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    Raccontare l'omofobia in Italia. Genesi e sviluppi di una parola chiave

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    Il concetto di omofobia emerge all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso e rapidamente si impone come strumento scientifico per interrogare ciò che prima della sua invenzione era ritenuto normale, ovvero l’avversione sociale verso le persone gay e lesbiche. Altrettanto rapidamente, esso oltrepassa i confini della comunità scientifica per entrare nei linguaggi del confronto politico e della vita quotidiana, diventando una «parola chiave» utilizzabile per diversi scopi e al servizio di molti interessi. Il libro analizza l’entrata e la diffusione di questo termine in alcuni contesti discorsivi relativi all’Italia o che hanno ricadute sull’Italia: l’ambito della socio-logia e della psicologia sociale, quello della vita quotidiana di persone gay, lesbiche ed eterosessuali che vivono in Italia, quello della politica raccontata dai mass-media nazionali e dagli attivisti LGBT di alcune regioni italiane. Lo scopo consiste nel gettare luce sugli usi pratici del concetto di omofobia e sui significati che esso assume per chi lo utilizza. A cosa ci si riferisce quando si discute di omofobia? In quali dibattiti questo termine risulta efficace? I risultati mostrano che, tanto nella ricerca scientifica quanto nel linguaggio comune, l’omofobia configura un modo per raccontare l’ostilità anti-omosessuale che la lega ai processi di modernizzazione – invocati o criticati – di diversi settori della società italiana

    Le vite che sono la mia. Storie di genitori LGB usciti dall'eterosessualitĂ 

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    ll volume analizza le narrazioni di genitori omo-bisessuali che hanno avuto figli all’interno di matrimoni o relazioni eterosessuali. Si tratta di una popolazione in larga parte invisibile nel dibattito pubblico così come nella ricerca – italiana e internazionale – sulla genitorialità lgbt+. Eppure, sono diversi i motivi che rendono questi genitori usciti dall’eterosessualità particolarmente interessanti: dal modo in cui raccontano la costruzione dell’identità sessuale a come ricompongono le reti della parentela in seguito al coming out. Gli approfondimenti analitici che corredano le storie di vita – raccontate in prima persona – mettono in luce le molteplici intersezioni tra l’eteronormatività e l’agire soggettivo tipicamente legato alle families of choice. Ne emerge un quadro composito di continuità e innovazione che arricchisce il dibattito sulle trasformazioni della famiglia nella società contemporanea

    Prognostic value of detection of myocardial viability using low-dose dobutamine echocardiography in infarcted patients

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    Revascularization can improve ventricular function in patients with viable myocardium, but whether and how the presence of viable myocardium affects prognosis of infarcted patients is still far from clear. Thus, 202 patients (173 men, 59 +/- 9 years old) with a previous or recent myocardial infarction (MI) and regional asynergies underwent low-dose dobutamine echocardiography (5-15 mug/kg per min) to assess myocardial viability and were followed for a period of 16 +/- 11 months after revascularization (89 patients) or medical therapy (113 patients). Four groups of patients were defined: (1) patients with viability, revascularized (n = 64); (2) patients with viability, treated medically (n = 52) ; (3) patients without viability, revascularized (n = 25); and (4) patients without viability, treated medically (n = 61). Of these patients, 45 (23%) patients suffered 57 cardiac events: 18 cardiac deaths (9%), 7 MIs, 12 unstable angina, 9 heart failures, and 11 new revascularization procedures. Patients with viability, revascularized, experienced a slightly lower event rate (22%) compared with patients with viability, treated medically, patients without viability, treated medically and patients without viability, revascularized (29%, 31%, and 36%, respectively; p = not significant [NS]). The frequency of events was then evaluated in those 108 patients with an ejection fraction <=33%, in whom 14 cardiac deaths occurred: the incidence of cardiac death was slightly lower in patients with viability, revascularized (3/37, 8%) than in the patients with viability, treated medically (4/26, 15%), patients without viability, revascularized (2/11, 18%), or patients without viability, treated medically (5/34, 15%) (p = NS). Nonfatal cardiac events were significantly fewer (p <0.05) in patients with viability, revascularized (8%) and in patients without viability, treated medically (6%) than in patients with viability, treated medically and patients without viability, revascularized (27%). In infarcted patients with severe left ventricular dysfunction, the presence of viable myocardium, if left unrevascularized, leads to further events. On the contrary, in the absence of myocardial viability, revascularization could lead to a worse prognosis than medical therapy
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