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    Effect of angiotensin-converting enzyme inhibitor and angiotensin receptor blocker initiation on organ support-free days in patients hospitalized with COVID-19

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    IMPORTANCE Overactivation of the renin-angiotensin system (RAS) may contribute to poor clinical outcomes in patients with COVID-19. Objective To determine whether angiotensin-converting enzyme (ACE) inhibitor or angiotensin receptor blocker (ARB) initiation improves outcomes in patients hospitalized for COVID-19. DESIGN, SETTING, AND PARTICIPANTS In an ongoing, adaptive platform randomized clinical trial, 721 critically ill and 58 non–critically ill hospitalized adults were randomized to receive an RAS inhibitor or control between March 16, 2021, and February 25, 2022, at 69 sites in 7 countries (final follow-up on June 1, 2022). INTERVENTIONS Patients were randomized to receive open-label initiation of an ACE inhibitor (n = 257), ARB (n = 248), ARB in combination with DMX-200 (a chemokine receptor-2 inhibitor; n = 10), or no RAS inhibitor (control; n = 264) for up to 10 days. MAIN OUTCOMES AND MEASURES The primary outcome was organ support–free days, a composite of hospital survival and days alive without cardiovascular or respiratory organ support through 21 days. The primary analysis was a bayesian cumulative logistic model. Odds ratios (ORs) greater than 1 represent improved outcomes. RESULTS On February 25, 2022, enrollment was discontinued due to safety concerns. Among 679 critically ill patients with available primary outcome data, the median age was 56 years and 239 participants (35.2%) were women. Median (IQR) organ support–free days among critically ill patients was 10 (–1 to 16) in the ACE inhibitor group (n = 231), 8 (–1 to 17) in the ARB group (n = 217), and 12 (0 to 17) in the control group (n = 231) (median adjusted odds ratios of 0.77 [95% bayesian credible interval, 0.58-1.06] for improvement for ACE inhibitor and 0.76 [95% credible interval, 0.56-1.05] for ARB compared with control). The posterior probabilities that ACE inhibitors and ARBs worsened organ support–free days compared with control were 94.9% and 95.4%, respectively. Hospital survival occurred in 166 of 231 critically ill participants (71.9%) in the ACE inhibitor group, 152 of 217 (70.0%) in the ARB group, and 182 of 231 (78.8%) in the control group (posterior probabilities that ACE inhibitor and ARB worsened hospital survival compared with control were 95.3% and 98.1%, respectively). CONCLUSIONS AND RELEVANCE In this trial, among critically ill adults with COVID-19, initiation of an ACE inhibitor or ARB did not improve, and likely worsened, clinical outcomes. TRIAL REGISTRATION ClinicalTrials.gov Identifier: NCT0273570

    Processi di soggettivazione, formazione e materialità digitale

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    il proprium della specie umana risiede nella evolutività aperta e imprevedibile, che la preordina a intessere incessantemente - sia a livello filogenetico sia a livello ontogenetico ed epigenetico - ponti di connessione con l' "altro" da sé: "altro" uomo, "altro" animale, "altro" macchina - e a mutuare dall' "altro” da sé gli elementi (energia, informazioni, modelli, idee, rappresentazioni, schemi comportamentali, ecc.) che fungono da input attuativi e selettivi per il proprio repertorio di virtualità. Alla luce di tali assunti di base, la progettualità educativa si scontra con l'evidenza di quanto sia carente l'attrezzatura culturale - conoscitiva e cognitiva - con cui l'umanità nel suo complesso (pur con le ovvie diversificazioni che attengono alle diverse contrade storiche e geografiche) vive l'intensificarsi delle interrelazioni ibrida rive di natura bio-artificiale che coinvolgono l'intero Pianeta. Un'attrezzatura culturale largamente insufficiente a gestire gli esiti della stessa progettualità tecnoscientifica. Un primo fattore di problematicità riguarda la carenza di conoscenze e competenze sui meccanismi di causalità complessa che regolano le dinamiche evolutive che l'interconnessione "bio-logica" e "tecno-logica" sta aprendo per la nostra specie e per la stessa vita sulla Terra. In altre parole, si vive "come se" i prodotti dell'agire tecnico fossero semplici elementi protesici per gli esseri umani, "aiuti" esterni volti a migliorare le condizioni del loro adattamento, ignorando le trasformazioni profonde che tale agire innesca nella biosfera e all'interno degli stessi soggetti umani e della loro naturalità biologica, sotto la spinta di una complessità causale reticolare, Si tratta di un'insufficienza (cognitiva e antropologica) che rende difficile, sia per il singolo sia per le comunità, prendere contezza del sempre maggiore livello di complessità delle reti dì interconnessione che tengono insieme ogni aspetto dell'agire ibridativo bio-tecnologico della contemporaneità, complessità che collega eventi, individui e popoli della Terra in una stessa comunità dì destino. Pertanto, la divaricazione tra risorse conoscitive e apparati concettuali di cui il soggetto dispone (dall'uomo comune allo scienziato, al tecnologo) e i cambiamenti in atto si esprime, su un versante più antropologico, in ricorrenti forme di "antropocentrismo" (con vecchie e nuove forme di pregiudizio, di intolleranza, di esclusione, di sfruttamento e di violenza nei confronti di tutte le fanne dell'"alterità"); sul versante cognitivo, più specificamente, si esprime in modalità di pensiero a dominanza autoreferenziale. Nel mentre la scienza e la tecnologia incidono sui corpi e le menti, sugli ambienti e sui saperi, tanto il pensiero individuale della gente comune quanto quello tecnoscientifico dei ricercatori evidenziano una grave carenza nei dispositivi di riflessione, di comprensione e di previsione circa le potenzialità trasformative che l'evoluzione tecnologica presenta. Alla pedagogia, in tale quadro, non può sfuggire l'urgenza di porre una serie di questioni, quale la questione della formazione per soggetti polimorfi, capaci di vivere il mutamento in atto; - la questione dei luoghi e dei tempi della formazione, considerando le modificazioni del regime dei tempi e il moltiplicarsi dei territori virtuali, luoghi di attraversamenti e di erranze; - la questione dei soggetti, considerando come essi si presentino sempre più contaminati e in divenire; la questione dei saperi indispensabili per poter elaborare nuove ipotesi sulle stesse modalità dell'esercizio del conoscere e dell'esercitare la critica, per poter inventare nuove modalità di espressione, per un soggetto che si presenta molteplice e in permanente transizione. Dunque, quale pedagogia per l'orizzonte delle mutazioni, per corpi e superfici di incrocio di una pluralità di codici, da quello genetico-biologico a quello informatico? - Quale didattica per processi formativi orientati alla promozione di un pensiero critico, problematico e aperto alla differenza, al cambiamento e all'ibridazione? Interrogativi, questi, tanto inderogabili quanto difficili da risolvere se non adottando una prospettiva problematica e "problematicista", permanentemente aperta ai meticciamenti di teorie e linguaggi e al superamento dell'assetto oppositivo dei dualismi di cui la tradizione del pensiero occidentale si è nutrita: mente-corpo, uomo-animale, organismo-macchina, natura-cultura, naturale-artificiale

    Pedagogia e post-umano. Ibridazioni identitarie e progettualità trasformativa

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    I prodotti dell’evoluzione bio-tecnologica in atto, in cui si combinano in maniera complessa dimensioni biologiche e dimensioni macchiniche, determinano sempre più i nostri modi di stare al mondo. Si tratta di veri e propri processi di ibridazione che trasformano radicalmente sia l’identità dei soggetti della formazione – la loro architettura cognitiva e gli aspetti più intimi della dimensione corporea, emotiva ed affettiva – sia i contesti, fisici e simbolici, entro i quali essi costruiscono conoscenze e competenze. La pedagogia, occupandosi della progettazione dei processi educativi della persona, non può non interrogarsi su tali mutazioni, sulla continuità e sulla reciprocità che sempre legano la nostra specie all’altro da sé, l’altro uomo, l’altro animale, l’altro macchina. Appare necessario, in tal senso, sollecitare e promuovere un pensiero previsionale, ricombinativo e creativo, in grado di pensare le trasformazioni e di pensarsi in trasformazione. Un pensiero immaginativo e ibridatore, capace di prevedere e affrontare il non-ancora che è nel nostro futuro e, forse, già nel nostro presente, intessendo nuovi ponti di connessione co-evolutiva tra umano e non umano, tra vita biologica e vita artificiale. Nella prospettiva di una cultura della condivisione interspecifica e della solidarietà planetaria

    Prefazione

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    Si tratta della prefazione agli atti del convegno internazionale su "Donne tra arte, tradizione e cultura. Mediterraneo e oltre" che si è svolto presso l'Università di Foggia sotto l'alto patronato della Presidenza della Repubblica italiana e con il patrocinio del Ministero delle Pari opportunità, del Presidente della Giunta della Regione Puglia, della Provincia e del Comune di Foggia. Il convegno è stato un punto di incontro tra saperi, culture, lingue differenti sulla dimensione di genere e sui temi più cruciali della contemporaneità: il tema dei diritti e della democrazia, della pace e del dialogo intercultural
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