14 research outputs found

    Squalene does not exhibit a chemopreventive activity and increases plasma cholesterol in a Wistar rat hepatocarcinogenesis model

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    The eventual chemopreventive effect of squalene (SQ), a triterpene present in olive oil, was evaluated when administered to Wistar rats during a period comprising the initiation and selection/promotion of the resistant hepatocyte (RH) model of hepatocarcinogenesis. During 8 consecutive wk, animals received by gavage SQ (100 or 150 mg/100 g body weight) dissolved in corn oil (CO) daily. Animals treated with only CO and submitted to the RH model were used as controls. Treatments with SQ did not result in inhibition of macroscopically visible hepatocyte nodules (P > 0.05) or of hepatic placental glutathione S-transferase-positive preneoplastic lesions (PNL; P > 0.05). Hepatic cell proliferation and apoptosis indexes were not different (P > 0.05) among the different experimental groups, both regarding PNL and surrounding normal tissue areas. There were no significant differences (P > 0.05) among comets presented by rats treated with the two SQ doses or with CO. on the other hand, SQ increased total plasma cholesterol levels when administered at both doses (P < 0.05). This indicates that the isoprenoid was absorbed. Thus, SQ did not present chemopreventive activity during hepatocarcinogenesis and had a hypercholesterolemic effect, suggesting caution when considering its use in chemoprevention of cancer

    Genotoxicity of antimicrobial endodontic compounds by single cell gel (comet) assay in Chinese hamster ovary (CHO) cells

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    Objective. In the current study, the potential DNA damage associated with exposure to a number of antimicrobial endodontic compounds was assessed by the single cell gel (comet) assay in vitro.Study design. Chinese hamster ovary (CHO) cells were exposed to formocresol, paramonochlorophenol, calcium hydroxide, or chlorhexidine at final concentration ranging from 0.01% to 1%.Results. Formocresol, paramonochlorophenol, and calcium hydroxide, as well as chlorhexidine in all concentrations tested did not contribute to the DNA damage.Conclusion. These findings are clinically relevant since they represent an important contribution to the correct evaluation of the potential health risk associated with exposure to dental agents

    Pensare e vedere le altre città. I centri storici minori, sospesi tra tentativi di recupero/restauro ed esigenze di riqualificazione urbana possono essere il luogo di una nuova stagione di sperimentazione progettuale

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    Le città crescono. Oggi, che la globalizzazione permette di essere on-line con lo sviluppo sterminato delle città asiatiche e con la stereotipata identità della città delle grande ricchezze petrolifere, sembra inutile tornare a guardare altro, quando, da sempre, le città grandi hanno richiamato l’attenzione dei modellatori di Piani e degli inventori tipologici di forme descrittive, come di “ridondanti” infrastrutture, di luoghi in cui l’idolatrata “qualità del progetto” poteva positivamente contaminare la progressione del degrado e del tessuto senza identità. Ma, come scriveva Mario G. Cusmano nel suo ormai famoso Elogio della città dimensionata, “soprattutto in Italia, ma, in generale, per tutta la vecchia Europa, l’armatura urbana più diffusa e portante è costituita, proprio, dalle altre città”, quelle che possono veramente rappresentare il modello consolidato di una traccia ancora riconoscibile, non deformata e de-spazializzata, dei caratteri riconducibili agli “antichi significati”: dimensione, ruolo, forma, immagine, identità e qualità.Sono “parole antiche” che sembrano trovare “attrazione nulla” nella vita liquida moderna in cui vincono: “la permanenza della transitorietà; la durevolezza dell’effimero; la determinazione oggettiva che non trova riflesso nella consequenzialità soggettiva delle azioni; il ruolo sociale definito in maniera sempre inadeguata, o più esattamente l’inserirsi nel flusso della vita sociale senza l’ancora di salvezza di un ruolo sociale”. Aspirazioni e comportamenti per i luoghi di vita che, con un’immagine potente, Bauman delinea iperghetti per minisocietà dove le città sembrano “diventate le discariche di problemi concepiti e partoriti a livello globale”. Allora il delinearsi all’orizzonte di una claustropolis, realizzata ad immagine e somiglianza del secolo dell’illuminismo audiovisivo (come ci ricorda Virilio), pone netta la domanda se ha ancora significato sentirsi a casa nel grande o nel piccolo, tanto non si è in nessun luogo veramente, perché ormai l’ubiquità è accecante, e la fuga dalle città (quella dallo spazio vissuto verso lo spazio virtuale) sembra desiderata. Eppure c’è bisogno di altro; e mai come in questo momento della storia delle città è stata netta l’esigenza di memoria. Una memoria che deve trovare una presenza corporea, ordinata, dimensionata per soddisfare (secondo una chiave simile a quella dei riformatori sociali venati di comprensibile utopia di oltre cent’anni fa) le attuali esigenze di identificazione di un “luogo nello spazio”. “La straordinaria varietà di situazioni presenti in territorio italiano ci esime dal tentare una qualsiasi precisa definizione del termine «centro minore»; anzi deve apparire subito chiaro che è solo per comodità che ci si riferisce qui a una terminologia da tempo in uso soprattutto nel linguaggio degli urbanisti, e che va considerata nient’altro che un puro riferimento di relazione quantitativa nei confronti sia degli insediamenti minimi o sparsi sia delle grandi città”. Con queste parole Enrico Guidoni introduceva il volume Inchieste sui centri minori della celebre enciclopedia della “Storia dell’arte italiana”, curata in questa parte da Federico Zeri, circa trent’anni fa ponendo l’accento critico sui termini del confronto, che non doveva costituire aprioristicamente parametri qualitativi (sul tessuto, la forma o l’architettura) quanto piuttosto tentare un’indagine delle relazioni. Non ci saranno metodologie omogenee, non ci saranno univoche interpretazioni storiografiche, oppure “soluzioni miracolistiche alla crisi di identità culturale e di prospettive economiche che attualmente investe gran parte delle aree non industrializzate”. L’Italia ha un patrimonio diffuso di grande livello. La qualità e la consistenza delle preesistenze costituisce quasi sicuramente uno dei principali caratteri di originalità del nostro Paese rispetto alla maggioranza dei Paesi europei. In questi sistemi urbani abita ancora un numero importante di persone che non sono attirate dal potere di richiamo dei grandi centri e che individuano spesso nel “centro minore” un luogo di vita e di sviluppo di attività produttive e di servizio. Tuttavia negli ultimi anni molti indicatori segnalano il progredire di alcuni effetti devastanti, come se la “sindrome dei grandi centri” avesse un effetto contaminante in tutto il territorio, al di là dei reali modelli strutturali. In questo quadro si può innestare, soprattutto in questo momento storico-politico, l’interesse per un confronto che deve riportare alla luce alcuni aspetti fondamentali: 1 – i centri minori sono ancora un modello di qualità e di sperimentazione? Penso di sì. Credo che nella dimensione medio-piccola ci siano ancora tutti gli ingredienti per definire percorsi alternativi al progetto ipermetabolico e congestionante degli agglomerati urbani in incessante espansione; 2 – i centri e i nuclei storici che sono il principale elemento di caratterizzazione dei piccoli centri che ruolo giocano? Io credo che giochino un ruolo determinante. Sospesi tra il restauro-recupero e la riqualificazione urbana nei piccoli centri le dimensioni del tessuto connettivo svolgono una funzione determinante. Se nella grande città il nucleo storico è esteso ed immerso ormai in una progressiva cintura di periferie in cui appare molto difficile individuare confini, margini, funzioni, nei centri minori il nucleo storico è ancora definibile e soprattutto percepibile, identificabile (negli affetti come nelle qualità) e spesso proprio per le sue dimensioni si configura come un luogo deputato, un “gioiello” centrale a cui far pervenire valore e specificità. In altre parole il tessuto connettivo urbano più recente che aderisce al centro storico trova nell’identità del luogo storico una motivazione di riqualificazione; 3 – il rapporto riqualificazione urbana e conservazione/restauro come si può sviluppare? È in questo rapporto la scommessa sul destino dei piccoli centri in Italia. L’identità culturale dei centri storici minori, in un climax territoriale identificabile nei percorsi e nelle tracce diffuse, deve essere il volano della riqualificazione urbana del tessuto connettivo pubblico. Le strade, le piazze, i piccoli slarghi a parcheggio, le degradate funzioni commerciali, i modelli della peggiore urbanizzazione di prima periferia devono essere riconvertiti non con gli “ingredienti dell’antico”, che sarebbe anacronistico e fuori contesto, quanto piuttosto con un’azione di coerenza che trova nel recupero e nel restauro del patrimonio storico il fulcro dell’azione identitaria e nella ristrutturazione degli spazi e dei luoghi funzionali e di vita una progetto di riqualificazione sociale, economica con interessanti aspetti di richiamo e di valore turistico. Il confronto di processi di intervento che nella grande città possono sembrare antitetici e contraddittori nei centri minori invece possono trovare una ragion d’essere e un campo di sperimentazione interessante soprattutto perché la dimensione fa la differenza, nella possibilità del controllo, della partecipazione alle scelte, nell’individuazione di nuovi comportamenti e attività. Sono tutti ingredienti che possono collaborare alla realizzazione di un’azione concertata senza soluzioni di continuità, che sfrutta ed investe le poche risorse disponibili per definire una nuova rotta nella progressiva valorizzazione del patrimonio e dell’identità culturale

    Antigenotoxicity and antimutagenicity of lycopene in HepG2 cell line evaluated by the comet assay and micronucleus test

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    Epidemiological studies have provided evidence that high consumption of tomatoes effectively reduces the risk of reactive oxygen species (ROS)-mediated diseases such as cancer. Tomatoes are rich sources of lycopene, a potent singlet oxygen-quenching carotenoid. In addition to its antioxidant properties, lycopene shows an array of biological effects including antimutagenic and anticarcinogenic activities. In the present study, the chemopreventive action of lycopene was examined on DNA damage and clastogenic or aneugenic effects of H2O2 and n-nitrosodiethylamine (DEN) in the metabolically competent human hepatoma cell line (HepG2 cells). Lycopene at concentrations of 10. 25, and 50 mu M, was tested under three protocols: before, simultaneously, and after treatment with the mutagen, using the comet and micronucleus assays. Lycopene significantly reduced the genotoxicity and mutagenicity of H2O2 in all of the conditions tested. For DEN, significant reductions of primary DNA damage (comet assay) were detected when the carotenoid (all of the doses) was added in the cell culture medium before or simultaneously with the mutagen. In the micronucleus test, the protective effect of lycopene was observed only when added prior to DEN treatment. In conclusion, our results suggest that lycopene is a suitable agent for preventing chemically-induced DNA and chromosome damage. (C) 2007 Elsevier Ltd. All rights reserved

    Influence of aqueous extract of Agaricus blazei on rat liver toxicity induced by different doses of diethylnitrosamine

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    The modifying potential of prior administration of an aqueous extract of the mushroom Agaricus blazei Murrill (Agaricaceae) (Ab) on hepatotoxicity induced by different doses of diethylnitrosamine (DEN) in male Wistar rats was evaluated. During 2 weeks, animals of groups G3 (Ab+DEN50), G5 (Ab+DEN100), G7 (Ab+DEN200), and G8 (Ab-treated) were treated with the A. blazei through drinking water. After this period, groups G2 (DEN50), G3 (Ab+DEN50), G4 (DEN100) G5 (Ab+DEN100), G6 (DEN200), and G7 (Ab+DEN200) were given a single i.p. injection of 50, 100 and 200 mg/kg of DEN, respectively, while groups G1 (nontreated) and G8 (Ab-treated) were treated with 0.9% NaCl only. All animals were killed 48 h after DEN or NaCl treatments. The hepatocyte replication rate was estimated by the index of the proliferating cell nuclear antigen (PCNA) positive hepatocytes and the appearance of putative preneoplastic hepatocytes through expression of the enzyme glutathione S-transferase placental form (GSTP). After DEN-treatment, ALT levels, PCNA labeling index, and the number of GST-P positive hepatocytes were lower in rats that received A. blazei treatment and were exposed to 100 mg/kg of DEN. Our findings suggest that previous treatment with A. blazei exerts a hepatoprotective effect on both liver toxicity and hepatocarcinogenesis process induced by a moderately toxic dose of DEN. (C) 2002 Elsevier B.V. Ireland Ltd. All rights reserved
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