3 research outputs found
Ragusan Nobility in Southern Italy (1681-1905): The Zamagna Barons in Prata di Principato Ultra
Dubrovački plemić Sebastijan (Sabo) Serafinov Zamagna (1615- 1690) otkupio je 1681. godine na aukciji barunat Prata (provincija Avellino u Campaniji) za 45.000 dukata. Posjed je uključivao i feude Castelmozzo i Bottacio. Do 1854. godine feud su posjedovali Sebastijanovi nasljednici iz roda Zamagna, a poslije smrti Frana Serafinovog Zamagne (1781-1854) naslijedio ga je Franov nećak Nikola Sebastijanov Gradi (1827-1885). Puna dva stoljeća dubrovački su plemići neoštećeni prolazili kroz najrazličitije nemirne političke i ekonomske prilike u Napuljskom Kraljevstvu i tek je ekonomska kriza potkraj 19. stoljeća odvela u propast golemi posjed starog feudalnog plemstva u južnoj Italiji. U radu se razlažu okolnosti u kojima je feud 1681. godine došao u ruke dubrovačkog plemića i prati povijest feuda do početka 20. stoljeća, kada je konačno otišao na bubanj. Analiziraju se i odnosi između Napuljskog Kraljevstva i Dubrovačke Republike jer baruni Zamagne ni u jednom trenutku nisu izgubili vezu s domovinom nego su do pada Dubrovačke Republike zastupali njezine interese u Napuljskom Kraljevstvu.At an auction in 1681, Ragusan nobleman Sebastian (Sabo) Zamagna (1615- 1690), son of Serafin, purchased Prata di Principato Ultra (province of Avellino in Campania region) for 45,000 ducats. The estate also included the feuds Castelmozzo and Bottacio. Until 1854 the feud was owned by Sebastian’s heirs of the Zamagna family, when by matrilineal descent it came into possession of Nikola Gradi (1827- 1885). For two hundred years the Ragusan nobles managed their way through the unsettled political and economic circumstances in the Kingdom of Naples, and it was not until the economic crisis at the end of the nineteenth century that the huge estate of the old feudal nobility in southern Italy met its ruin. The article traces the circumstances in which the estate came into the hands of the Ragusan nobleman in 1681 and the history of the estate to the dawn of the twentieth century when it was finally partitioned. Equal attention has been given to the relations between the Kingdom of Naples and the Republic of Dubrovnik, as the Zamagna barons never lost touch with their homeland whose interests they represented in the Kingdom of Naples until the Republic’s fall in 1808
Un contributo quasi inedito di Michele Amari. La matrice sigillare islamica di Lagopesole
This essay analyses the history of an islamic seal accidentally found nearby the medieval castle of Lagopesole (Basilicata, South of Italy). Starting from the informations contained in a newspaper article in 1889, this contribution aims to draw attention on a forgotten artefact which find could be a remarkable witness of social interactions in medieval southern Italy. Significant data for the research have been deduced from the correspondence between the archaeologist Domenico Ridola and the arabist Michele Amari at the end of the 19th century. The two exchanged views and interpretations about the seal but today they should be revised. In this outlook both the translation given by Amari and a picture of the seal were useful to understand some aspects of the artefact. The purpose of the present text is to define more clearly the features of the seal, his history and its archaeological context
La decorazione scultore del castello di Lagopesole
Il castello di Lagopesole rappresenta una delle ultime realizzazioni federiciane nel Mezzogiorno d’Italia. Oggetto di numerosi interventi critici relativi principalmente alle sue vicende costruttive, deve la sua fama anche al ricco apparato decorativo, noto per essere nel Regno tra le maggiori espressioni della cultura artistica duecentesca. Da un punto di vista quantitativo il corredo plastico del castello, consistente principalmente in mensole dal profilo rettangolare a sostegno di archi-diaframma, è notevole. Esso riflette l’ampia circolazione di modelli e/o di maestranze nel periodo svevo, variamente giudicata dagli storici dell’arte, che attribuiscono la base del rinnovamento artistico duecentesco in Italia meridionale all’inlfuenza del fresco naturalismo gotico di Parigi, passando per Sens finon a Reims e includendo le molteplici diramazioni tedesche da Gelnhausen a Bamberga e Naumburg. Si intrecciano a questa varietà di confronti le articolate e complesse relazioni con il mondo cistercense – uno dei capitoli fondamentali entro cui si è articolata la discussione relativa al Gotico italiano – individuate lungo precise direttrici tra Fossanova, Casamari e San Galgano. Infine il mondo antico, e tardoantico, che costituisce il sostrato linguistico di base per la cultura artistica federiciana, e che si alimentava della presenza in loco di manufatti spesso reimpiegati per volere dello stesso imperatore nelle residenze e nei castelli, come il frammento di sarcofago a lenós rinvenuto di recente nel cortile minore . Di tutte le opere scultoree è analizzata la storia critica, sono presi in considerazione i confronti ed i significati iconografici. Rispetto all’ampiezza dei confronti messi in campo permane nella scultura architettonica di Lagopesole, come in Castel del Monte o in Castel Maniace, un carattere di spiccata individualità spiegabile solo attraverso la coerente armonizzazione delle competenze dei singoli maestri all’interno dell’organizzazione del lavoro nei cantieri imperiali. L’analisi di queste problematiche costituisce la chiave di lettura nuova di questo contributo. La perizia e complessità delle elaborazioni stilistiche – capaci di dare forma a significati complessi – implicano il coinvolgimento attivo degli scultori come attori protagonisti delle imprese artistiche italomeridionali. Oltre alle singole personalità di magistri e protomagistri, sui quali si è da sempre focalizzato l’interesse degli storici dell’arte, è nella formula del cantiere che trova fondamento la capacità pervasiva di questo linguaggio, al punto che da più parti si considera l’elemento decorativo alla stregua di un signum imperi . La varietà del repertorio ornamentale, decodificato secondo modelli condivisi, lascia presupporre che questo comune linguaggio, trasmesso da magistri più aggiornati ad altri scalpellini, sia entrato nel ‘bagaglio professionale’ delle botteghe al soldo dell’imperatore. La scultura di Lagopesole non è spiegabile se non in questi termini. La ricchezza dei temi, esattamente come in un repertorio di modelli, costituisce un’esemplare sintesi del mondo federiciano e della sua ideologia. In modo corale e polifonico ne rappresenta il momento di massima maturità. Per tale motivo potrebbe essere stato lo stesso Manfredi – il cui ruolo nel completamento e nella ristrutturazione di alcuni impianti castellari del Regno è stato da più parti ipotizzato – a commissionare queste opere.
Tra le varie sculture analizzate sono anche prese in considerazione le due celebri mensole che ancheggiano l’ingresso del mastio, di cui si propone una nuova lettura iconografica e se ne identificano le radici culturali ed artistiche nei modelli di età classica presenti nel territorio, tra cui la frammentaria testa di cavallo già nel castello ma perduta ed il sarcofago di Rapolla, risalente al II secolo