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    Tracce archeologiche di un terremoto tardo-antico nella Piana del Fucino (Italia centrale)

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    Il tempo di ricorrenza definito dalle indagini paleosismologiche sulle faglie dell’Appennino abruzzese è nell’ordine dei 1500-2500 anni. Pertanto, in caso di terremoto storico, di elevata magnitudo, relativamente recente (es. il terremoto del 1703 nell’Aquilano o quello del 1915 nella Marsica), l’evento sismico precedente potrebbe essere stato causato dalla stessa sorgente sismogenetica in un’epoca per cui si ha carenza di informazione storica ma abbondanza di fonti archeologiche. Per questo motivo, accanto alle ricerche paleosismologiche, tradizionalmente indirizzate alla definizione del comportamento sismogenetico di una faglia, fin dalla metà degli anni 90 furono avviate ricerche archeosismologiche, mirate all’identificazione di tracce di terremoti distruttivi su emergenze archeologiche, prevalentemente di età classica (Galadini e Galli, 1996). Gli studi archeosismologici nella regione abruzzese hanno consentito di acquisire finora informazioni sugli effetti di tre terremoti distruttivi, noti ai cataloghi sismici (es. Boschi et al., 1995), di cui due (II sec. d.C. e 484-508 d.C.) con epicentro nella regione e un altro (346 d.C.) originato in area limitrofa (Galadini e Galli, 2001; 2004). Nel 2004, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha avviato una collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo su tematiche geoarcheologiche, sia in prospettiva paleoambientale che per una migliore comprensione degli effetti delle catastrofi naturali del passato su siti archeologici dell’area appenninica. In questo ambito, è stato possibile effettuare indagini in prospettiva archeosismologica durante le fasi di scavo in alcuni siti archeologici della Marsica e della Valle Subequana, come l’anfiteatro di San Benedetto dei Marsi, la villa produttiva di Avezzano-Macerine, il tempio di Castel di Ieri, il piazzale antistante il santuario di Ercole, gli edifici prospicienti la via del Miliario e l’area del Foro ad Alba Fucens. Nel caso dell’anfiteatro di San Benedetto dei Marsi, le evidenze della distruzione sismica vengono dal crollo sincrono delle grandi lastre di pietra che delimitavano il balteo, dalla rotazione di blocchi attorno all’asse verticale, dall’espulsione di angolata in uno degli ambienti prossimi all’ingresso nord della struttura, oltre che dai crolli di ampie parti dell’edificio. Nella villa produttiva di Avezzano, ai crolli di muri di costruzione tarda si accompagnano vistose tracce di combustione, su resti pressoché integri delle travature. Le unità di crollo furono rinvenute al di sopra del piano di calpestio che era ancora in uso al momento della distruzione. La subitaneità dell’evento è testimoniata dal reperimento di una notevole quantità di materiali nelle unità di crollo stesse, a testimonianza di un abbandono improvviso, senza asportazione degli oggetti di uso comune. Ad Alba Fucens, le evidenze della distruzione cosismica erano già note grazie alle pubblicazioni relative alle campagne di scavo soprattutto degli anni 50 e 60. Le fotografie di archivio mostrano i pilastri della cosiddetta Via dei Pilastri in posizione di crollo attraverso la strada, la statua dell’Ercole Epitrapezio in giacitura sul piano di calpestio del sacello, colonne in posizione di crollo con capitello ancora giustapposto

    A mesoscopic model for microscale hydrodynamics and interfacial phenomena: Slip, films, and contact angle hysteresis

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    We present a model based on the lattice Boltzmann equation that is suitable for the simulation of dynamic wetting. The model is capable of exhibiting fundamental interfacial phenomena such as weak adsorption of fluid on the solid substrate and the presence of a thin surface film within which a disjoining pressure acts. Dynamics in this surface film, tightly coupled with hydrodynamics in the fluid bulk, determine macroscopic properties of primary interest: the hydrodynamic slip; the equilibrium contact angle; and the static and dynamic hysteresis of the contact angles. The pseudo- potentials employed for fluid-solid interactions are composed of a repulsive core and an attractive tail that can be independently adjusted. This enables effective modification of the functional form of the disjoining pressure so that one can vary the static and dynamic hysteresis on surfaces that exhibit the same equilibrium contact angle. The modeled solid-fluid interface is diffuse, represented by a wall probability function which ultimately controls the momentum exchange between solid and fluid phases. This approach allows us to effectively vary the slip length for a given wettability (i.e. the static contact angle) of the solid substrate

    Evoluzione quaternaria del bacino di Leonessa (Rieti)

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    Il bacino di Leonessa è una delle maggiori depressioni tettoniche intermontane dell’Appennino Centrale. A differenza dalle altre depressioni, disposte in direzione appenninica con la faglia bordiera principale sul lato orientale, il bacino è orientato in senso WNW - ESE ed ha la faglia bordiera principale sul suo margine sud-occidentale. Il più antico deposito di origine continentale che riempie la depressione non è affiorante ed è stato rinvenuto solo in alcuni sondaggi. E’ costituito da alternanze di sabbie-argillose e ghiaie (attribuite da GE.MI.NA. ad un generico Pliocene). I sedimenti affioranti sono stati distinti in sintemi. Quello stratigraficamente più basso è il Sintema di Villa Pulcini, costituito da un alternanza di argille, argille torbose, marne e sabbie argillose di ambiente deposizionale da lacustre a piana a canali intrecciati (braided plain), attribuibili alla parte alta del Pleistocene inferiore. Il Sintema di Villa Pulcini è parzialmente coperto dal Sintema di Leonessa, costituito da depositi di conoide alluvionale (conoide della Vallonina) a ovest e da depositi lacustri a est, ambedue contenenti, nella parte alta, intercalazioni di vulcaniti risedimentate. Il ritrovamento di un molare di M. (M.) trogontherii all’interno di depositi alluvionali consente di riferire al Galeriano (U.F. Slivia - ? U.F. Fontana Ranuccio) la porzione basale del sistema. I due sintemi precedenti sono coperti a tratti da sabbie e sabbie argillose rossastre (Sintema di Terzone), con spessore che raramente supera i 5 metri, ricche di elementi vulcanici rimaneggiati. Nella parte più meridionale del bacino, all’interno della profonda incisione del Fosso Tascino, sono localmente presenti due ordini di terrazzi alluvionali. Attualmente il Fosso Tascino mostra un tipico esempio di letto a canali intrecciati (braided), con una piana che supera i 100 m di larghezza. Nella zona di raccordo tra il versante NE del Monte Tilia e i Sintemi di Leonessa e di Terzone, sono stati riconosciuti due ordini di conoidi alluvionali sovrapposti, costituiti in prevalenza da sedimenti ghiaiosi con una minore componente sabbiosa, poggianti in discordanza sui sedimenti più antichi. La definizione degli eventi erosivo-deposizionali che hanno contraddistinto l’evoluzione del paesaggio nel bacino di Leonessa costituisce un passo ulteriore verso un più preciso inquadramento temporale dell’attività tettonica distensiva, del sollevamento regionale e dei cambiamenti climatici che hanno portato all’attuale assetto geomorfologico dell’Appennino Centrale

    Geomorphic signatures of recent normal fault activity versus geological evidence of inactivity: case studies from the central Apennines (Italy)

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    We have here analysed two normal faults of the central Apennines, one that affects the south-western slopes of theMontagna dei Fiori–Montagna di Campli relief, and the other that is located along the south-western border of the Leonessa intermontane depression. Through this analysis, we aim to better understand the reliability of geomorphic features, such as the fresh exposure of fault planes along bedrock scarps as certain evidence of active faulting in the Apennines, and to define the Quaternary kinematic history of these tectonic structures. The experience gathered from these two case studies suggests that the so-called ‘geomorphic signature’ of recent fault activity must be supported by wider geomorphologic and geologic investigations, such as the identification of displaced deposits and landforms not older than the Late Pleistocene, and/or an accurate definition of the slope instabilities. Our observations indicate that the fault planes studied are exposed exclusively because of the occurrence of non-tectonic processes, i.e. differential erosion and gravitational phenomena that have affected the portions of the slopes that are located in the hanging wall sectors. The geological evidence we have collected indicates that the Montagna dei Fiori–Montagna di Campli fault was probably not active during the whole of theuaternary, while the tectonic activity of the Leonessa fault ceased (or strongly reduced) at least during the Late Pleistocene, and probably since the Middle Pleistocene. The present lack of activity of these tectonic structures suggests that the fault activation for high magnitude earthquakes that produce surface faulting is improbable (i.e.Mw5.5–6.0, with reference to the Apennines, according toMichetti et al. [Michetti, A.M., Brunamonte, F., Serva, L.,Vittori, E. (1996), Trench investigations of the 1915 Fucino earthquake fault scarps (Abruzzo, Central Italy):geological evidence of large historical events, J. Geoph. Res.,101, 5921–5936; Michetti, A.M., Ferreli, L., Esposito, E.,Porfido, S., Blumetti, A.M., Vittori, E., Serva, L., Roberts, G.P. (2000)]). If, according to the current view, the shifting of the intra-Apennine extension towards the Adriatic sectors is still active, the Montagna dei Fiori–Montagna di Campli fault might be involved in active extensional deformation in the future

    Use of biochar-based cathodes and increase in the electron flow by pseudomonas aeruginosa to improve waste treatment in microbial fuel cells

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    In this paper, we tested the combined use of a biochar-based material at the cathode and of Pseudomonas aeruginosa strain in a single chamber, air cathode microbial fuel cells (MFCs) fed with a mix of shredded vegetable and phosphate buffer solution (PBS) in a 30% solid/liquid ratio. As a control system, we set up and tested MFCs provided with a composite cathode made up of a nickel mesh current collector, activated carbon and a single porous poly tetra fluoro ethylene (PTFE) diffusion layer. At the end of the experiments, we compared the performance of the two systems, in the presence and absence of P. aeruginosa, in terms of electric outputs. We also explored the potential reutilization of cathodes. Unlike composite material, biochar showed a life span of up to 3 cycles of 15 days each, with a pH of the feedstock kept in a range of neutrality. In order to relate the electric performance to the amount of solid substrates used as source of carbon and energy, besides of cathode surface, we referred power density (PD) and current density (CD) to kg of biomass used. The maximum outputs obtained when using the sole microflora were, on average, respectively 0.19 Wm(-2)kg(-1) and 2.67 Wm(-2)kg(-1), with peaks of 0.32 Wm(-2)kg(-1) and 4.87 Wm(-2)kg(-1) of cathode surface and mass of treated biomass in MFCs with biochar and PTFE cathodes respectively. As to current outputs, the maximum values were 7.5 Am-2 kg(-1) and 35.6 Am(-2)kg(-1) in MFCs with biochar-based material and a composite cathode. If compared to the utilization of the sole acidogenic/acetogenic microflora in vegetable residues, we observed an increment of the power outputs of about 16.5 folds in both systems when we added P. aeruginosa to the shredded vegetables. Even though the MFCs with PTFE-cathode achieved the highest performance in terms of PD and CD, they underwent a fouling episode after about 10 days of operation, with a dramatic decrease in pH and both PD and CD. Our results confirm the potentialities of the utilization of biochar-based materials in waste treatment and bioenergy production

    Analisi dell’attività quaternaria delle faglie normali della Montagna dei Fiori e del bacino di Leonessa

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    La definizione dell’attività di strutture tettoniche è un pre-requisito fondamentale per la comprensione delle caratteristiche sismotettoniche di un settore del territorio italiano che, come l’Appennino centrale, è stato interessato in tempi storici da eventi sismici di elevata magnitudo. Dunque, l’individuazione e la caratterizzazione dell’attività tardopleistocenica-olocenica di faglie potenzialmente responsabili di forti terremoti è di cruciale importanza in un’ottica di valutazione della pericolosità sismica. Nel presente lavoro vengono analizzate due faglie normali che interessano l’Appennino centrale, la faglia normale che delimita ad ovest la Montagna dei Fiori, uno dei rilievi più esterni della catena, e quella che borda a sud-ovest il bacino di Leonessa, con l’obiettivo di dare un contributo per una migliore definizione delle caratteristiche sismotettoniche di questo settore del territorio nazionale. La faglia normale della Montagna dei Fiori è una struttura lunga almeno 15 km la cui attività è stata responsabile della dislocazione di circa 900 m del substrato carbonatico. Il piano di faglia e la scarpata ad esso associata sono visibili in modo discontinuo lungo il versante. I rilevamenti geologici e geomorfologici effettuati chiariscono come l’esposizione del piano di faglia sia esclusivamente legata a fenomeni gravitativi, anche di grandi dimensioni, che interessano le formazioni calcareo-marnose (Scaglia Cinerea, Marne con Bisciaro, Marne con Cerrogna) affioranti al tetto della struttura, e a fenomeni di erosione selettiva fra le formazione della successione umbro-marchigiana affioranti al letto ed al tetto. La faglia, inoltre, è sigillata da una paleosuperficie di origine erosiva sospesa varie centinaia di metri al di sopra del fondovalle attuale del fiume Salinello (in località Colle Osso Caprino) e da brecce di versante (in località Pozzoranno) associabili a quelle riconosciute in modo ubiquitario in Appennino entrale ed attribuite al Pleistocene inferiore. Come per il caso della Montagna dei Fiori, il piano della faglia bordiera del bacino di Leonessa è visibile in modo discontinuo lungo i versanti che delimitano il settore meridionale della depressione. I nostri rilevamenti di terreno ci consentono di attribuire l’esposizione del piano i) a fenomeni gravitativi che interessano la fascia detritica depostasi alla base della scarpata di faglia e ii) a fenomeni di erosione selettiva fra i detriti ed il substrato carbonatico affiorante al letto della struttura tettonica, ad opera di corsi d’acqua perpendicolari al versante. Depositi di conoide alluvionale (“conoide alluvionale di Leonessa”) attribuiti da alcuni autori ad un contesto cronologico compreso fra la fine del Pleistocene inferiore ed il Pleistocene medio e che determinano una superficie terrazzata chiaramente visibile in tutto il bacino, non sembrano essere stati interessati (né dislocati né basculati) dall’attività di tale faglia. Inoltre, ulteriori due ordini di conoide alluvionale depostisi al di sopra di quello sopra citato ed attribuibili tentativamente al Pleistocene superiore, sigillano chiaramente la struttura tettonica. Dunque, dalle nostre osservazioni si evince che, per quello che riguarda la faglia normale della Montagna dei Fiori, tale struttura tettonica non risulta essere attiva almeno a partire dal Pleistocene inferiore e che l’esposizione del piano di faglia è esclusivamente legata a fenomeni gravitativi e di morfoselezione. Ciò corroborerebbe quanto proposto da altri autori che attribuiscono a questa struttura tettonica esclusivamente un’attività pre- e sin- fase tettonica compressiva. Per quello che riguarda il bacino di Leonessa, è possibile ipotizzare che la faglia bordiera sia stata attiva fino al Pleistocene inferiore, creando lo spazio per l’accumulo dei depositi del conoide alluvionale di Leonessa. L’attività sarebbe poi terminata, o quantomeno si sarebbe ridotta ad un tasso decisamente inferiore a quello degli agenti morfodinamici, a partire dal Pleistocene medio

    Site effects “on the rock”: the case of Castelvecchio Subequo (L’Aquila, central Italy)

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    The April 6, 2009 L’Aquila earthquake was responsible for an “anomalous”, relatively high degree of damage (i.e. Is 7 MCS scale) at Castelvecchio Subequo (CS). Indeed, the village is located at source-to-site distance of about 40 km, and it is surrounded by other inhabited centres to which considerably lower intensities, i.e. Is 5-6, have been attributed. Moreover, the damage was irregularly distributed within CS, being mainly concentrated in the uppermost portion of the old village. Geophysical investigations (ambient seismic noise and weak ground motions analyses) revealed that site effects occurred at CS. Amplifications of the ground motion, mainly striking NE-SW, have been detected at the uppermost portion of the carbonate ridge on which the village is built. Geological/structural and geomechanical field surveys defined that the CS ridge is affected by sets of fractures, joints and shear planes – mainly roughly NW-SE and N-S trending – that are related to the deformation zone of the Subequana valley fault system and to transfer faults linking northward the mentioned tectonic feature with the Middle Aterno Valley fault system. In particular, our investigations highlight that seismic amplifications occur where joints set NW-SE trending are open. On the other hand, no amplification is seen in portions of the ridge where the bedrock is densely fractured but no open joints occur. The fracture opening seems related to the toppling tendency of the bedrock slabs, owing to the local geomorphic setting. These investigations suggest that the detected amplification of the ground motion is probably related to the polarization of the seismic waves along the Castelvecchio Subequo ridge, with the consequent oscillation of the rock slabs perpendicularly to the fractures azimuth

    Cavitation inception of a van der Waals fluid at a sack-wall obstacle

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    Cavitation in a liquid moving past a constraint is numerically investigated by means of a free-energy lattice Boltzmann simulation based on the van der Waals equation of state. The fluid is streamed past an obstacle and, depending on the pressure drop between inlet and outlet, vapor formation underneath the corner of the sack-wall is observed. The circumstances of cavitation formation are investigated and it is found that the local bulk pressure and mean stress are insufficient to explain the phenomenon. Results obtained in this study strongly suggest that the viscous stress, interfacial contributions to the local pressure, and the Laplace pressure are relevant to the opening of a vapor cavity. This can be described by a generalization of Joseph's criterion that includes these contributions. A macroscopic investigation measuring mass flow rate behavior and discharge coefficient was also performed. As theoretically predicted, mass flow rate increases linearly with the square root of the pressure drop. However, when cavitation occurs, the mass flow growth rate is reduced and eventually it collapses into a choked flow state. In the cavitating regime, as theoretically predicted and experimentally verified, the discharge coefficient grows with the Nurick cavitation number
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