8 research outputs found

    Cushing Disease Presenting as Arthritis

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    Diagnosi radiologica delle fratture da osteoporosi

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    Nella pratica clinica la valutazione delle fratture vertebrali si basa comunemente sulla lettura dei radiogrammi da parte del radiologo, prima essenziale tappa per la diagnosi differenziale delle varie cause di deformità vertebrale . Tale approccio è soggettivo e trova spesso in disaccordo due radiologi sul considerare frattura una data deformità vertebrale per vari motivi relativi alla mancanza di un “gold standard” radiologico, alla presentazione clinica variabile delle fratture, al fatto che la loro storia naturale è sconosciuta, e alle diverse esigenze della pratica clinica rispetto alla ricerca. Per rendere più precisa la identificazione delle fratture vertebrali sono stati proposti negli ultimi 20 anni vari metodi in grado di fornire una valutazione più o meno quantitativa del rachide. Tali metodi si possono suddividere in due gruppi, visivi semiquantitativi e morfometrici quantitativi. Metodi visivi semiquantitativi Questi metodi prevedono che il radiologo esperto con la semplice valutazione visiva dei radiogrammi non si limiti ad identificare le fratture vertebrali, ma assegni loro un punteggio in base alla gravità della deformazione del corpo vertebrale, senza comunque effettuare la misurazione delle dimensioni vertebrali. Tra tutti i metodi proposti in passato, quello ancora utilizzato è il metodo di semiquantitativo di H.K. Genant, il quale sottolinea l’importanza della lettura dei radiogrammi da parte di un radiologo esperto per poter discriminare le varie cause di deformità vertebrali. Una volta diagnosticata la natura osteoporotica della frattura vertebrale il radiologo esperto esegue una valutazione visiva semiquantitativa, classificando le vertebre in “normali”, “borderline”, “fratture lievi”, “fratture moderate” e “fratture gravi” Valutare la severità della deformità come riduzione delle altezze vertebrali rende possibile anche l’accertamento dell’insorgenza di nuove fratture nel follow-up del paziente in base alla riclassificazione di una data vertebra rispetto alla valutazione basale. Questo metodo permette di raggiungere una elevata concordanza di giudizio tra due radiologi esperti dimostrandosi altamente riproducibile per la diagnosi sia di prevalenza che di incidenza delle fratture vertebrali . La precisione di questo metodo è tuttavia dipendente dalla esperienza dei radiologi e, comunque, diminuisce per la identificazione delle fratture di grado lieve (“mild”). La morfometria vertebrale è una metodica che si basa sulla misura delle altezze anteriore, centrale e posteriore dei corpi vertebrali, per stabilire quale di queste sia ridotta oltre un certo valore soglia così da poter diagnosticare una frattura vertebrale. La morfometria vertebrale può essere eseguita sulle immagini ottenute con apparecchio radiologico tradizionale e successivamente digitalizzate (MRX: morphometric X-ray radiography) sia su quelle ottenute con gli apparecchi per densitometria utilizzanti metodica DEXA (MXA: morphometric X-ray absorptiometry). Vari studi comparativi hanno dimostrato che entrambe le tecniche sono dotate di buona precisione, più elevata comunque per la MRX, il cui coefficiente di variabilità, sia intra-che interoperatore, è risultato più basso rispetto alla MXA. Le due tecniche, la MRX e la MXA sono sovrapponibili sia per sensibilità che per specificità nella identificazione delle fratture vertebrali. La MXA avendo il grosso vantaggio di esporre il paziente ad una bassa dose di radiazioni ( <10mSv versus 800mSv della MRX) potrebbe essere proposta come metodica di screening per la iniziale identificazione delle fratture vertebrali da osteoporosi, da confermare o meno con l’esama radiologico tradizionale del rachide. Tale esame può fornire elementi utili per effettuare una diagnosi differenziale tra le varie cause, benigne e maligne delle deformità vertebrali., ricorrendo nei casi dubbi ad esami più complessi, TC o RM. Una volta effettuata la diagnosi di frattura vertebrale da osteoporosi, per valutare l’efficacia della terapia sulla prevenzione delle fratture vertebrali è preferibile utilizzare la MXA, sia per la bassa dose di esposizione, sia per la maggior riproducibilità dovuta al più facile posizionamento del paziente. L’utilità della morfometria vertebrale sta quindi, sia nel consentire di identificare il maggior numero possibile di fratture vertebrali, sia nella possibilità di seguire nel tempo l’andamento delle altezze vertebrali, prevedendo, quindi, l’insorgenza di una frattura vertebrale, intesa come deformazione di grado lieve, asintomatica ed atraumatica. Ciò è molto importante se si considera che la determinazione della massa ossea con la densitometria, pur essendo la principale indagine per la valutazione del rischio fratturativo, in realtà., non sempre ci permette di raggiungere questo scopo. In conclusione, per una completa valutazione del paziente con osteoporosi appare necessario effettuare con la metodica DEXA, durante la stessa seduta , oltre la valutazione della densità ossea, anche l’acquisizione della immagine del rachide al fine di selezionare i soggetti da sottoporre alle radiografie del rachide dorsale e lombare per o meno diagnosi di frattura vertebrale da osteoporosi

    Achieving Remission in Gulf War Illness: A Simulation-Based Approach to Treatment Design

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    Gulf War Illness (GWI) is a chronic multi-symptom disorder affecting up to one-third of the 700,000 returning veterans of the 1991 Persian Gulf War and for which there is no known cure. GWI symptoms span several of the body’s principal regulatory systems and include debilitating fatigue, severe musculoskeletal pain, cognitive and neurological problems. Using computational models, our group reported previously that GWI might be perpetuated at least in part by natural homeostatic regulation of the neuroendocrine-immune network. In this work, we attempt to harness these regulatory dynamics to identify treatment courses that might produce lasting remission. Towards this we apply a combinatorial optimization scheme to the Monte Carlo simulation of a discrete ternary logic model that represents combined hypothalamic-pituitary-adrenal (HPA), gonadal (HPG), and immune system regulation in males. In this work we found that no single intervention target allowed a robust return to normal homeostatic control. All combined interventions leading to a predicted remission involved an initial inhibition of Th1 inflammatory cytokines (Th1Cyt) followed by a subsequent inhibition of glucocorticoid receptor function (GR). These first two intervention events alone ended in stable and lasting return to the normal regulatory control in 40% of the simulated cases. Applying a second cycle of this combined treatment improved this predicted remission rate to 2 out of 3 simulated subjects (63%). These results suggest that in a complex illness such as GWI, a multi-tiered intervention strategy that formally accounts for regulatory dynamics may be required to reset neuroendocrine-immune homeostasis and support extended remission
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