43 research outputs found

    Tertiary cytoreductive surgery in recurrent epithelial ovarian cancer: A multicentre MITO retrospective study

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    To evaluate the impact of tertiary cytoreductive surgery (TCS) on survival in recurrent epithelial ovarian cancer (EOC), and to determine predictors of complete cytoreduction. METHODS: A multi-institutional retrospective study was conducted within the MITO Group on a 5-year observation period. RESULTS: A total of 103 EOC patients with a ≥6month treatment-free interval (TFI) undergoing TCS were included. Complete cytoreduction was achieved in 71 patients (68.9%), with severe post-operative complications in 9.7%, and no cases of mortality within 60days from surgery. Multivariate analysis identified the complete tertiary cytoreduction as the most potent predictor of survival followed by FIGO stage I-II at initial diagnosis, exclusive retroperitoneal recurrence, and TCS performed ≥3years after primary diagnosis. Patients with complete tertiary cytoreduction had a significantly longer overall survival (median OS: 43months, 95% CI 31-58) compared to those with residual tumor (median OS: 33months, 95% CI 28-46; p<0.001). After multivariate adjustment the presence of a single lesion and good (ECOG 0) performance status were the only significant predictors of complete surgical cytoreduction. CONCLUSIONS: This is the only large multicentre study published so far on TCS in EOC with ≥6month TFI. The achievement of postoperative no residual disease is confirmed as the primary objective also in a TCS setting, with significant survival benefit and acceptable morbidity. Accurate patient selection is of utmost importance to have the best chance of complete cytoreduction

    Paclitaxel and concomitant radiotherapy in high-risk endometrial cancer patients: preliminary findings

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    BACKGROUND: There is still much debate about the best adjuvant therapy after surgery for endometrial cancer (EC) and there are no current guidelines. Radiotherapy (RT) alone does not seem to improve overall survival. We investigated whether concomitant Paclitaxel (P) and RT gave better clinical results. METHODS: Twenty-three patients with high-risk EC (stage IIB, IIIA, IIIC or IC G3 without lymphadenectomy or with aneuploid tumor) underwent primary surgery and were then referred for adjuvant therapy. P was given at a dose of 60 mg/m2 once weekly for five weeks during RT, which consisted of a total radiation dose of 50.4 Gy. Three further weekly cycles of P at a dose of 80 mg/m2 were given at the end of RT. Overall survival and disease-free survival were calculated from the time of surgery. Patterns of failure were recorded by the sites of failure. RESULTS: A total of 157 cycles of P were administered both during radiotherapy and consolidation chemotherapy. Relapses occurred in five patients (21.7%). Median time to recurrence was 18.6 months (range 3–28). Survival rate for all the patients was 78.2%. Overall survival for the patients who completed chemo-radiation was of 81%. In this group median time to recurrence was 19.2 months (range 3–28). All recurrences were outside the radiation field. Mortality rate was 14.2%. CONCLUSION: This small series demonstrates pelvic radiotherapy in combination with weakly P followed by three consolidation chemotherapy cycles as an effective combined approach in high risk endometrial carcinoma patients

    On the need for rigorous welfare and methodological reporting for the live capture of large carnivores: A response to de Araujo et al. (2021)

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    1.De Araujo et al. (Methods in Ecology and Evolution, 2021, https://doi.org/10.1111/2041-210X.13516) described the development and application of a wire foot snare trap for the capture of jaguars Panthera onca and cougars Puma concolor. Snares are a commonly used and effective means of studying large carnivores. However, the article presented insufficient information to replicate the work and inadequate consideration and description of animal welfare considerations, thereby risking the perpetuation of poor standards of reporting. 2.Appropriate animal welfare assessments are essential in studies that collect data from animals, especially those that use invasive techniques, and are key in assisting researchers to choose the most appropriate capture method. It is critical that authors detail all possible associated harms and benefits to support thorough review, including equipment composition, intervention processes, general body assessments, injuries (i.e. cause, type, severity) and post-release behaviour. We offer a detailed discussion of these shortcomings. 3.We also discuss broader but highly relevant issues, including the capture of non-target animals and the omission of key methodological details. The level of detail provided by authors should allow the method to be properly assessed and replicated, including those that improve trap selectivity and minimize or eliminate the capture of non-target animals. 4.Finally, we discuss the central role that journals must play in ensuring that published research conforms to ethical, animal welfare and reporting standards. Scientific studies are subject to ever-increasing scrutiny by peers and the public, making it more important than ever that standards are upheld and reviewed. 5. We conclude that the proposal of a new or refined method must be supported by substantial contextual discussion, a robust rationale and analyses and comprehensive documentation

    Ritorno a Casa. Le politiche abitative nel territorio lombardo tra analisi e prospettive di ridisegno

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    Il testo si propone di registrare lo stato di fatto delle politiche abitative nel paese ed in Lombardia in particolare in un momento di transizione particolarmente delicato. Il passaggio delle competenze dallo Stato alle Regioni, l’interruzione del canale tradizionale di finanziamento dedicato all’edilizia popolare (i fondo Gescal), la ricerca di nuove modalità di intervento pubblico nel mercato della casa, una situazione complessiva di rallentamento dello sviluppo del paese che produce, sulle famiglie, una progressiva riduzione della capacità di spesa ed un incremento dell’indebitamento. Accanto ad una raccolta e ad una sistematizzazione dei dati relativi alla domanda abitativa e dell’offerta, emerge una particolare debolezza sul fronte della ‘gestione delle politiche’. Il mancato investimento sul comparto dell’affitto, inteso come possibile servizio alle comunità locali e quindi come parte della ‘infrastruttura territoriale’, ha prodotto nel tempo un vuoto sul versante dell’intermediazione, della gestione immobiliare (per anni condotta in un sistema di quasi-monopolio) e più in generale sull’articolazione dei ‘servizi abitativi’ (dare una casa in molti casi non basta). Ci troviamo davanti un sistema fortemente polarizzato: da un lato l’offerta pubblica, in affitto, a canoni molto bassi che si presenta satura (le domande superano di gran lunga le disponibilità) e molto rigida (la casa popolare viene vissuta dalle famiglie assegnatarie come una casa in proprietà che nessuno abbandona) e che, in prospettiva, andrà a concentrare le situazioni socio-economiche più complicate; dall’altro l’offerta di mercato, prevalentemente rivolta alla proprietà, sempre più fuori-misura ed economicamente inaccessibile. Il libro si chiede come poter superare questa rigidità e la risposta, una tra le diverse possibili, si sofferma sulla prospettiva di ‘costruire’ un comparto di offerta terza: in locazione ad un canone (mediamente) sostenibile. E’ attorno a questo obiettivo che gli operatori, pubblici e privati, sono chiamati a definire gli strumenti, ad identificare le risorse, a disegnare procedure e meccanismi di incentivo e di agevolazione che possano permettere di aprire uno spazio di intervento nuovo e diverso nel complicato settore di policy. Il libro propone, all’interno do una rassegna di casi, alcuni possibili traiettorie operative chiudendosi con alcuni interrogativi che intercettano in particolare i players che si muovono e operano nel contesto della città di Milano e del territorio metropolitano

    Milano. Un’altra città

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    Il contributo si colloca all’interno di una più generale prospettiva di ripensamento delle politiche e delle azioni di governo urbano. Il taglio assume un carattere interpretativo e critico in cui Milano, per quanto ben dotata dal punto di vista immobiliare (la percentuale di case popolari nella città è pari al doppio della media nazionale), appare come una città provinciale, bloccata, scarica, in difficoltà a competere con le città europee e del mondo. In particolare viene evidenziato il tema dello sfitto e del vuoto immobiliare (80.000 mila alloggi ufficialmente non occupati) che determina conseguenze anche sui modi di vita urbani. Milano ospita potenzialmente 2 milioni di abitanti a fonte di 1,3 milioni di effettivi residenti. Una città fantasma, che perde, a causa dei prezzi elevati, la popolazione più giovane e dinamica e che vede nell’immobile un bene di investimento e non più un bene di consumo da utilizzare e abitare. Milano, senza affitto disponibile canoni accessibili, fatica a dare risposta alle sfide della competizione urbana così come alla sua vocazione universitaria e terziaria. Sul versante della casa pensare ad un’altra Milano significa capire come muovere un mercato immobiliare bloccato. Oltre al rafforzamento della dotazione pubblica di case popolari, comunque drammaticamente insufficienti a dare risposta alla domanda sociale, è necessario pensare a dispositivi in grado di muovere il patrimonio immobiliare non occupato verso un mercato della locazione calmierata. Anche da questo campo di politiche dipende un diverso trend di sviluppo della città e un suo più deciso posizionamento nella rete delle città-mondo

    La ripresa della questione abitativa. Il senso di una domanda

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    Negli anni duemila si chiude, nei fatti, la stagione dell’intervento pubblico via ‘finanziamento diretto (edilizia sovvenzionata e convenzionata) e si definiscono, con non poche lentezze ed incertezze, le basi sulle quali costruire un nuovo corso per le politiche di housing. La domanda di casa non esprime quindi solo la domanda delle famiglie e delle persone che cercano un alloggio ma anche, e più profondamente, una (nuova) domanda di politiche. Nel momento di transizione che cosa è necessario fare, dove risulta opportuno investire, su quali ‘componenti’ del processo è strategico intervenire? Questi interrogativi costituiscono lo sfondo del contributo che procede guardando al passato delle politiche abitative come fonte di prime possibili argomentazioni e risposte. Tre sono le indicazioni generali che provengono dalla storia delle politiche abitative. La prima riguarda la costruzione di un ‘accordo largo’ sulla casa che agli inizi del Novecento ha dato il via alle prime realizzazioni di case popolari ed economiche. Le prime forme di partenariato pubblico-privato sono all’origine della costituzione degli IACP che nascono mettendo insieme capitali, risorse, disponibilità e combinando interessi diversi (la necessità di case per gli operai delle grandi industrie meccaniche e siderurgiche e il bisogno di alloggiare i nuovi abitanti in cerca di occupazione provenienti dalle campagne povere). Ancora oggi torna con forza la richiesta di definire e raggiungere un accordo largo che metta insieme, diversamente ma analogamente a quanto accaduto un secolo fa, pubblico e privato in un percorso comune di azione. Il secondo tema esce dall’intervento abitativo che ha avuto luogo nel ventennio fascista che, pur contrario alle dinamiche di inurbamento, si è preoccupato di articolare le tipologie abitative prodotte a secondo delle possibilità di spesa delle famiglie: accanto alle case popolari nascono le case economiche, ultrapopolari, minime che, se da un lato segmentano la domanda sociale segregandola, dall’altro adattano il prodotto (e quindi il progetto) alle differenti domande, riconoscendone la pluralità e la differenza interna che, per certi aspetti, si contrappone alla forte omologazione e standardizzazione che andrà a caratterizzare gli anni Sessanta e Settanta. Non si tratta di domanda abitativa ma di domande abitative. La terza ‘lezione’ che arriva dal passato interessa il periodo del dopoguerra (anni Cinquanta e Sessanta). L’elemento interessante di questa parentesi storica riguarda la moltiplicazione degli operatori. Tanto il pubblico quanto il privato intervengono nel campo della casa dando vita a soggetti nuovi e dedicati . E’ una fase di proliferazione delle istituzioni deputate ad intervenire: i ministeri, gli Istituti Autonomi Case Popolari, il Demanio, i singoli Comuni ai quali si associano, i fondi pensione, le assicurazioni, le banche, alcuni grandi industriali determinano una fase di vivacità e di vitalità delle politiche abitative producendo un movimento che, pur difficile da governare e coordinare, porta alla produzione di quote consistenti di alloggi diversamente in grado di rispondere alle domande di ingresso nel mercato della casa. Sono anche gli anni in cui, complessivamente, lo stock destinato alla locazione nelle grandi città italiane supera di diversi punti percentuali le case in proprietà. Sono gli anni della mobilità sociale (e territoriale), del boom economico, dell’apertura di nuove possibilità dove il processo di acceleraizone è anticipato e seguito anche dal mercato immobiliare. La facilità con cui si accede alla casa semplifica, più in generale, la possibilità di accedere a nuove occasioni di sviluppo e di crescita. La disponibilità di alloggi in affitto sembra essere collegata alla mobilità sociale ed economica; questione anch’essa che merita oggi di essere ripresa e nuovamente considerata
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