8 research outputs found

    Poor Glycaemic Control and Arrhythmias.

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    Objective. To evaluate number, type, and complexity of arrhythmias in diabetics compared with controls and, among diabetics, comparing good glycaemic control (GGC) and poor glycaemic control (PGC) patients. Methods. We compared Ambulatory Electrocardiogram recordings of 92 diabetics and 100 controls. The glycaemic profile of 50 diabetics, taken the same day as the Ambulatory ECG recording, was subdivided into GGC (gluco-stick mean values between 100 and 140 mg/dL) or PGC (gluco-stick values 6499 mg/dL in 3-of-4 daily determination or gluco-stick values 65140 mg/dL in 3-of-4 daily determination). Results. Diabetics show a higher prevalence of either ventricular ectopic beats (VEBs) (93.47% vs. 82% controls, p < 0.05) and heart rate (both in sinus rhythm and in atrial fibrillation) (98.35 \ub1 10 beats/min in diabetics vs. 78.10 \ub1 8.1 in controls, p < 0.001). Moreover, diabetics with PGC show either a higher prevalence of VEBs (96.42% vs 77.27% in GGC, p < 0.05) and of supraventricular ectopic beats (SVEBs) (96.42% vs. 68.18 in GGC, p < 0.05); furthermore, diabetics with PGC show more severe and complex atrial and ventricular arrhythmias (SVEBs 32.14% vs 0%, p < 0.05; VEBs 39.28% vs 9.09%, p < 0.05). Conclusions. The analysis of our sample shows that the arrhythmogenic condition is not only provided from diabetic condition per se but it is enhanced in PGC. Infact PGC patients showed higher number of VEBs, often polymorphic, expression of more severe arrhythmic and cardiovascular outcome. This could be partially explained by hyperactivation of autonomic nervous system during metabolic stress (which increases mean heart rate). Moreover more severe diabetic patients may present coronary microangiopathy that can further explain their arrhythmogenic tendency. Read More: http://informahealthcare.com/doi/abs/10.3109/07435800.2013.76726

    DIABETE MELLITO TIPO 2 ED EVENTI ARITMICI NEL PAZIENTE ANZIANO. OSSERVAZIONI MEDIANTE MONITORAGGIO ECG HOLTER

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    Premessa: Il diabete, come noto, espone ad elevato rischio di malattie cardio e cerebro-vascolari. Secondo alcuni autori il diabete \ue8, di fatto, una \u201ccardiomiopatia\u201d. In un precedente studio, peraltro in armonia con la letteratura, abbiamo evidenziato un maggiore incidenza di aritmie nei pazienti con diabete mal controllato. Recenti studi, infine, hanno ipotizzato una correlazione non casuale tra diabete mellito e fibrillazione atriale (FA). Obiettivo: Scopo di questo lavoro \ue8 stato confrontare, mediante ECG Holter, il numero, il tipo e la complessit\ue0 degli eventi aritmici in una popolazione diabetica rispetto ad una non diabetica, in uno studio di coorte retrospettivo. Risultati: \uc8 stato revisionato il database di tutte le registrazioni ECG Holter del nostro Ambulatorio di Cardiologia dal 1\ub0 ottobre 2010 al 31 maggio 2014, per un totale di 2401 esami eseguiti in soggetti di et\ue0 compresa tra 5 e 98 anni. Dal totale sono stati estratti tutti i pazienti con diabete tipo 2 di et\ue0 >65 anni (totale 181, pari al 7,5% dell\u2019intera popolazione, et\ue0 media 78\ub113) e, per confronto, \ue8 stata randomizzata una popolazione di 181 soggetti non diabetici di pari et\ue0, valutando l\u2019incidenza di aritmie sopraventricolari e ventricolari. L\u2019analisi statistica \ue8 stata condotta mediante Test Chi-quadrato e Test T di Student. In accordo con i dati della letteratura, nella popolazione diabetica abbiamo osservato una maggiore prevalenza di fibrillazione atriale (37 vs 18, ovvero 20,4% vs 9,9%, p<0,001). La frequenza cardiaca (media, minima e massima) \ue8 apparsa tendenzialmente pi\uf9 elevata nel gruppo di diabetici rispetto a quella dei controlli con alta significativit\ue0 statistica per quanto concerne la FC massima sia nei soggetti fibrillanti che in quelli in ritmo sinusale (RS). (Vedi Tabella allegata) Nei diabetici in ritmo sinusale abbiamo osservato, inoltre, una frequenza di extrasistolia sopraventricolare significativamente pi\uf9 elevata rispetto ai controlli (93% vs 82,8%, p<0,01), mentre non ha raggiunto la significativit\ue0 il confronto per l\u2019extrasistolia sopraventricolare ripetitiva (coppie: 54,9% vs 52,5%; run: 47,2% vs 42,9). Da notare anche, come peraltro gi\ue0 segnalato in letteratura, che tra i pazienti in ritmo sinusale, i diabetici presentano una minore variabilit\ue0 della frequenza cardiaca. Nei diabetici fibrillanti, rispetto ai controlli, abbiamo osservato una maggior frequenza di extrasistoli ventricolari al limite della significativit\ue0 (94,6% vs 88,8%), ed una loro maggiore complessit\ue0 (BEV polifocali: 11 vs 5, 29,7% vs 27,8%; coppie: 13 vs 4, 35,1% vs 22,2%), anche se l\u2019esiguit\ue0 del campione non consente un adeguato confronto statistico. Nel gruppo di pazienti con FA, abbiamo infine osservato come la prevalenza di pause di durata 65 3 secondi sia significativamente pi\uf9 elevata nei diabetici rispetto ai controlli (20 vs 6, 54,1% vs 33,3% p<0.004). Conclusione: In questo studio abbiamo osservato, in accordo con i dati della letteratura, come i pazienti diabetici presentino una maggior prevalenza di aritmie, ed in particolare di fibrillazione atriale rispetto alla popolazione non diabetica. Le cause della maggiore vulnerabilit\ue0 del tessuto di eccito-conduzione hannouna genesi multifattoriale che include verosimilmente le anomalie strutturali conseguenti alla microangiopatia coronarica, la neuropatia autonomica e la cardiomiopatia diabetica. La disregolazione autonomica, poi, sembrerebbe essere responsabile della minore variabilit\ue0 della frequenza cardiaca riscontrata nei diabetici. Infine, le fasi di iper e soprattutto ipo-glicemia, con l\u2019iperattivazione del sistema catecolaminergico, sono a loro volta potenzialmente pro-aritmiche. Anche l\u2019insulino-resistenza sembrerebbe avere un ruolo importante, come testimoniato dalla maggior prevalenza delle aritmie nei soggetti con diabete di tipo 2 rispetto a pazienti con diabete di tipo 1.I risultati da noi ottenuti, in armonia con quanto riportato in letteratura, confermano la predisposizione dei diabetici alle manifestazioni aritmiche sia sopraventricolari, e segnatamente la FA, sia ventricolari con ulteriore aumento del rischio cardiologico. Data la ricchezza delle informazioni desumibili dalla registrazione Holter potrebbe essere auspicabile introdurre tale monitoraggio nello screening periodico del paziente diabetic

    FIBRILLAZIONE ATRIALE: OSSERVAZIONI SULL\u2019APPLICAZIONE DELLE LINEE GUIDA ED EFFETTI DEL TRATTAMENTO DI \u201cRATE CONTROL\u201d MEDIANTE ECG HOLTER NELL\u2019ANZIANO

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    Premessa: La fibrillazione atriale (FA) \ue8 l\u2019aritmia pi\uf9 frequente nella popolazione, con una prevalenza che aumenta con l\u2019avanzare dell\u2019et\ue0, passando da <0.5% nella fascia di et\ue0 compresa tra 40 e 50 anni al 5-15% e oltre, a seconda delle stime epidemiologiche, nei soggetti di et\ue0 avanzata ( 65 80 anni), interessando pi\uf9 frequentemente gli uomini rispetto alle donne. Nella popolazione anziana, inoltre, secondo alcuni autori, la FA \ue8 predittore indipendente di tutte le cause di mortalit\ue0. Come noto, peraltro, tale aritmia \ue8 gravata da elevata morbilit\ue0 e mortalit\ue0 per complicanze trombo-emboliche ed emodinamiche. Da qui la pubblicazione di linee guida, continuamente aggiornate, per il corretto trattamento. Obiettivo: Verifica in fibrillanti anziani di: 1. Adeguatezza della profilassi anti-trombembolica e del \u201crate control\u201d 2. Correlazione fra terapia di \u201crate control\u201d e presenza di pause patologiche e/o aritmie ventricolari Risultati: \uc8 stato revisionato il database di tutte le registrazioni ECG-holter del nostro Ambulatorio di Cardiologia dal 1\ub0ottobre 2010 al 31 maggio 2014, per un totale di 2401 registrazioni di pazienti con et\ue0 compresa tra 5 e 98 anni (55% donne, 45% uomini). L\u2019analisi statistica \ue8 stata condotta mediante Test Chi-quadrato. I soggetti in studio sono stati suddivisi per sesso ed et\ue0 (Gruppo A:< 65 anni, Gruppo B: 65-79 anni, Gruppo C: >79 anni); di questi, 379 sono risultati affetti da fibrillazione atriale (15,8%), con un\u2019incidenza che aumenta con l\u2019avanzare dell\u2019et\ue0 (negli uomini, rispettivamente 9,3% nel gruppo A, 13,3% nel gruppo B e 30,8% nel gruppo C; nelle donne 3,7% nel gruppo A, 13,2% nel gruppo B e 25,5% nel gruppo C). In tutti i gruppi, in accordo con i dati della letteratura, la fibrillazione atriale \ue8 risultata pi\uf9 frequente nei soggetti di sesso maschile. In merito alla profilassi anti-tromboembolica, abbiamo osservato una minor percentuale di soggetti trattati nella popolazione femminile (84% delle donne in profilassi, di cui solo il 65,2% in terapia anticoagulante orale-TAO-; 100% degli uomini in profilassi, di cui solo il 66,1% in TAO).avanzata (70,8% nel gruppo C vs 55,6% nel gruppo A e 55,1% nel gruppo B) e negli uomini di et\ue0 intermedia (82,4% nel gruppo B vs 43,8% nel gruppo A e 65,1% nel gruppo C). Il trattamento con antiaggregante (ASA) appare pi\uf9 frequente nella popolazione giovane, sia per gli uomini (46,9% nel gruppo A vs 27,5% nel gruppo B e 36,7% nel gruppo C) che per le donne (22,2% nel gruppo A vs 18,4% nel gruppo B e 18,3% nel gruppo C), probabilmente per un minore punteggio minore ottenuto al CHA2DS2VASC. Anche in tal caso, il sesso femminile appare sotto-trattato rispetto al maschile. In merito al \u201crate control\u201dabbiamo puntato l\u2019attenzione esclusivamente sui pazienti di et\ue0 pi\uf9 avanzata (ovvero: gruppi B e C). I risultati hanno mostrato come i beta-bloccanti siano i farmaci pi\uf9 utilizzati (nel 53,5% delle donne e nel 55,2% degli uomini) seguiti da calcio-antagonisti non di-idropiridinici (42,2% delle donne e 35,9% degli uomini) e dalla digitale (11,2 % delle donne e 23,5% degli uomini). Da notare che con l\u2019avanzare dell\u2019et\ue0 \ue8 pi\uf9 frequente il ricorso all\u2019associazione dei farmaci delle tre classi citate per ottenere un adeguato \u201crate control\u201d. In particolare, nella fascia di et\ue0 intermedia, ci\uf2 avviene nel 24,5% delle donne e nel 23,5% degli uomini, con una prevalenza analoga nei due sessi, nei soggetti anziani la terapia di associazione \ue8 invece significativamente pi\uf9 elevata (p<0,001) negli uomini (45%) rispetto alle donne (12,5%). L\u2019analisi statistica ha poi mostrato come l\u2019associazione di almeno due dei farmaci prima citati in qualsiasi combinazione sia correlato in modo significativo (p 3 secondi, per entrambi sessi e per tutte le fasce di et\ue0. E la significativit\ue0 aumenta nei pazienti in triplice terapia (p<0,001). Infine, le aritmie ventricolari sono presenti in tutti i soggetti fibrillanti di et\ue0 avanzata, con un grado di severit\ue0 statisticamente evidente negli uomini rispetto alle donne; in particolare, battiti ectopici ventricolari (BEV) polifocali si manifestano nel 64,2% degli uomini vs 31,7% delle donne (p<0,01) e run ventricolari nel 18,3% degli uomini vs 7,5% delle donne (p<0,02). Conclusione: I risultati ottenuti hanno mostrato come, a dispetto delle linee guida per la FA, ancora un\u2019elevata percentuale di pazienti non sia adeguatamente profilassata con TAO. Se ci\uf2 pu\uf2 essere comprensibile nella fascia d\u2019et\ue0 pi\uf9 giovane ed in particolare nel sesso maschile, ove il punteggio del CHA2DS2VASC \ue8 minore, appare invece meno spiegabile nel gruppo di donne di et\ue0 intermedia e negli uomini di et\ue0 avanzata. Un\u2019altra osservazione di rilievo \ue8 quella relativa al rischio di indurre bradiaritmie severe con pause 653 sec e/o favorire l\u2019innesco di aritmie ventricolari, potenzialmente maligne, ogni qual volta per ottenere un apparente buon \u201crate control\u201d si ricorra all\u2019associazione di pi\uf9 farmaci. E ci\uf2 \ue8 tanto pi\uf9 vero quanto pi\uf9 \ue8 avanzata l\u2019et\ue0 del paziente. In tal senso si conferma l\u2019utilit\ue0 della registrazione Holter non solo per il riconoscimento di aritmie clinicamente silenti, ma anche per un adeguato monitoraggio della terapia e ci\uf2 particolarmente nel paziente anziano notoriamente pi\uf9 vulnerabil

    Drug\u2013drug interactions involving CYP3A4 and p-glycoprotein in hospitalized elderly patients

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    Polypharmacy is very common in older patients and may be associated with drug-drug interactions. Hepatic cytochrome P450 (notably 3A4 subtype, CYP3A4) is a key enzyme which metabolizes most drugs; P-glycoprotein (P-gp) is a transporter which significantly influences distribution and bioavailability of many drugs. In this study, we assess the prevalence and patterns of potential interactions observed in an hospitalized older cohort (Registro Politerapia Societ\ue0 Italiana di Medicina Interna) exposed to at least two interacting drugs involving CYP3A4 and P-gp at admission, during hospitalization and at discharge. Individuals aged 65 and older (N-4039; mean age 79.2; male 48.1%), hospitalized between 2010 and 2016, were selected. The most common combinations of interacting drugs (relative frequency > 5%) and socio-demographic and clinical factors associated with the interactions were reported. The prevalence of interactions for CYP3A4 was 7.9% on admission, 10.3% during the stay and 10.7% at discharge; the corresponding figures for P-gp interactions were 2.2%, 3.8% and 3.8%. The most frequent interactions were amiodarone-statin for CYP3A4 and atorvastatin-verapamil-diltiazem for P-gp. The prevalence of some interactions, mainly those involving cardiovascular drugs, decreased at discharge, whereas that of others, e.g. those involving neuropsychiatric drugs, increased. The strongest factor associated with interactions was polypharmacy (OR 6.7, 95% CI 5.0\u20139.2). In conclusion, hospital admission is associated with an increased prevalence, but also a changing pattern of interactions concerning CYP3A4 and P-gp in elderly. Educational strategies and appropriate use of dedicated software seem desirable to limit drug interactions and the inherent risk of adverse events in older patients

    Disability, and not diabetes, is a strong predictor of mortality in oldest old patients hospitalized with pneumonia

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    Background: Pneumonia causes more deaths than any other infectious disease, especially in older patients with multiple chronic diseases. Recent studies identified a low functional status as prognostic factor for mortality in elderly patients with pneumonia while contrasting data are available about the role of diabetes. The aim of this study was to evaluate the in-hospital, 3-month and 1-year mortality in elderly subjects affected by pneumonia enrolled in the RePoSi register. Methods: We retrospectively analyzed the data collected on hospitalized elderly patients in the frame of the REPOSI project. We analyzed the socio-demographic, laboratory and clinical characteristics of subjects with pneumonia. Multivariate logistic analysis was used to explore the relationship between variables and mortality. Results: Among 4714 patients 284 had pneumonia. 52.8% were males and the mean age was 80 years old. 19.8% of these patients had a Barthel Index 6440 (p \u2c2 0.0001), as well as 43.2% had a short blessed test 6510 (p \u2c2 0.0117). In these subjects a significant CIRS for the evaluation of severity and comorbidity indexes (p \u2c2 0.0001) were present. Although a higher fasting glucose level was identified in people with pneumonia, in the multivariate logistic analysis diabetes was not independently associated with in-hospital, 3-month and 1-year mortality, whereas patients with lower Barthel Index had a higher mortality risk (odds ratio being 9.45, 6.84, 19.55 in hospital, at 3 and 12 months). Conclusion: Elderly hospitalized patients affected by pneumonia with a clinically significant disability had a higher mortality risk while diabetes does not represent an important determinant of short and long-term outcome

    Prognostic relevance of glomerular filtration rate estimation obtained through different equations in hospitalized elderly patients

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    The estimated glomerular filtration rate (eGFR) is a predictor of important outcomes and its reduction has been associated with the risk of all-cause mortality in both general population and elderly patients. However while reduced renal function is common in older people, the best method for estimating GFR remains unclear, especially in an acute care setting. Most studies analyzing the accuracy of eGFR in the elderly were carried out in different heterogeneous settings. In this study, we compare the prognostic value of different formulas estimating GFR in predicting the risk of in-hospital morbidity and mortality within 3 months from discharge in elderly hospitalized patients. Data were extracted from \u201cRegistro Politerapia Societ\ue0 Italiana di Medicina Interna (REPOSI)\u201d. Patients with available creatinine values at hospital admission were selected and eGFR was calculated according to the different formulas: Cockcroft-Gault, Modification of Diet in Renal Disease equation, Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration, Berlin Initiative Study and Full Age Spectrum. 4621 patients were included in the analysis. Among these, 4.2% and 14.2% died during hospitalization and within 3 months from discharge, respectively. eGFR > 60 ml/min/1.73 m2 at admission was associated with a very low risk of mortality during the hospital stay and within 90 days from discharge, while an eGFR < 60 ml/min/1.73 m2 was associated with unfavorable outcomes, although with a poor level of accuracy (AUC 0.60\u20130.66). No difference in predictive power between different equations was found. Physicians should be aware of the prognostic role of eGFR in a comprehensive assessment of elderly in-patients

    Living alone as an independent predictor of prolonged length of hospital stay and non-home discharge in older patients

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    Sex-Differences in the Pattern of Comorbidities, Functional Independence, and Mortality in Elderly Inpatients: Evidence from the RePoSI Register

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    Background: The RePoSi study has provided data on comorbidities, polypharmacy, and sex dimorphism in hospitalised elderly patients. Methods: We retrospectively analysed data collected from the 2010, 2012, 2014, and 2016 data sets of the RePoSi register. The aim of this study was to explore the sex-differences and to validate the multivariate model in the entire dataset with an expanded follow-up at 1 year. Results: Among 4714 patients, 51% were women and 49% were men. The disease distribution showed that diabetes, coronary artery disease, chronic obstructive pulmonary disease, chronic kidney disease, and malignancy were more frequent in men but that hypertension, anaemia, osteoarthritis, depression, and diverticulitis disease were more common in women. Severity and comorbidity indexes according to the Cumulative Illness Rating Scale (CIRS-s and CIRS-c) were higher in men, while cognitive impairment, mood disorders, and disability in daily life measured by the Barthel Index (BI) were worse in women. In the multivariate analysis, BI, CIRS, and malignancy significantly increased the risk of death in men at the 1-year follow-up, while age was independently associated with mortality in women. Conclusions: Our study highlighted the relevance and the validity of our previous predictive model in the identification of sex dimorphism in hospitalised elderly patients underscoring the need of sex-personalised health-care
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