22 research outputs found

    Organizational capital: a resource for changing and performing in Public Administrations

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    The aim of this study was to deepen our knowledge about the role played by organizational capital (OC) among public administration (PA) agencies. A questionnaire was administered to a gender-balanced convenience sample of 270 workers of Italian PAs. First, confirmatory factor analysis was performed in order to examine the measurement model. Second, a SEM model was performed, confirming that OC was both directly and indirectly positively related to performance, through the mediation of innovation. OC was also positively related to innovation through the mediation of clarity about change. Overall, the results supported the hypothesized model, providing initial evidence on the pivotal role OC plays, and especially for PA agencies, on organizational innovation and performance. The limits and practical implications of these results are discussed

    Longitudinal beam profile measurements at CTF3 using a streak camera

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    The proposed Compact Linear Collider (CLIC) is a multi-TeV electron-positron collider for particle physics based on an innovative two-beam acceleration concept. A high-intensity drive beam powers the main beam of a high-frequency (30 GHz) linac with a gradient of 150 MV/m, by means of transfer structure sections. The aim of the CLIC Test Facility (CTF3) is to make exhaustive tests of the main CLIC parameters and to prove the technical feasibility. One of the points of particular interest is the demonstration of bunch train compression and combination in the Delay Loop and in the Combiner Ring. Thus, detailed knowledge about the longitudinal beam structure is of utmost importance and puts high demands on the diagnostic equipment. Among others, measurements with a streak camera have been performed on the linac part of the CTF3 as well as on the newly installed Delay Loop. This allowed e.g. monitoring of the longitudinal structure of individual bunches, the RF combination of the beam, the behavior during phase shifts and the influence of the installed wiggler. This article first gives an overview of the CTF3 facility, then describes in detail the layout of the long optical lines required for observation of either optical transition radiation or synchrotron radiation, and finally shows first results obtained during the last machine run this year

    Ppiazza Navona. Trasformazione e stratificazione

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    La ricerca si è posta l’obiettivo di indagare le fasi di formazione, trasformazione e uso di Piazza Navona e di comprenderne le dinamiche formative rispetto alla preesistenza: dall’abbandono dello Stadio di Domiziano alle grandi trasformazioni di età barocca. La piazza, che conserva memoria, nell’evoluzione topografica, dell’antico impianto romano, è caratterizzata da una ricca e complessa stratificazione, leggibile sia negli allineamenti murari e nelle geometrie degli edifici, sia nelle tracce materiali dissimulate tra le fondazioni: i sotterranei e gli scantinati si sono rivelati un prezioso palinsesto, un ‘archivio di pietra’ cui attingere, soprattutto quando le fonti storiche si rivelano carenti o addirittura inesistenti. Lo studio è stato condotto secondo un duplice approccio: da un alto l’indagine più propriamente filologica e materiale delle strutture, dall’altra l’analisi dei tessuti urbani (supportata dalle suddette analisi e dall’esame delle fonti indirette) e offre diverse letture: quella diacronica, stratigrafica, con una specifica riflessione sulle modalità d’inserimento nell’impianto antico, e quella sincronica, orizzontale, che delinea fasi significative dello sviluppo dell’insieme urbano. Lo Stadio di Domiziano (I d.C.) rimane in uso fino al IV sec. ma risulta conservato, almeno in parte, fino al XV sec. Ciò è probabilmente dovuto a un processo di lunga durata, un progressivo adattamento all’antico impianto, che non ha mai rifiutato del tutto la preesistenza, ma ha operato in continuità, secondo dinamiche diverse in relazione alle varie epoche storiche e ai differenti contesti: opere ad integrazione o tamponamento, piccole modifiche funzionali, operazioni di distruzione-livellamento o piuttosto di consolidamento-rinforzo. Lo stesso Borromini, nella grande opera di riedificazione della chiesa di S. Agnese, tiene conto delle sostruzioni dello Stadio e conserva, restaurandoli, alcuni ambienti della chiesa medievale, luoghi sacralizzati dalla tradizione del martirio della Santa. Ancora più evidente è il caso della chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli, cresciuta mantenendo le proporzioni e il ritmo strutturale imposti dalle strutture più antiche. Lo stadio romano era, probabilmente, un luogo destinato a diverse funzioni, anche commerciali, come accade in contesti analoghi e come testimoniano le recenti scoperte archeologiche che ipotizzano, nel IV sec. la presenza di un’officina di marmoraio tra le grandi aule sotto la cavea; nella fase di abbandono (V-VI sec.) il rinvenimento di sepolture in diversi punti della piazza ne attesta invece l’uso funerario, analogamente a quanto avviene in altre aree intramuranee a Roma. Le nuove funzioni, abitative o di culto (le chiesette sorte nel medioevo in griptis agonis) s’innestano sul monumento dapprima secondo una logica di spontanea occupazione, sfruttando i fornici che meglio si prestavano ad accoglierle, poi gradualmente e parallelamente all’espansione urbana e alla crescita d’importanza dell’area, saturando i vuoti e occupando gli antichi percorsi. Il tessuto medievale è disomogeneo, con edifici semplici rivolti verso le vie esterne, accostati o divisi da stretti passaggi; spesso hanno un orto sul retro, sull’antico campus agonis, che si presenta come uno spazio concluso, libero e non coltivato. Il mutare del toponimo da campus a piazza, nella seconda metà del XV sec., testimonia il grande cambiamento urbanistico e sociale di Piazza Navona; le case volgono il fronte principale verso l’interno, divenuto ormai centro della vita economica e sociale. Si assiste a una maggiore progettualità, sia di ‘mano’ pubblica che privata. Le fonti archivistiche attestano modesti interventi di restauro, chiusura di spazi aperti, eliminazione di parti comuni per ottenere spazi abitativi, maggiore articolazione degli ambienti e, soprattutto, la costruzione di palazzi ottenuti, spesso, dalla ‘rifusione’ di cellule abitative più antiche. Nel secolo successivo la strategia patrimoniale di grandi enti religiosi (S. Giacomo) da un lato, l’ascesa sociale delle grandi famiglie (soprattutto i Pamphili) dall’altro, determinano importanti trasformazioni nel tessuto edilizio, a partire dal versante sud, cambiamenti che caratterizzano ancora oggi l’immagine di Piazza Navona. Lo studio intende fornire un contributo sia in relazione alla tematica specifica, sia, più in generale, alla storia dell’architettura e dell’evoluzione delle tecniche costruttive, con particolare riguardo all’atteggiamento, nelle varie epoche, nei confronti dell’antico. Tali strumenti conoscitivi sono fondamentali per la conservazione: sia per l’interpretazione delle forme di degrado e di dissesto (anche in vista di una conservazione programmata), sia in una più ampia prospettiva di valorizzazione, di fruizione e, soprattutto, di rilettura di questi contesti stratificati, nell’ottica di una sistemazione unitaria, di una visione diacronica, anche con la possibilità di un percorso archeologico museal

    Ppiazza Navona. Trasformazione e stratificazione

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    La ricerca si è posta l’obiettivo di indagare le fasi di formazione, trasformazione e uso di Piazza Navona e di comprenderne le dinamiche formative rispetto alla preesistenza: dall’abbandono dello Stadio di Domiziano alle grandi trasformazioni di età barocca. La piazza, che conserva memoria, nell’evoluzione topografica, dell’antico impianto romano, è caratterizzata da una ricca e complessa stratificazione, leggibile sia negli allineamenti murari e nelle geometrie degli edifici, sia nelle tracce materiali dissimulate tra le fondazioni: i sotterranei e gli scantinati si sono rivelati un prezioso palinsesto, un ‘archivio di pietra’ cui attingere, soprattutto quando le fonti storiche si rivelano carenti o addirittura inesistenti. Lo studio è stato condotto secondo un duplice approccio: da un alto l’indagine più propriamente filologica e materiale delle strutture, dall’altra l’analisi dei tessuti urbani (supportata dalle suddette analisi e dall’esame delle fonti indirette) e offre diverse letture: quella diacronica, stratigrafica, con una specifica riflessione sulle modalità d’inserimento nell’impianto antico, e quella sincronica, orizzontale, che delinea fasi significative dello sviluppo dell’insieme urbano. Lo Stadio di Domiziano (I d.C.) rimane in uso fino al IV sec. ma risulta conservato, almeno in parte, fino al XV sec. Ciò è probabilmente dovuto a un processo di lunga durata, un progressivo adattamento all’antico impianto, che non ha mai rifiutato del tutto la preesistenza, ma ha operato in continuità, secondo dinamiche diverse in relazione alle varie epoche storiche e ai differenti contesti: opere ad integrazione o tamponamento, piccole modifiche funzionali, operazioni di distruzione-livellamento o piuttosto di consolidamento-rinforzo. Lo stesso Borromini, nella grande opera di riedificazione della chiesa di S. Agnese, tiene conto delle sostruzioni dello Stadio e conserva, restaurandoli, alcuni ambienti della chiesa medievale, luoghi sacralizzati dalla tradizione del martirio della Santa. Ancora più evidente è il caso della chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli, cresciuta mantenendo le proporzioni e il ritmo strutturale imposti dalle strutture più antiche. Lo stadio romano era, probabilmente, un luogo destinato a diverse funzioni, anche commerciali, come accade in contesti analoghi e come testimoniano le recenti scoperte archeologiche che ipotizzano, nel IV sec. la presenza di un’officina di marmoraio tra le grandi aule sotto la cavea; nella fase di abbandono (V-VI sec.) il rinvenimento di sepolture in diversi punti della piazza ne attesta invece l’uso funerario, analogamente a quanto avviene in altre aree intramuranee a Roma. Le nuove funzioni, abitative o di culto (le chiesette sorte nel medioevo in griptis agonis) s’innestano sul monumento dapprima secondo una logica di spontanea occupazione, sfruttando i fornici che meglio si prestavano ad accoglierle, poi gradualmente e parallelamente all’espansione urbana e alla crescita d’importanza dell’area, saturando i vuoti e occupando gli antichi percorsi. Il tessuto medievale è disomogeneo, con edifici semplici rivolti verso le vie esterne, accostati o divisi da stretti passaggi; spesso hanno un orto sul retro, sull’antico campus agonis, che si presenta come uno spazio concluso, libero e non coltivato. Il mutare del toponimo da campus a piazza, nella seconda metà del XV sec., testimonia il grande cambiamento urbanistico e sociale di Piazza Navona; le case volgono il fronte principale verso l’interno, divenuto ormai centro della vita economica e sociale. Si assiste a una maggiore progettualità, sia di ‘mano’ pubblica che privata. Le fonti archivistiche attestano modesti interventi di restauro, chiusura di spazi aperti, eliminazione di parti comuni per ottenere spazi abitativi, maggiore articolazione degli ambienti e, soprattutto, la costruzione di palazzi ottenuti, spesso, dalla ‘rifusione’ di cellule abitative più antiche. Nel secolo successivo la strategia patrimoniale di grandi enti religiosi (S. Giacomo) da un lato, l’ascesa sociale delle grandi famiglie (soprattutto i Pamphili) dall’altro, determinano importanti trasformazioni nel tessuto edilizio, a partire dal versante sud, cambiamenti che caratterizzano ancora oggi l’immagine di Piazza Navona. Lo studio intende fornire un contributo sia in relazione alla tematica specifica, sia, più in generale, alla storia dell’architettura e dell’evoluzione delle tecniche costruttive, con particolare riguardo all’atteggiamento, nelle varie epoche, nei confronti dell’antico. Tali strumenti conoscitivi sono fondamentali per la conservazione: sia per l’interpretazione delle forme di degrado e di dissesto (anche in vista di una conservazione programmata), sia in una più ampia prospettiva di valorizzazione, di fruizione e, soprattutto, di rilettura di questi contesti stratificati, nell’ottica di una sistemazione unitaria, di una visione diacronica, anche con la possibilità di un percorso archeologico museal

    Intangible assets and performance in nonprofit organizations: a systematic literature review

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    Nonprofit organizations (NPOs) promote citizens’ participation in community life through several different kinds of organizations: some more informal (such as associations and volunteering groups), others more formal or public (such as charities and foundations). This heterogeneity, as well as the well-known peculiarities of NPOs when compared to profit and public ones, poses new challenges to their management. In the constant need to find balance between financial constraints and social value, a main resource for NPOs is the management of intangible assets, such as knowledge, positive relationships within the organization and with users, external image, loyalty and commitment, and so on. From the literature on for-profit organizations, it is well known that proper management of intangible assets improves an organization’s sustainable competitive advantage, not only by enhancing its members’ affiliation and commitment but even by enhancing their productivity. This is particularly relevant when taking into account the main role of volunteers in the third sector. Volunteers, indeed, show different job attitudes and organizational behaviors than paid employees, as their membership and accountability are less formalized and they frequently lack a proper teamwork, due to the high volunteer turnover. At the same time, from the managers point of view, managing volunteers and paid workers require higher skills and competencies than managing human resources in for-profit organizations. Developing these reflections and considerations, we aim to conduct a systematic literature review on the association between intangible assets and performance in NPOs. The literature will be conducted following the indications from the Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta-Analyses (PRISMA) statement. It provides an evidence-based minimum set of items to be included in the review, as well as a workflow to properly manage and choose the papers to be included. The authors conducted the research using EBSCO, ProQuest, and Scopus databases

    Long-term feed intake regulation in sheep is mediated by opioid receptors

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    These experiments were conducted to determine if 1) syndyphalin-33 (SD33), a mu-opioid receptor ligand, affects feed intake; 2) SD33 effects on feed intake are mediated by actions on opioid receptors; and 3) its activity can counteract the reduction in feed intake associated with administration of bacterial endotoxin. In Exp. 1, 5 mixed-breed, castrate male sheep were housed indoors in individual pens. Animals had ad libitum access to water and concentrate feed. Saline ( SAL; 0.9% NaCl) or SD33 (0.05 or 0.1 mu mol/kg of BW) was injected i.v., and feed intake was determined at 2, 4, 6, 8, 24, and 48 h after the i.v. injections. Both doses of SD33 increased ( at least P \u3c 0.01) feed intake at 48 h relative to saline. In Exp. 2, SAL + SAL, SAL + SD33 ( 0.1 mu mol/kg of BW), naloxone ( NAL; 1 mg/kg of BW) + SAL, and NAL + SD33 were injected i.v. Food intake was determined as in Exp. 1. The SAL + SD33 treatment increased ( P = 0.022) feed intake at 48 h relative to SAL + SAL. The NAL + SAL treatment reduced ( at least P \u3c 0.01) feed intake at 4, 6, 8, 24, and 48 h, whereas the combination of NAL and SD33 did not reduce feed intake at 24 ( P = 0.969) or 48 h ( P = 0.076) relative to the saline-treated sheep. In Exp. 3, sheep received 1 of 4 treatments: SAL + SAL, SAL + 0.1 mu mol of SD33/kg of BW, 0.1 mu g of lipopolysaccharide (LPS)/ kg of BW + SAL, or LPS + SD33, and feed intake was monitored as in Exp. 1. Lipopolysaccharide suppressed cumulative feed intake for 48 h ( P \u3c 0.01) relative to saline control, but SD33 failed to reverse the reduction in feed intake during this period. These data indicate that SD33 increases feed intake in sheep after i.v. injection, and its effects are mediated via opioid receptors. However, the LPS-induced suppression in feed intake cannot be overcome by the opioid receptor ligand, SD33

    Uterine irradiation as a determinant of infertility and pregnancy losses in young cancer survivors

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    Several concerns exist regarding the impact of anticancer treatments on fertility and pregnancy outcome. The detrimental effects of both chemotherapy and radiotherapy on the ovaries are well reported in the available literature. Fewer data are focused on the importance of a functioning uterus to conceive and carry on a healthy pregnancy. The aim of this paper is to provide a narrative review of the current literature to assess the role of uterine irradiation as a potential determinant of infertility and poor obstetrical outcomes. This review addresses the need for multidisciplinary counselling in order to face the poor reproductive and obstetrical outcomes of women who had uterine radiation, according to the different backgrounds (radiotherapy during adulthood versus childhood; total body irradiation versus pituitary, spinal and/or abdominal-pelvic irradiation)

    A new long-term reversible contraception method: sexual and metabolic impact

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    Background: data relating to the influence of hormonal contraception on sexual life are conflicting and mostly they refer to oral contraceptives. In this study we evalueted the effect of a long-acting contraceptive on sexual finction, metabolism and bleeding pattern variations. Methods: 23 women with a permanent partner and an active sexual life completed a specific questionnaire at the start of the study and after cycles 3 and 6 of contraceptive use; a blood sample was performed oor metabolic evaluation and a "bleeding calendar" was compiled by the patients. Conclusion: There is an increase of quality and frequency of sexual function after 6 month of contraception; there aren't significant change in metabolic parameters and is detectable a modification of bleeding patterns
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