35 research outputs found

    CommonS e CommonSpaces: per una applicazione dei principi CommonS ad un MetaWeb del Digital Heritage italiano

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    Il termine \u201ccommons\u201d \ue8 al centro nell\u2019ultimo trentennio di ricerche dal punto di vista economico, tecnologico e sociale, ben sintetizzate da J.Rifkin che sviluppa le teorie che hanno fruttato il Nobel per l\u2019economia ad E. Ostrom. La teoria dei beni comuni (commons) preconizza l\u2019avvento di una societ\ue0 in cui prevale il diritto all\u2019accesso rispetto al diritto di propriet\ue0. Osserviamo questo cambiamento nelle strategie di protagonisti dell\u2019economia mondiale. \uc8 singolare tuttavia notare come gli sviluppi di questa fase di transizione abbiano dato forza a giganteschi gruppi sovranazionali (Google, Facebook, LinkedIn ..) il cui capitale \ue8 alimentato dalla partecipazione di un pubblico planetario \u201callo stesso pasto\u201d. Il capitale di questi giganti dell\u2019era digitale \ue8 il contenuto fornito dagli utenti e l\u2019insieme degli algoritmi che gestiscono lo scambio regolato di informazione tra miliardi di persone. Come dovrebbero intelligentemente reagire i responsabili delle collezioni digitali (\u201cdigital heritage\u201d) e le istituzioni che sopraintendono alla valorizzazione dei beni culturali in Italia? Quale lezione dovrebbero imparare dalla evoluzione delle compagnie private che sui contenuti generati dagli utenti hanno fondato i propri imperi? Il nostro suggerimento \ue8 quello di creare una stretta relazione tra responsabili dei contenuti e responsabili dei prosumers dei beni culturali, identificati in primo luogo con studenti e docenti di secondarie e universit\ue0; e di creare un circuito virtuoso di valorizzazione basato sui dati dell\u2019esperienza con il Digital Heritage, creando, mediante protocolli che si vanno affermando di recente (xAPI,OpenBadge), un MetaWeb dei Beni Culturali che serva da un lato le istituzioni educative per certificare le attivit\ue0 di apprendimento svolte dagli apprendenti, e dall\u2019altro i responsabili del Web Culturale fornendo loro informazioni di profilazione assai pi\uf9 dettagliate che in passat

    Neurophysiological Responses to Different Product Experiences

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    It is well known that the evaluation of a product from the shelf considers the simultaneous cerebral and emotional evaluation of the different qualities of the product such as its colour, the eventual images shown, and the envelope’s texture (hereafter all included in the term “product experience”). However, the measurement of cerebral and emotional reactions during the interaction with food products has not been investigated in depth in specialized literature. (e aim of this paper was to investigate such reactions by the EEG and the autonomic activities, as elicited by the cross-sensory interaction (sight and touch) across several different products. In addition, we investigated whether (i) the brand (Major Brand or Private Label), (ii) the familiarity (Foreign or Local Brand), and (iii) the hedonic value of products (Comfort Food or Daily Food) influenced the reaction of a group of volunteers during their interaction with the products. Results showed statistically significantly higher tendency of cerebral approach (as indexed by EEG frontal alpha asymmetry) in response to comfort food during the visual exploration and the visual and tactile exploration phases. Furthermore, for the same index, a higher tendency of approach has been found toward foreign food products in comparison with local food products during the visual and tactile exploration phase. Finally, the same comparison performed on a different index (EEG frontal theta) showed higher mental effort during the interaction with foreign products during the visual exploration and the visual and tactile exploration phases. Results from the present study could deepen the knowledge on the neurophysiological response to food products characterized by different nature in terms of hedonic value familiarity; moreover, they could have implications for food marketers and finally lead to further study on how people make food choices through the interactions with their commercial envelope

    CommonS e CommonSpaces: per una applicazione dei principi CommonS ad un MetaWeb del Digital Heritage italiano

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    Il termine “commons” è al centro nell’ultimo trentennio di ricerche dal punto di vista economico, tecnologico e sociale, ben sintetizzate da J.Rifkin che sviluppa le teorie che hanno fruttato il Nobel per l’economia ad E. Ostrom. La teoria dei beni comuni (commons) preconizza l’avvento di una società in cui prevale il diritto all’accesso rispetto al diritto di proprietà. Osserviamo questo cambiamento nelle strategie di protagonisti dell’economia mondiale. È singolare tuttavia notare come gli sviluppi di questa fase di transizione abbiano dato forza a giganteschi gruppi sovranazionali (Google, Facebook, LinkedIn ..) il cui capitale è alimentato dalla partecipazione di un pubblico planetario “allo stesso pasto”. Il capitale di questi giganti dell’era digitale è il contenuto fornito dagli utenti e l’insieme degli algoritmi che gestiscono lo scambio regolato di informazione tra miliardi di persone. Come dovrebbero intelligentemente reagire i responsabili delle collezioni digitali (“digital heritage”) e le istituzioni che sopraintendono alla valorizzazione dei beni culturali in Italia? Quale lezione dovrebbero imparare dalla evoluzione delle compagnie private che sui contenuti generati dagli utenti hanno fondato i propri imperi? Il nostro suggerimento è quello di creare una stretta relazione tra responsabili dei contenuti e responsabili dei prosumers dei beni culturali, identificati in primo luogo con studenti e docenti di secondarie e università; e di creare un circuito virtuoso di valorizzazione basato sui dati dell’esperienza con il Digital Heritage, creando, mediante protocolli che si vanno affermando di recente (xAPI,OpenBadge), un MetaWeb dei Beni Culturali che serva da un lato le istituzioni educative per certificare le attività di apprendimento svolte dagli apprendenti, e dall’altro i responsabili del Web Culturale fornendo loro informazioni di profilazione assai più dettagliate che in passato

    Generation of pralatrexate resistant T-cell lymphoma lines reveals two patterns of acquired drug resistance that is overcome with epigenetic modifiers

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    While pralatrexate (PDX) has been successfully developed for the treatment of T-cell lymphoma, the mechanistic basis for its T-cell selectivity and acquired resistance remains elusive. In an effort to potentially identify synergistic combinations that might circumnavigate or delay acquired PDX resistance, we generated resistant cells lines over a broad concentration range. PDX-resistant cell lines H9-12 and H9-200 were developed, each exhibiting an IC50 of 35 and over 1000 nM, respectively. These lines were established in vitro from parental H9 cells. Expression analysis of the proteins known to be important determinants of antifolate pharmacology revealed increase expression of dihydrofolate reductase (DHFR) due to gene amplification, and reduced folate carrier1 downregulation, as the putative mechanisms of resistance in H9-12 and H9-200 cells. Cross resistance was only seen with methotrexate but not with romidepsin, azacitidine (AZA), decitabine, gemcitabine, doxorubicin, or bortezomib. Resistance to PDX was reversed by pretreatment with hypomethylating agents in a concentration-dependent fashion. Comparison of gene expression profiles of parental and resistant cell lines confirmed markedly different patterns of gene expression, and identified the dual specificity phosphatase four (DUSP4) as one of the molecular target of PDX activity. Reduced STAT5 phosphorylation following exposure to PDX was observed in the H9 but not in the H9-12 and H9-200 cells. These data suggest that combination with hypomethylating agents could be potent, and that DUSP4 and STAT5 could represent putative biomarkers of PDX activity

    Disease-specific and general health-related quality of life in newly diagnosed prostate cancer patients: The Pros-IT CNR study

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    Le piene del Po tra passato e futuro

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    IN SEGUITO AL NOTEVOLE SVILUPPO DELLA STRUTTURA ARGINALE DEL PO E DEI SUOI TRIBUTARI E ALLA VARIAZIONE DELLE CARATTERISTICHE DEL BACINO IDROGRAFICO, SONO AUMENTATI LA FREQUENZA DELLE PIENE PRINCIPALI E I RELATIVI LIVELLI IDROMETRICI. PER IL SECOLO SUCCESSIVO LE PROIEZIONI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO A SCALA DI BACINO EVIDENZIANO LA FORMAZIONE DI COLMI ATTESI DI PIENA ANCORA PI 9 TEMIBILI

    CommonS e CommonSpaces: per una applicazione dei principi CommonS ad un MetaWeb del Digital Heritage italiano

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    Il termine “commons” è al centro nell’ultimo trentennio di ricerche dal punto di vista economico, tecnologico e sociale, ben sintetizzate da J.Rifkin che sviluppa le teorie che hanno fruttato il Nobel per l’economia ad E. Ostrom. La teoria dei beni comuni (commons) preconizza l’avvento di una società in cui prevale il diritto all’accesso rispetto al diritto di proprietà. Osserviamo questo cambiamento nelle strategie di protagonisti dell’economia mondiale. È singolare tuttavia notare come gli sviluppi di questa fase di transizione abbiano dato forza a giganteschi gruppi sovranazionali (Google, Facebook, LinkedIn ..) il cui capitale è alimentato dalla partecipazione di un pubblico planetario “allo stesso pasto”. Il capitale di questi giganti dell’era digitale è il contenuto fornito dagli utenti e l’insieme degli algoritmi che gestiscono lo scambio regolato di informazione tra miliardi di persone. Come dovrebbero intelligentemente reagire i responsabili delle collezioni digitali (“digital heritage”) e le istituzioni che sopraintendono alla valorizzazione dei beni culturali in Italia? Quale lezione dovrebbero imparare dalla evoluzione delle compagnie private che sui contenuti generati dagli utenti hanno fondato i propri imperi? Il nostro suggerimento è quello di creare una stretta relazione tra responsabili dei contenuti e responsabili dei prosumers dei beni culturali, identificati in primo luogo con studenti e docenti di secondarie e università; e di creare un circuito virtuoso di valorizzazione basato sui dati dell’esperienza con il Digital Heritage, creando, mediante protocolli che si vanno affermando di recente (xAPI,OpenBadge), un MetaWeb dei Beni Culturali che serva da un lato le istituzioni educative per certificare le attività di apprendimento svolte dagli apprendenti, e dall’altro i responsabili del Web Culturale fornendo loro informazioni di profilazione assai più dettagliate che in passato
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