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    Lipocalina e Delayed Graft Function nel paziente trapiantato renale

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    INTRODUZIONE: Il rene trapiantato è esposto agli effetti dell’ischemia-riperfusione responsabili di ritardata ripresa funzionale dell’organo (delayed graft function; DGF). DGF può incidere negativamente sull’evoluzione del rene trapiantato. Nel presente studio è stato valutato il ruolo della lipocalina urinaria quale predittore di DGF. MATERIALI E METODI: Sono stati valutati pazienti sottoposti a trapianto di rene da donatore cadavere. Prelievi ematici erano effettuati immediatamente prima del trapianto. Le urine erano raccolte per le 24 ore successive al trapianto. DGF era definita dalla necessità di trattamento dialitico entro la prima settimana dal trapianto. RISULTATI: Sono stati valutati 20 pazienti. I pazienti che avevano una rapida ripresa funzionale del rene trapiantato (NO-DGF) erano 14 (70%). DGF era osservata in 6 pazienti. L’età media nei DGF era superiore (58±6 Vs 51±11, p=0.001). Nei pazienti DGF risultavano significativamente ridotta la diuresi (57±35 Vs 4150 ± 2230 ml/24h; p=0.001) e la escrezione urinaria di creatinina (191±184 Vs 683±660 mg/24h; p=0.001), misurate nel primo giorno successivo al trapianto. Non erano osservate significative differenze tra pazienti DGF e NO-DGF per la escrezione urinaria di lipocalina (1,20±2,20 Vs 2,44±4,0 mg/24h; p<0.20). In univariata, DGF risultava associata negativamente alla diuresi (r2=-0.795, p=0.001) ed alla escrezione urinaria di creatinina (r2=-0.480, p=0.037) e positivamente all’età (r2=0.446, p=0.049). In multivariata diuresi (p=0.014) ed escrezione urinaria di creatinina (p=0.039) erano associati a DFG. CONCLUSIONI: Lipocalina urinaria, misurata nel giorno successivo al trapianto renale, non è biomarcatore predittivo di DGF. I risultati del presente studio possono essere stati influenzati dal campione limitato di pazienti e dalla bassa incidenza di DGF

    Lavoro di cura e innovazione tecnoscientifica: il caso della medicina personalizzata

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    In contemporary biomedicine, care practices are increasingly interlaced with research and development activities, leading to the emergence of new biomedical domains, such as personalized medicine. Personalized medicine involves the shaping of unprecedented relationships between clinical practice and technoscientific innovation processes, which need to be explored in their social and technological dimensions. In this article, based on ethnographic research carried out within an institute of care and research in Northern Italy, it will be analysed the reconfiguration of medical practice and health professions due to the increasing adoption of organizational strategies in support of the circulation of knowledge, biological materials and technologies between scientific laboratories and care settings. From the analytical point of view, a special attention it will be paid to the organizational arrangements performed by physicians and scientist in order to support the dialogue between research laboratories and care contexts, in which personalised medicine is shaped

    Medicina personalizzata e fibrosi polmonare idiopatica

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    Idiopathic pulmonary fibrosis (IPF) is a specific form of chronic, progressive fibrosing interstitial pneumonia of unknown cause, occurring primarily in older adults, limited to the lungs, and associated with the histopathologic and/or radiologic pattern of usual interstitial pneumonia (UIP). IPF shows a high variability in the evolution from one patient to another, and between different periods in time in a given individual, showing great clinical heterogeneity. Therefore, predicting the outcome and the response to treatment in IPF is challenging, but potentially very useful, particularly in the single IPF patient. In the last decade, with the common use of proteomic and genomic technologies, our knowledge about the pathogenesis of the disease dramatically improved and it has led to the recognition of various treatment targets and numerous potential biomarkers. Molecular biomarkers are needed in IPF, where they can simplify drug development, facilitate early detection, increase prognostic accuracy and inform treatment recommendations. Although there are not yet validated biomarkers in IPF, some of them are in the proximity to be validated and have demonstrated their potential to improve clinical predictors beyond that of routine clinical practice

    Nuove prospettive nel monitoraggio biologico degli elementi metallici: l'esempio del cromo esavalente

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    L’industria galvanica è un settore importante su tutto il territorio nazionale, poiché i processi che la caratterizzano riguardano un gran numero di fabbricazioni industriali ed artigianali. Nella cromatura galvanica esiste un rischio chimico specifico dovuto all’esposizione a composti contenenti Cromo esavalente [Cr(VI)]. Il condensato dell’aria espirata (CAE) è stato usato per studiare l’esposizione acuta e a lungo termine a Cr(VI) in lavoratori addetti alla cromatura a spessore. Cr-CAE correla con specifici biomarcatori di stress ossidativo ed è possibile misurarne anche la frazione non ancora ridotta a Cr(III). Il CAE è quindi un fluido biologico promettente per il monitoraggio della dose assorbita a livello dell’organo bersaglio, della cinetica di riduzione polmonare di Cr(VI) e più in generale dei suoi effetti locali pneumotossici nelle lavorazioni galvaniche, con la possibilità di affiancare la sua raccolta e la sua analisi alle misure tradizionalmente fatte durante il monitoraggio biologico

    Ruolo di nuovi biomarcatori nella diagnosi e trattamento di sepsi e shock settico

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    La sepsi e lo shock settico hanno al giorno d’oggi un’incidenza crescente e sono una causa importante di morbilità e mortalità, sia nelle terapie intensive sia nei reparti di degenza ordinaria. Le cause di questo aumento dell’incidenza sono da ascrivere ad un invecchiamento della popolazione generale, un maggiore utilizzo di dispositivi invasivi soprattutto vascolari, la presenza di infezioni nosocomiali e la relativa antibioticoresistenza, terapie immunosoppressive prolungate, e – non da ultimo – una migliorata accortezza diagnostica dovuta ad una maggiore consapevolezza medica della problematica, sulla base di linee guida recentemente pubblicate. La sepsi se non trattata evolve naturalmente in shock settico, che è una condizione a rischio di vita con oltre il 40% di mortalità intraospedaliera. I pazienti che sopravvivono possono avere pesanti ricadute sul loro stato generale e sulla qualità di vita una volta dimessi dall’ospedale. Così come un precoce riconoscimento di un infarto miocardico acuto implica una maggiore quota di miocardio risparmiato, un precoce riconoscimento della sepsi significa maggiori probabilità di sopravvivenza e maggior numero di vite salvate. Per questo, è fondamentale iniziare precocemente la terapia, sia di supporto che antibiotica, la quale andrà successivamente variata in modo da risultare mirata al germe infettante e ridurre le probabilità di sviluppo di resistenza. In questo scenario è possibile inserire l’uso di biomarcatori di infezione e di disfunzione d’organo al fine di rendere la diagnosi specifica sempre più precoce e valutare la risposta alla terapia, possibilmente con sensibilità e specificità idonei a prendere fondatamente delle decisioni cliniche. Fra questi, la procalcitonina è un marcatore di infezione batterica ormai presente nella diagnostica routinaria di molte realtà come pronto soccorso, corsie e terapie intensive, usata come traccia diagnostica e di follow up della terapia. L’attività endotossinica (EAA), qualora positiva, rappresenta un biomarcatore affidabile di infezione da germi gram negativi i cui livelli, in base alla letteratura disponibile, correlano con la mortalità e con la necessità di terapie ulteriori. Il brain natriuretic peptide (BNP) rappresenta un biomarcatore di disfunzione cardiaca, anche questo utile per diagnosi e soprattutto per follow up di scompenso cardiaco, anche in questo caso correlato con la mortalità e la necessità di terapie ulteriori. Tuttavia, il loro ruolo predittivo preciso deve essere contestualizzato al tipo di paziente, alle altre variabili cliniche di uso routinario e soprattutto alla capacità di compenso del paziente. Pertanto è stato condotto uno studio clinico con l’obiettivo di correlare parametri ematici routinari (conta dei globuli bianchi, proteina C reattiva, conta piastrinica) con marcatori di infezione e di performance cardiaca (EAA e BNP), contestualizzare il valore di queste correlazioni nella gestione dei pazienti settici, e valutare la loro influenza sull’outcome. In questo studio osservazionale prospettico sono stati reclutati 15 pazienti critici con segni clinici di sepsi e almeno un dosaggio EAA entro 6 ore dal ricovero in terapia intensiva. Sono state determinate correlazioni tra età, sesso, tipo di infezione, livelli di biomarcatori (BNP, proteina C reattiva, procalcitonina, globuli bianchi e delle piastrine), così come livelli di EAA con misure di outcome (per esempio, la durata della degenza, la necessità di terapie sostitutive renali (CRRT), mortalità intra-ospedaliera e mortalità a 30 giorni). Nessuna differenza statisticamente significativa è stata rilevata tra il livello EAA e la mortalità a 30 giorni. La mortalità non è risultata significativamente più elevata per le donne (57%) rispetto agli uomini (50%), p = 1. L’età avanzata è risultata correlata ad una maggiore necessità di CRRT (p = 0,022). I pazienti con livelli di EAA inferiore a 0,6 hanno mostrato valori di BNP più bassi con una correlazione moderata (ρ = 0,39). Una correlazione significativa è stata rilevata tra i livelli di BNP e conta leucocitaria (p = 0,033), e tra mortalità intra-ospedaliera e conta piastrinica (p = 0,029). I pazienti che hanno ricevuto CRRT avevano livelli significativamente più elevati di BNP (p = 0,004). La conta leucocitaria ha correlato anche con la necessità di CRRT (p = 0,021). Anche se non significativo, è stato rilevato un trend di correlazione tra età e durata della degenza (ρ = 0,436), e tra età e conta leucocitaria (p = 0,054). In conclusione, si dimostra che il valore diagnostico e prognostico dei dati routinari di terapia intensiva correlati con nuovi biomarcatori, deve essere adattato per ogni paziente settico in base alle loro malattie di base, disabilità e riserva funzionale al fine di giustificare trattamenti intensivi e razionalizzare le risorse disponibili

    Biomarcatori di risposta in pazienti affetti da neoplasia del polmone metastatico in trattamento con immunoterapia

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    RAZIONALE Nonostante gli entusiasmanti risultati dell’impiego dell’immunoterapia nel trattamento delle neoplasie solide, solo il 30-40% dei pazienti presentato un beneficio a lungo termine mentre il restante 60-70% presenta progressione dopo i primi mesi di trattamento. La ricerca di biomarcatori in grado di selezionare i pazienti responsivi dai pazienti non responsivi rappresenta oggi la vera sfida dell’immuno-oncologia. In questo scenario si inserisce questo lavoro che ha l’obiettivo di investigare il ruolo prognostico/predittivo di alcuni biomarcatori. In particolare valuteremo il ruolo del pathway di IDO, il possibile ruolo del microbioma e il ruolo del fattore reumatoide. MATERIALI E METODI Sono stati arruolati pazienti affetti NSCLC in stadio IV seguiti presso Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma, Facoltà di Medicina e Psicologia Sapienza Università di Roma, da giugno 2016 a luglio 2017 Il trattamento con Nivolumab è stato somministrato a una dose standard di 3 mg / kg ogni 2 settimane fino a progressione di malattia o sviluppo di tossicità inaccettabile ANALISI CHINURENINE Abbiamo valutato i livelli sierici di trp, kyn e acido chinolinico con una cromatografia liquida modificata-metodo spettrometria di massa tandem (LC-MS / MS), ANALISI MICROBIOMA : Ogni campione di feci è stato raccolto e processato. Il DNA genomico è stato isolato dall'intero set di campioni, utilizzando il kit QIAamp DNA Stool Mini (Qiagen, Germania). La regione V1-V3 del locus RNA ribosomiale 16S (rRNA) è stata amplificata per la successiva fase di pirosequenziamento su un sequenziatore genoma 454-Junior (Roche 454 Life Sciences, Branford, USA). ANALISI DEL FATTORE REUMATOIDE In una coorte di pazienti, abbiamo determinato i livelli sierici di pre-trattamento di FR (kit ELISA in fase solida, valori superiori a 16 U / ml sono stati considerati positivi). RISULTATI ANALISI DELLE CHIMURENINE : La PFS era significativamente più lunga nei pazienti che presentavano valori inferiori di kyn / trp rispetto a pazienti con valori più elevati di kyn / trp (PFS mediana non raggiunta a 3 mesi; HR: 0,2; IC 95%: 0,06-0,62; p = 0,001). ANALISI MICROBIOMA : La meta-tassonomia del microbiota è stata descritta per i pazienti con NSCLC rispetto ai CTRL e ad ogni periodo di trattamento con Nivolumab. Nei pazienti affetti da NSCLC Rikenellaceae, Prevotella, Streptococco, Lactobacillus (p <0,05), Bacteroides plebeius, Oscillospira, Enterobacteriaceae (p <0,05) sono risultati aumentati rispetto ai CTRL. I non responder avevano Ruminococcus bromii, Dialister, Sutterella più abbondante dei pazienti responder alla terapia (p <0,05). Un po 'aumentato nei responder è apparso Akkermansia muciniphila, Bifidobacterium longum e Faecalibacterium prausnitzii (p <0,05). Propionibacterium acnes, Veillonella, Staphylococcus aureus, Peptostreptococcus apparivano significativamente sovraespressi, mentre il Clostridium perfringens era significativamente ridotto al C1 rispetto al punto temporale C3 del trattamento ANALISI DEL FATTORE REUMATOIDE : La progressione precoce della malattia è risultata significativamente più frequente nei pazienti con RF positiva (5/7, 71,4%) rispetto a quelli negativi (8/28, 28,6%, p <0,0001) CONCLUSIONE Il nostro studio suggerisce che i pazienti con elevato rapporto kyn/trp , un elevato livello plasmatico di FR sono caratterizzati da una prognosi estremamente infausta e da una resistenza primaria agli anti PD-1. Il nostro studio suggerisce inoltre che diversi profili di microbioma siano associati a rischio diverso di sviluppare cancro del polmone, ma anche come siano associati a differente risposta all’immunoterapia. I nostri dati si inseriscono nello scenario della medicina di precisione ed in particolare della immuno-oncologia di precisione in cui la ricerca del biomarcatore di risposta o resistenza è cruciale nel selezionare il paziente e ottimizzare le risorse ed i trattamenti disponibili

    Biomarcatori della reattività astrocitaria nelle patologie neurodegenerative

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    Gli astrociti sono cellule gliali del sistema nervoso centrale (SNC), che svolgono diverse funzioni relative al mantenimento dell’omeostasi cerebrale. Questa tesi prende in esame principalmente la reattività astrocitaria, una condizione in cui gli astrociti subiscono cambiamenti morfologici e funzionali a seguito di lesioni al SNC o patologie neurodegenerative. In questo elaborato, sono riportati studi recenti che hanno permesso di individuare alcune molecole, prodotte dagli astrociti in condizioni patologiche, utili come biomarcatori per la diagnosi ed il monitoraggio di patologie neurodegenerative. I primi biomarcatori proposti sono le proteine GFAP (Dall’inglese Glial Fibrillary Acidic Protein), S100B (S100 calcium-Binding protein B) e YKL-40, denominata anche CHI3-L1 (Chitinase-3-like protein 1). Negli studi riportati, questi marcatori sono stati misurati nel sangue e nel liquido cerebrospinale (LCS), di pazienti con patologie neurologiche mettendoli a confronto con i livelli di un gruppo di individui sani. Una seconda classe di biomarcatori proposta è rappresentata da un insieme di molecole, nello specifico i microRNA prodotti dagli astrociti reattivi e veicolati negli esosomi. Infine è stata presa in considerazione la monoamino ossidasi B (MAO-B), un enzima espresso dagli astrociti reattivi per cui sono presenti radiotraccianti PET (dall’inglese Positron emission tomography). Sono inoltre stati discussi i vantaggi e gli svantaggi dei marcatori proposti sottolineando le problematiche che la ricerca in questo campo sta affrontando e dipanando con approcci moderni

    Programmazione logica e biochimica: analisi di reflui

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    L'inquinamento ambientale e' una delle problematiche piu' importanti perche' la vita degli organismi e' in pericolo in presenza di un ambiente contaminato. Il monitoraggio biologico ha lo scopo di tenere sotto controllo il livello di inquinamento studiando le variazioni biologiche che avvengono negli organismi in relazione alla loro esposizioni a sostanze tossiche. Tramite il rilevamento dell'attivita' enzimatica nei reflui e' possibile valutare il livello tossicologico di un refluo per l'ambiente. L'utilizzo della programmazione logica ci ha permesso di descrivere il dominio dei reflui e, partendo dai dati di laboratorio, di indurre la loro composizione individuando le sostanze tossiche responsabili dell'impatto sull'attivita' enzimatica

    The relationship between gut microbiota and Graft versus Host Disease in the pediatric patient undergoing hematopoietic stem cell transplantation

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    L’impatto del microbiota intestinale(MI) sulla mortalità correlata al trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche(TCSE) è stato recentemente dimostrato. Questa osservazione corrobora l’idea di un ruolo significativo del MI nella ricostruzione immunologica successiva al TCSE e nella genesi della Graft-versus-Host-Disease acuta(GvHD). Abbiamo pertanto condotto il primo studio longitudinale sul ruolo del MI nella genesi di GvHD in pazienti pediatrici sottoposti a TCSE. Sono stati arruolati 10pazienti, di cui 5 con GvHD. Per ogni paziente sono stati raccolti campioni fecali seriati ogni 10-15 giorni fino a 100 giorni dopo il TCSE. Il profilo filogenetico del MI è stato caratterizzato mediante pyrosequencing 454 della regione ipervariabile V4 della subunità 16S dell’rRNA. Il profilo funzionale è stato valutato mediante l’analisi degli acidi-grassi-a-corta-catena utilizzando la gas cromatografia-spettroscopia di massa. Dopo il TCSE è stata osservata una profonda distruzione strutturale e funzionale del normale assetto mutualistico dell’ecosistema intestinale. La traiettoria di ricostruzione del MI dopo il TCSE è risultata essere significativamente differente tra i pazienti con e senza GvHD. In particolare, nei pazienti senza GvHD è stata evidenziata prima del TCSE una precisa signature del MI, caratterizzata da un’elevata concentrazione di Bacteroidetes e Parabacteoidetes(p<0.05, Fig. 1). Parallelamente nei pazienti senza GVHD è stato osservato un aumento significativo degli acidi-grassi-a-corta-catena e di propionato in particolare(p<0.05). Questa caratteristica signature si è proiettata dopo il TCSE, persistendo alla distruzione dell’ecosistema intestinale e dimostrando l’elevata adattabilità di questi germi. I nostri dati indicano che le dinamiche dell’ecosistema microbico intestinale possono essere un fattore in grado di influenzare l’insorgenza di GvHD. In particolare, la presenza di un profilo mutualistico pre-TCSE del MI, caratterizzato dalla presenza di germi produttori di acidi-grassi-a-corta-catena con riconosciute proprietà immunomodulatorie, sembra mitigare il rischio di sviluppare GVHD. Questi risultati aprono quindi nuove prospettive sulla possibilità di manipolare il MI pre-TCSE per modulare la ricostruzione del sistema immunitario.The impact of the gut microbiota(MI) on allogeneic hematopoietic stem cell transplantation(HSCT) has been recently demonstrated. This observation supported the idea of a significant role of MI in the immunological reconstruction after HSCT and in the genesis of acute Graft-versus-Host-Disease(GvHD). We therefore conducted the first longitudinal study on the role of MI in the onset of GvHD in pediatric patients undergoing HSCT. 10 patients were enrolled, including 5 with GvHD. For each patient were collected seriated fecal samples every 10-15 days up to 100 days after HSCT. The phylogenetic profile of MI was characterized by pyrosequencing 454 of the hypervariable V4 region of the 16S rRNA subunit. The functional profile was evaluated by analysis of fatty acid-fat-to-short-chain using the gas chromatography-mass spectroscopy. After HSCT a profound structural and functional destruction of the normal position mutualistic gut ecosystem was observed. The reconstruction of the trajectory of the MI after HSCT was significantly different between patients with and without GVHD. In particular, in patients without GVHD, a precise of the MI signature before the HSCT was highlighted, characterized by a high concentration of Bacteroidetes and Parabacteoidetes(p <0.05, Fig. 1). In parallel in patients without GVHD it was observed a significant increase of the fatty-acid-to-short-chain and in particular propionate(p <0.05). This characteristic signature was projected after HSCT, persisting to the intestinal ecosystem destruction and demonstrating the high adaptability of these germs. Our data indicate that the intestinal microbial ecosystem dynamics can be a factor influencing the onset of GvHD. In particular, the presence of a mutualistic profile pre-HSCT of the MI, characterized by the presence of germs producers of acid-fat-to-short-chain recognized with immunomodulatory, seems to mitigate the risk of developing GVHD. These results therefore open new perspectives on the possibility of manipulating the MI pre-HSCT to modulate the reconstruction of the immune system

    2-Hydroxyglutarate as a biomarker in glioma patients

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    Background: mutation of IDH1 gene is a prognostic factor and a diagnostic hallmark of gliomas. Mutant IDH1 enzyme can convert α-KG into 2-Hydroxyglutarate (2HG) and mutated gliomas have elevated amounts of intracellular 2HG. Since 2HG is a small molecule it seems possible that it could reach the systemic circulation and to be excreted by urine. And so, we analyzed 2HG concentration in plasma and urine in glioma patients to identify a surrogate biomarker of IDH1 gene mutation. Materials and Methods: All patients had a prior histological confirmation of glioma, a recent brain MRI (within 2 weeks) showing the neoplastic lesions. The exclusion criteria were any chemotherapy performed within 28 days prior, other neoplastic and metabolic diseases. Plasma and urine samples were taken from all patients and 2HG concentrations determined by liquid chromatography tandem mass spectrometry; exon 4 of IDH1 genes were analyzed by Sanger sequencing; differences in metabolite concentrations between mutant and wild-type IDH1 patients were examined with the Mann-Whitney U test for non-parametric data; Student’s t-test was used to compare parametric data. ROC curve was used to evaluate the cut off value of the 2HG biomarker. Results: 84 patients were enrolled: 38 with IDH1 mutated and 46 IDH1 wild-type. All the mutations were R132H. Among patients with mutant IDH1 we had 21 highgrade gliomas (HGG) and 17 low-grade gliomas (LGG); among patients with IDH wild-type we had 35 HGG and 11 LGG.. In all patients we analyzed the mean 2HG concentration in plasma (P_2HG), in urine (U_2HG) and the ratio between P_2HG and U_2HG (R_2HG). We found an important significant difference in R_2HG between glioma patients with and without IDH1 mutation (22.2 versus 15.6, respectively, p<0.0001). The optimal cut-off value of R_2HG to identify glioma patients with and without IDH mutation was 19 (sensitivity 63%, specificity 76%, accuracy 70%); in only PTS with HGG the optimal cut-off value was 20 (sensitivity 76%, specificity 89%, accuracy 84%, positive predictive value 80%, negative predictive value 86%). No associations between the grade or size of tumor and R_2HG were found. In 7 patients with highgrade gliomas we found a correlation between R_2HG value and response to treatment. Conclusions: analyzing R_2HG derived from individual plasma and urine 2HG levels is possible discriminate glioma patients with and without IDH mutation, in particular in high grade gliomas. Moreover, a larger samples need to be analyzed to investigate this method in patients follow-up for recurrence detection and to monitor treatment efficacy
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