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    "Indagine epidemiologica e farmaco resistenza di lieviti isolati in diversi reparti dell' Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana".

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    Negli ultimi due decenni, è stato osservato un incremento delle infezioni sostenute da miceti, anche in relazione al crescente numero di pazienti immunocompromessi, quali soggetti affetti da Sindrome da Immuno deficienza acquisita (AIDS) o sottoposti a terapie immunosoppressive. La necessità di pervenire a diagnosi rapide e terapie appropriate ha dato un grande impulso al potenziamento di nuove tecniche diagnostiche, per l’identificazione dei miceti e l’analisi della suscettibilità ai farmaci. Nonostante ciò, lacunose sono le informazioni circa l’epidemiologia delle infezioni fungine nel nostro paese e la frequenza di ceppi resistenti ai più comuni farmaci antimicotici. Lo studio svolto nella presente tesi si inserisce in un più ampio studio che mira alla definizione della epidemiologia delle infezioni fungine in ambito nosocomiale. In particolare sono stati isolati e successivamente identificati ceppi di lievito da campioni biologici vari di pazienti ricoverati in alcuni reparti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, quali il centro ustioni, i reparti di medicina generale, l’ambulatorio del piede diabetico e la pneumologia endoscopica ambulatoriale. Le specie di lieviti identificate appartenevano, quasi tutte, al genere Candida, con percentuali di isolamento diverse a seconda del reparto preso in esame e del distretto anatomico di prelievo. Mentre, ad esempio, C. albicans è risultata la specie di prevalente isolamento tra i soggetti ustionati e i pazienti ricoverati in medicina generale, C. parapsilosis è stato il lievito maggiormente rappresentativo tra soggetti affetti da diabete 1 o 2. Di ogni ceppo di lievito identificato è stata valutata la suscettibilità ai più comuni farmaci antimicotici, utilizzando il sistema di microdiluizione in brodo, Sensititre® Yeast One 9 e il metodo in agar diffusione, E-Test. A parte C. albicans, specie risultata suscettibile a quasi tutti i farmaci testati, C. glabrata e C. krusei invece sono risultate poco suscettibili agli azoli e in particolare modo quest’ultima specie ha mostrato una totale resistenza all’itraconazolo e al fluconazolo, in accordo con quanto riportato in letteratura. C. krusei e C. tropicalis hanno mostrato ridotta suscettibilità nei confronti di 5-fluorocitosina. Le echinocandine sono, invece, risultate attive nei confronti delle varie specie di Candida, ad eccezione di C. parapsilosis e C. guilliermondii, che hanno riportato valori di sensibilità minore. Inoltre, per meglio comprendere l’epidemiologia delle specie di Candida orthopsilosis e Candida metapsilosis, ancora indistinguibili fenotipicamente dalla specie C. parapsilosis, è stata condotta una indagine retrospettiva basata su metodi molecolari. In particolare, l’analisi di restrizione del frammento SADH (alcool deidrogenasi secondaria) ha confermato l’identificazione condotta con metodi biochimici per tutti i 23 ceppi di C. parapsilosis testati

    Valutazione del danno cromosomico nei linfociti di giovani donne con un figlio Down e dell'eventuale influenza di polimorfismi nei geni coinvolti nel metabolismo dell'acido folico.

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    La sindrome di Down (DS) è la più frequente aneuploidia autosomica dovuta alla presenza e all’espressione di 3 copie dei geni localizzati sul cromosoma 21 (trisomia 21). Esiste una minoranza di casi (il 5%) in cui la sindrome può derivare da una traslocazione, detta Robertsoniana, in cui l’extracromosoma è fuso con un cromosoma acrocentrico, in particolare il cromosoma 14 o il 15. Infine, circa nel 3% dei casi, la sindrome è associata ad un mosaicismo genetico, in cui linee cellulari euploidi e trisomiche coesistono nello stesso organismo. L’età materna rappresenta il principale determinante sull’incidenza della malattia, infatti si stima che la sua frequenza alla nascita aumenti in maniera significativa dopo i 35 anni. Tuttavia bambini con DS nascono anche da donne con età inferiore ai 35 anni; l’ipotesi è che queste giovani madri abbiano una maggiore suscettibilità ad eventi di malsegregazione cromosomica, causa principale della trisomia 21. Diversi studi hanno sottolineato una correlazione tra il rischio di avere un figlio Down in giovane età (inferiore ai 35 anni) e il metabolismo dell’acido folico, infatti alterazioni di quest’ultimo possono portare a ipometilazione del DNA che è associata ad anomalie nella segregazione cromosomica ed aneuploidie. Inoltre, la mancanza di folati nella dieta, presenti in maggiore quantità nelle foglie verdi, può essere un fattore di rischio per la trisomia 21. Evidenze di letteratura suggeriscono che la mutazione C677T nel gene MTHFR, enzima chiave nelle regolazione delle reazioni di metilazione cellulare, porta ad una sostituzione di alanina con valina nella proteina MTHFR, la cui attività risulta ridotta. Rispetto al normale genotipo CC, l’attività della proteina risulta diminuita del 35% nel genotipo CT e del 70% nel genotipo TT. Inoltre elevati livelli di omocisteina nel sangue sono stati associati all’allele T. La mutazione che causa la transizione da A a C nella posizione 1298 del gene MTHFR determina la sostituzione del glutamato con l’alanina. L’attività dell’enzima risulta più bassa (approssimativamente 2/3 del normale) in individui portatori del genotipo doppio eterozigote 677CT/1298AC. Il carrier dell’acido folico coinvolto nel trasporto del 5-metiltetraidrofolato (5-MeTHF) dal sangue alle cellule è codificato dal gene RFC-1 che mappa sul cromosoma 21. Mutazioni nel carrier dell’acido folico (polimorfismo G80A) portano ad un ridotto trasporto del 5-MeTHF all’interno della cellula, di conseguenza viene convertita poca omocisteina in metionina, coinvolta nella metilazione del DNA. Da studi recenti è emerso infatti che il polimorfismo G80A solo o in combinazione con il polimorfismo MTHFR C677T è associato a elevati livelli di omocisteina nel sangue. Alla luce di quanto detto, è stata proposta una correlazione tra eventi di instabilità cromosomica e non disgiunzione, legati ai polimorfismi nei geni sopra citati (MTHFR C677T e A1298C, RFC-1 G80A) e la sindrome di Down. Obbiettivo di questa tesi è valutare le caratteristiche citogenetiche in linfociti di sangue periferico di un gruppo (n=28) di donne giovani (età minore di 35 anni) con figlio Down e di un relativo gruppo di controllo (n=35) con figli sani, e metterle in relazione con i polimorfismi studiati. Il sistema sperimentale che permette di evidenziare e quantificare il danno cromosomico in nuclei interfasici è il test del micronucleo (MN) che fornisce un indice prontamente misurabile di perdita e rottura cromosomica. I risultati da noi ottenuti hanno evidenziato un aumento significativo (p<0,0001) della frequenza di linfociti binucleati con micronucleo nel gruppo delle madri con figlio DS rispetto ai controlli (17,85±8,99‰ vs 10,28±4,53‰). Per quanto riguarda l’influenza dell’età sulla frequenza dei MN nella popolazione generale, è risultata una correlazione positiva, per cui maggiore è l’età dei soggetti presi in esame, maggiore la percentuale dei MN: applicando l' analisi di regressione semplice, la correlazione risulta statisticamente significativa (p=0,0194). I polimorfismi dei geni implicati nel metabolismo dell’acido folico non hanno dato risultati apprezzabili e statisticamente significativi, visto l'esiguità della popolazione oggetto di studio, ad eccezione del MTHFR C677T. Quest’ultimo mostra un’influenza al limite della significatività(p=0,0545), sulla frequenza di MN nella popolazione generale

    Shock Waves in the Treatment of Post-Traumatic Myositis Ossificans

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    Myositis ossificans (MO) is a fairly common evolution in sports activity and can be due to direct trauma or to repeated micro-injuries. The traditional therapeutic approach relies on a variety of treatments, such as physical therapy but evidence of their proven clinical efficacy is lacking. The latest therapeutic option is surgical removal but this is a demolitive procedure and is frequently associated with a significant loss of functional integrity. There are few articles in literature about the treatment of post-traumatic MO, and none on extracorporeal shock wave therapy (ESWT). We illustrate a case series of 24 sportsmen treated with three sessions of electro-hydraulic shockwave therapy and an associated rehabilitation program. Only a partial reduction of the ossification was observed in the X-ray images but all the patients showed signs of functional improvement immediately after therapy. Two months after the therapy, a normal range of motion and no signs of weakness were observed. Three months after treatment, 87.5% of patients resumed regular sports activities

    Effects of Focused Vibrations on Human Satellite Cells

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    : Skeletal muscle consists of long plurinucleate and contractile structures, able to regenerate and repair tissue damage by their resident stem cells: satellite cells (SCs). Reduced skeletal muscle regeneration and progressive atrophy are typical features of sarcopenia, which has important health care implications for humans. Sarcopenia treatment is usually based on physical exercise and nutritional plans, possibly associated with rehabilitation programs, such as vibratory stimulation. Vibrations stimulate muscles and can increase postural stability, balance, and walking in aged and sarcopenic patients. However, the possible direct effect of vibration on SCs is still unclear. Here, we show the effects of focused vibrations administered at increasing time intervals on SCs, isolated from young and aged subjects and cultured in vitro. After stimulations, we found in both young and aged subjects a reduced percentage of apoptotic cells, increased cell size and percentage of aligned cells, mitotic events, and activated cells. We also found an increased number of cells only in young samples. Our results highlight for the first time the presence of direct effects of mechanical vibrations on human SCs. These effects seem to be age-dependent, consisting of a proliferative response of cells derived from young subjects vs. a differentiative response of cells from aged subjects

    Laboratory predictors of death from coronavirus disease 2019 (COVID-19) in the area of Valcamonica, Italy

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    Background Comprehensive information has been published on laboratory tests which may predict worse outcome in Asian populations with coronavirus disease 2019 (COVID-19). The aim of this study is to describe laboratory findings in a group of Italian COVID-19 patients in the area of Valcamonica, and correlate abnormalities with disease severity. Methods The final study population consisted of 144 patients diagnosed with COVID-19 (70 who died during hospital stay and 74 who survived and could be discharged) between March 1 and 30, 2020, in Valcamonica Hospital. Demographical, clinical and laboratory data were collected upon hospital admission and were then correlated with outcome (i.e. in-hospital death vs. discharge). Results Compared to patients who could be finally discharged, those who died during hospital stay displayed significantly higher values of serum glucose, aspartate aminotransferase (AST), creatine kinase (CK), lactate dehydrogenase (LDH), urea, creatinine, high-sensitivity cardiac troponin I (hscTnI), prothrombin time/international normalized ratio (PT/INR), activated partial thromboplastin time (APTT), D-dimer, C reactive protein (CRP), ferritin and leukocytes (especially neutrophils), whilst values of albumin, hemoglobin and lymphocytes were significantly decreased. In multiple regression analysis, LDH, CRP, neutrophils, lymphocytes, albumin, APTT and age remained significant predictors of in-hospital death. A regression model incorporating these variables explained 80% of overall variance of in-hospital death. Conclusions The most important laboratory abnormalities described here in a subset of European COVID-19 patients residing in Valcamonica are highly predictive of in-hospital death and may be useful for guiding risk assessment and clinical decision-making

    Increased Occurrence of Cutaneous Leiomyomas and Dermatofibromas in Patients with Uterine Leiomyomas without Fumarate Hydratase Gene Mutations

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    Leiomyomas are smooth muscle-derived benign neoplasms that can affect all organs, most frequently in the uterus. Fumarate hydratase gene (FH) mutation is characterised by an autosomal dominant disease with increased occurrence of renal tumours, but also by cutaneous (CLs) and uterine leiomyomas (ULs). So far, an increased occurrence of skin tumours in non-mutated patients with ULs has not been verified. To this aim, a case-group of women who were FH non-mutated patients surgically treated for ULs (n = 34) was compared with a control-group (n = 37) of consecutive age-matched healthy women. The occurrence of skin neoplasms, including CLs and dermatofibromas (DFs), was evaluated. Moreover, the microscopic features of FH non-mutated skin tumours were compared with those of an age-matched population group (n = 70) who presented, in their clinical history, only one type of skin tumour and no ULs. Immunohistochemical and in vitro studies analysed TGFβ and vitamin D receptor expression. FH non-mutated patients with ULs displayed a higher occurrence of CLs and DFs (p p p < 0.01), but a similar distribution of TGFβ-receptors and SMAD3. In vitro studies documented that TGFβ-1 treatment and vitamin D3 have opposite effects on α-SMA, TGFβR2 and VDR expression on dermal fibroblast and leiomyoma cell cultures. This unreported increased occurrence of CLs and DFs in FH non-mutated patients with symptomatic ULs with vitamin D deficiency suggests a potential pathogenetic role of vitamin D bioavailability also for CLs and DFs
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