proton irradiation at a single center. Methods From 1993 to 2002 in total 44 patients were treated. Until 1998 radiotherapy was given with 6 MV photons in standard fractionation of 2.0 Gy five times a week. In 1998 proton therapy became available and was used since then. A dose of 20 22.5 CGE Cobalt Gray Equivalent 68 MeV protons were given on four consecutive days. Progressive symptoms or deterioration of vision were the indications for therapy. Results Of the total of 44 patients treated, 36 had circumscribed choroidal hemangiomas CCH and 8 had diffuse hemangiomas DCH and Sturge Weber syndrom. 19 patients were treated with photons with a total dose in the range of 16 30 Gy. 25 patients were irradiated with protons. All but one patient with DCH were treated with photons. Stabilization of visual acuity was achieved in 93.2 of all patients. Tumorthickness decreased in 95.4 and retinal detachment resolved in 92.9 . Late effects although in general mild or moderate, were detected frequently. 40.9 showed radiation induced optic neuropathy RON maximum grade I. Retinopathy was found in 29.5 , but only one patient experienced more than grade II. Retinopathy and RON were reversible in some of the patients and in part resolved completely. No differences could be detected between CCH patients treated with protons and photons. Treatment was less effective in DCH patients 75 Conclusions Radiotherapy is effective in treating choroidal hemangiomas with respect to visual acuity and tumor thickness but a benefit of proton therapy could not be detected. Side effects are moderate but careful monitoring for side effects should be part of the follow up procedure

    Fünf Jahre Protonentherapie von Augentumoren am Hahn Meitner Institut Berlin

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    Seit 1998 werden am Ionenstrahllabor des Hahn Meitner Instituts Berlin Deutschlands erster Einrichtung zur Protonentherapie im Rahmen eines Kooperationsvertrages mit dem Universi tätsklinikum Benjamin Franklin der Freien Universität Berlin Augentumoren Aderhautmelano me, Irismelanome und Aderhauthämangiome mit 68 MeV Protonen bestrahlt. Der durch eine Kombination von Van de Graaff Beschleuniger und Zyklotron erzeugte Protonenstrahl wird pas siv für eine konformale Bestrahlung des Tumors aufbereitet. Mit der Positionierung des sitzenden Patienten wird mittels der digitalen Röntgenkontrolle eine Lagerungsgenauigkeit innerhalb von 0,3 mm erreicht. Für die Bestrahlungsplanung wird das modellbasierte Planungsprogramm EYEPLAN verwendet. In vorklinischer Erprobung befindet sich das mit dem Deutschen Krebsforschungszentrum entwi ckelte CT basierte Planungsprogramm OCTOPUS. Die nach über 350 bestrahlten Patienten erhaltenen klinischen Ergebnisse entsprechen denen an derer Protonentherapiezentren. Ende 2002 ist das Universitätsklinikum Essen als weiterer Koope rationspartner hinzugekommen

    Proton therapy of uveal melanomas in Berlin 5 years of experience at the Hahn Meitner Institute

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    Background In June 1998 proton beam therapy of ocular tumors started at the Hahn Meitner Institut Berlin, Germany. Purpose of the present study is to evaluate treatment outcome for uveal melanomas. Material and Methods 245 consecutive patients with primary melanoma of the uvea were treated from June 1998 to April 2003 with a 68 MeV proton beam. In 96.2 of all pts. a uniform fractionation scheme was applied single dose 15 CGE Cobalt Gray Equivalent , total dose 60 CGE on 4 consecutive days. Follow up is available in 229 patients. Results At the time of median follow up 18,4 months local control is 96.4 and 95.5 at 3 years. Eye retention rate is 92.6 at 20 months median follow up and 87.5 at 3 years. Conclusions Proton beam irradiation of uveal melanomas at the Hahn Meitner Institut after the first 5 years of its initiation reveals local tumor control and eye retention rates in the range of other centers with larger experience. Delivering high treatment quality in hadron therapy from the beginning has been achieved. Key Words Uveal melanoma proton therap

    Considerations on the Subject of Food Security and Food Safety

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    Il lavoro analizza criticamente la nozione concettuale di sicurezza alimentare e le sue possibili implicazioni sotto il duplice profilo quantitativo (security) e qualitativo (safety), calandola in una dimensione non soltanto di diritti ma anche di doveri (sia dei poteri pubblici che dei cittadini/consumatori) e valutandone e verificandone le ricadute sul relativo strumentario di tutela e sulle possibili ulteriori coordinate e direttrici di sviluppo
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