38 research outputs found

    De servo arbitrio - ovvero: le neuroscienze ci libereranno dal pesante fardello della libertĂ ?

    Get PDF
    According to some neuroscientists – called hard or radical determinists – philosophical, ethical and juridical consequences, in particular deterministic consequences, can be drawn from neurobiological researches. The subject of this work is thus the question whether the discovery of the cerebral  mechanisms correlating  with  our choices and decisions will eventually  sweep off our firm long lasting belief in human freedom. Among those who consider  the freedom of man an out-of-date idea, and just when crime is in question, we come across Greene and Cohen: in their opinion  crimes should be imputed to our brain and we would then be innocent. They have apparently chosen the reductionistic option, which regards the mind as a secondary phenomenon of the brain; but we can object that we are not “only” our brain. Libet and coll. would have supported the idea that conscious acting is but illusory, proving through experiments that the neurological impulses causing the actions that seem to us voluntary, can actually be traced about 200 thousandths of a second before the subject perceives his conscious decision. However this can at most prove that we become conscious of our choice only after  making it in case of  almost automatic or scarcely  significant or  impulsive actions, which bypass our conscious will. Otherwise our actions start before we become aware  of them  when we are beyond pathological limits. We should also keep in mind that we are actually speaking of  laboratory experiments, in which only simple and scarcely significant actions are asked of the subjects, that is actions little involving the subjects’ values and beliefs. Whatever we do obviously requires a biological frame. However all this proves that a  neuronal substratum is a condition necessary to our actions and our decisions – which philosophy calls condicio sine qua non – but  cannot be regarded also as a sufficient condition. Besides: does the fact that cerebral and mental events relate with one another mean that the former must necessarily cause the latter? Why couldn’t it be just the opposite? That is, above all: correlation is not causation. Greene and all those who reduce a moral choice to a mere question of this or that portion of the brain seem to overlook a further distinction, that is the one between facts and values: a descriptive statement cannot be changed into a set of norms and values (prescriptions). We must also remember  that a crime is acknowledged as such on not natural but cultural grounds. It is only obvious that when we make a choice actually some portions of the brain are activated, and  also  different portions of it may be activated whether our choice is “right” or “wrong”, that is whether it is in agreement or in contrast with what has been stored up within ourselves through man evolution. But this concerns the structure of the choosing process, not its various kinds of content. According to Greene  and Cohen our “belief” in will-freedom would be determined by the structure of our brain and would thus be but an illusion, and what’s more, a biologically induced illusion. Well, some objections can be raised to such assertions both from a skeptical and a methodological point of view, like: just on the contrary the determinism itself might be “written in our brain”. Besides, the assertion of the determinists is anything but scientific because as it is it cannot be confuted. When research is concerned, neurosciences, like all sciences, obviously use  models, in particular reductive models; but models as such neither are the reality nor include the whole, therefore they cannot exclude the existence of what is not relevant to their purposes. If our being is not only our brain but also our history, then we cannot speak of an absolute freedom, uprooted from our experience and from the factors actually influencing us, among which the biological ones. Moreover, all the factors conditioning us are actually “conditions” not “causes”, that is they reduce the number of our possibilities, but – except for some extreme cases – they don’t necessarily cancel such possibilities. From a logical point of view, though, it is not impossible to assert that a cause makes the occurrence of an effect more probable without making it necessary, which means events can be caused and not determined. Finally we mustn’t forget the “double nature” of human beings: in fact they share the causal structure of the physical world and are nevertheless free-acting beings causing their own actions as capable of self-determination and endowed with the possibility of acting otherwise.Alcuni neuroscienziati – detti deterministi hard o radicali – pretendono di trarre conseguenze filosofiche, etiche e giuridiche, in particolare conseguenze deterministiche, dalle ricerche neurobiologiche. La domanda che ci si pone in questo lavoro è appunto se la scoperta dei meccanismi cerebrali che si correlano alle nostre scelte e decisioni farà piazza pulita della nostra radicata convinzione di essere liberi. Tra coloro che affermano che le moderne scoperte hanno reso obsoleta l’idea della libertà dell’uomo, e proprio quando è in discussione il delitto, troviamo Greene e Cohen, i quali sostengono che siano i nostri cervelli a commettere reati: noi saremmo innocenti. È l’opzione riduzionista che reputa la mente quale fenomeno secondario del cervello, a cui però può obbiettarsi che noi non siamo “solo” il nostro cervello. Libet e coll. avrebbero dato fiato alla tesi dell’illusorietà dell’agire consapevole dimostrando sperimentalmente che gli impulsi neurologici che danno luogo alle azioni che ci paiono volontarie sono osservabili sperimentalmente circa 200 millesimi di secondo prima della percezione della decisione cosciente da parte del soggetto. Il che però tutt’al più dimostra che la nostra consapevolezza di aver operato una scelta sia successiva alla nostra decisione quando si tratti di azioni o quasi automatiche o di modesto significato o d’impeto, le quali bypassano la volontà cosciente. Oppure le azioni incominciano prima dell’attività cosciente che le riguarda perché siamo già al di là dei confini del patologico. Si ricordi inoltre che stiamo parlando di esperimenti di laboratorio in cui, necessariamente, si chiede ai soggetti di compiere azioni semplici e modestamente significative, che ben poco mobilitano i valori, le credenze, le preferenze del soggetto. Naturalmente tutto ciò che noi facciamo esige un’impalcatura biologica. Però questo dimostra che l’esistenza di un substrato neuronale è una condizione necessaria al nostro agire e al nostro decidere – quella che la filosofia chiama conditio sine qua non –, ma non basta a comprovare che sia una condizione anche sufficiente. Ancora: che vi sia una correlazione fra eventi cerebrali ed eventi mentali significa per forza che i primi causino i secondi? Perché non può essere l’inverso? Ovvero, e soprattutto: correlazione non è causazione. Le posizioni di Greene e di tutti coloro che pretendono di ridurre la scelta morale solamente ad un problema dell’una o dell’altra zona del cervello ignorano un’ulteriore distinzione, quella fra fatti e valori: da una proposizione descrittiva non è possibile passare ad un insieme di norme e valori (prescrizioni). Ricordiamo, poi, che il reato non è un ente naturale bensì culturale. Che vi siano regioni del cervello che si attivano quando si tratta di fare delle scelte si deve senz’altro dare per pacifico, e non si esclude che se ne attivino diverse a seconda se la scelta è “giusta” o “sbagliata”, cioè se corrisponde a quanto si è sedimentato in noi nel corso dell’evoluzione ovvero se collide con esso. Ma questo riguarda la struttura del processo di scelta, non il contenuto, che può essere molto vario. Green e Cohen affermano che la struttura del nostro cervello determinerebbe la “credenza” nella libertà del volere, la quale non è quindi altro se non un’illusione e per di più biologicamente indotta. Ebbene, sono possibili alcune risposte in chiave scettica e metodologica riguardo a queste affermazioni fra cui quella per la quale potrebbe essere viceversa il determinismo “scritto nei nostri cervelli”. Inoltre  l’obiezione dei deterministi hard è quanto di meno scientifico può darsi perché, posta così, è inconfutabile. Le neuroscienze – come tutte le scienze – usano per forza di cose modelli, e modelli riduttivi, per poter indagare; ma i modelli sono appunto solo tali, non sono la realtà, e per giunta non sono il tutto, non possono escludere l’esistenza di ciò che ai loro fini non contemplano. Se il nostro essere non è solo il nostro cervello ma è anche la nostra storia, questo significa pure che non potremo parlare di una libertà assoluta, avulsa dalle nostre esperienze di vita e dagli innumerevoli fattori che ci condizionano, compresi quelli biologici. Di nuovo, però, tutti i fattori che ci condizionano sono appunto “condizioni”, non “cause”, limitano il numero delle possibilità ma – salvo casi estremi – non annullano secondo un principio di necessità le possibilità stesse. Ovvero anche, non è logicamente impossibile assumere una posizione per la quale la causa accresce la probabilità che si verifichi un effetto senza perciò necessitarlo, in cui cioè si possa sostenere che gli eventi siano causati ma non determinati. Infine, non si dimentichi la “duplice natura” degli esseri umani, inseriti nella struttura causale del mondo fisico e nondimeno agenti liberi che causano le loro azioni autodeterminandosi e potendo agire altrimenti

    Recensione

    Get PDF
    - Alfredo Verde, Cristiano Barbieri (a cura di), Narrative del male dalla fiction alla vita, dalla vita alla fiction, FrancoAngeli, Milano, 2010 di Isabella Merzagora Betso

    Perverted idealism: evil in the name of God

    Get PDF
    The Authors illustrate the concept of perverted idealism, by which is to be understood the belief that certain wicked actions are appropriate when committed in the name of an ideal deemed right: one’s own God and/or divinity, the safeguarding of one’s freedom, of one’s people, of one’s own life and that of those who have not been born yet. It differs well from the neutralization techniques of Sykes, Matza and Bandura, because perverted idealism better details and clarifies how criminal actions carried out in the name of an ideal are not only justified as possible, but considered a duty to be carried out. In the light of it, therefore, the various movements that commit murders and terrorist acts “in the name of God“ are analyzed, in particular the so-called “Christian terrorism“ groups, pro-life formations. Anders Breivik's Manifesto, entitled 2083 A European Declaration of Independence, is then discussed, of significant criminological interest as it is full of food for thought in terms of perverted idealism. Precisely in this 1,500-page document, in fact, Breivik clarifies how the terrorist acts and the deaths caused by them of which he was the author, were horrific, but necessary.Le Autrici illustrano il concetto di idealismo pervertito, con il quale è da intendersi il convincimento che talune azioni malvage siano opportune laddove commesse in nome di un ideale ritenuto giusto: il proprio Dio e/o divinità, la salvaguardia della propria libertà, del proprio popolo, della vita propria e di quella di chi non è ancora nato. Esso ben si differenzia dalle tecniche di neutralizzazione di Sykes, Matza e Bandura, perché l’idealismo pervertito meglio dettaglia e chiarisce come azioni criminose compiute in nome di un ideale non vengano solo giustificate come possibili, ma ritenute doverose. Alla luce dell’ideale pervertito sono pertanto analizzati i diversi movimenti che commettono omicidi e atti terroristici “in nome di Dio”, in particolare i gruppi del cosiddetto “terrorismo cristiano”, forma-zioni pro-life. È poi discusso il Manifesto di Anders Breivik, intitolato 2083 A European Declaration of Indipendence, di rilevante interesse criminologico poiché ricco di spunti di riflessione in termini di idealismo pervertito. Proprio in questo documento di 1.500 pagine, infatti, Breivik chiarisce come gli atti terroristici e le morti da essi provocati, di cui è stato autore, fossero orribili, ma necessari

    Stalking e danno psichico

    Get PDF
    Stalking, or behaviours of harassment often characterised by ambushes, chases, striving for contact and/ or communication, which sometimes begin with accepted social conduct before becoming persistent and disturbing, not only exasperates victims, but also terrorises and renders them ill, thus constituting yet another point of contact between the cognitive requirements of criminologists and forensic psychiatrists alike. It often occurs between former partners (often with a history of domestic violence which can evolve in particularly violent manners), but also affects employees, employers, celebrities, etc. these victims are referred to as “primary victims”. However, in addition, relatives and friends of the primary can fall prey to stalkers, both directly, through resorting to an unpleasant demeanour, or indirectly, through the significant lifestyle changes necessary to protect the victim. Studies and research demonstrate that stalking can induce a series of different reactions within the victim, as besides negative feelings, considerably clinical symptoms of great interest from a psychiatric point of view can also arise until, in the extreme cases of stalking, accompanied by violence and serious threats, posttraumatic symptomatology begin to develop. If the persecution acts would lead to mental illness or simply exacerbate or aggravate it, only after establishing a diagnosis and causal linkage could it be possible to determine the existence, or non-existence of a biological damage born of mental nature. However, l'art. 612-bis of the penal code, through providing a definition of the crime, indicates terms that do not necessarily refer to psychopathological symptoms but may also simply refer to negative feelings, revealing nothing more than the presence of what was known prior to November 2008 as existential damage. In addition to the debate that this has triggered, and continues to cause, another problem concerns how and by whom the non-pecuniary damage, related to the effective crime perpetrated, would be determined. Apart from the assessment of the principal questions relating to the compensation for the damage occurred, without flowing into a frank pathology the authors disclose a case of stalking acted on by an employer against his employee.Lo stalking, ovvero quei comportamenti molesti caratterizzati da appostamenti, inseguimenti, ricerca di contatto e/o comunicazione, che a volte hanno inizio con condotte socialmente accettate per poi evolvere divenendo sempre più insistenti e molesti, al punto da far non solo esasperare la vittima ma anche terrorizzarla e farla ammalare, costituisce un ennesimo punto di incontro fra le esigenze conoscitive del criminologo e quelle dello psicopatologo forense. Esso non di rado si verifica fra ex partner (che spesso hanno alle spalle storie di violenza domestica, e può evolvere in modi particolarmente violenti) ma può anche coinvolgere dipendenti, datori di lavoro, personaggi famosi, etc.. Oltre alle c.d. “vittime primarie” possono essere oggetto di stalking anche parenti ed amici della vittima, sia direttamente attraverso comportamenti sgradevoli loro rivolti, sia indirettamente attraverso le notevoli modificazioni delle abitudini di vita necessarie per la protezione della vittima. Numerosi studi e ricerche hanno evidenziato come lo stalking possa comportare nella vittima effetti differenti, infatti oltre a sentimenti negativi, possono insorgere sintomi clinicamente rilevanti, quadri di interesse psichiatrico fino a giungere, negli episodi di stalking “estremo”, accompagnati da violenze e minacce gravissime, allo sviluppo di una sintomatologia post-traumatica. Se gli “atti persecutori” hanno comportato l’insorgere di una malattia psichica o anche solo l’hanno esacerbata, aggravata, una volta accertata diagnosi e nesso causale, si potrà concludere per l’esistenza di un danno biologico di natura psichica. Tuttavia, l’art. 612-bis del Codice Penale, nell’offrire la definizione del reato, usa termini che non necessariamente rimandano a sintomi psicopatologici ma posso-no pure fare semplicemente riferimento a sentimenti negativi, cagionando “solo” quello che si definiva, prima del Novembre 2008, un danno esistenziale. Un altro nodo problematico concerne come e da chi il danno non patrimoniale, commisurato all’effettivo pregiudizio sofferto, verrà accertato. Oltre ad esaminare i punti problematici che concernono la possibilità di risarcimento di un danno che non sfoci in una franca patologia, gli Autori riportano un caso di stalking posto agito da un datore di lavoro nei confronti di una dipendente

    Dilemmi etici ed empatia ai tempi del Covid-19

    Get PDF
    Con la recente diffusione del virus Covid-19 molte domande sono disponibili, sia da un punto di vista sanitario ed economico, sia da un punto di vista umano. La rapida diffusione del virus e il tasso di contagio hanno costretto gli operatori sanitari a compiere scelte etiche e morali. Abbiamo cercato di vedere quali scelte farebbe un campione rappresentativo della popolazione italiana, inclusi gli operatori sanitari , se confrontato con un dilemma etico riguardo a questa crisi e quali conseguenze emotive potrebbero derivarne. Dai risultati oltre l'80% del campione ha scelto per scelte utilitaristiche e impersonali, mosso quindi dalla razionalità per risolvere il problema. Nonostante l'apparente distacco nella scelta, queste decisioni hanno comunque avuto un impatto emotivo, indicando che anche le scelte più razionali non sono esenti dall'empatia.Con la recente diffusione del virus Covid-19 molte domande sono sorte, sia di carattere sanitario ed economico, sia da unpunto di vista più umano. La rapida diffusione del virus e l’alto tasso di contagio ha costretto gli operatori sanitari a dovercompiere delle scelte etiche e morali. Ci si è dunque domandati quali scelte un campione rappresentativo della popolazioneitaliana, tra cui anche operatori sanitari, avrebbe compiuto se messo di fronte a dilemmi etici riguardanti questa crisi e qualiconseguenze emotive ne sarebbero scaturite. Dai risultati emerge come più dell’80% del campione abbia optato per scelteutilitaristiche e impersonali, quindi mossi da razionalità per la risoluzione del problema. Nonostante l’apparente distacconella scelta, tali decisioni hanno comunque avuto un impatto emotivo, indice del fatto che anche le scelte più razionali nonsono esenti da empatia

    Disturbo bipolare e criminalitĂ 

    Get PDF
    There are few studies in literature on the association between mood disorders and violent behaviour. However, the existing literature suggests that commission of crimes can be a serious consequence for individuals suffering from such diseases, especially in the manic phase and if the disorder is associated with substance abuse, as a complication or comorbidity. The crimes of these patients are often impulsive and related to psychotic symptoms. The authors report the cases of three men who have committed violent crimes because suffering from a mood disorder, had abused substances, and had also developed delusional beliefs. The need for greater scientific attention on the relationship between mood disorders and violent crime is stressed.In letteratura sono presenti pochi studi sull’associazione tra disturbi dell’umore e comportamento violento. Tuttavia, la letteratura esistente suggerisce che la commissione di reati possa essere una seria conseguenza per gli individui affetti da questo tipo di disturbi, specialmente se in fase maniacale e se al disturbo si associa l’abuso di sostanze, come complicanza o incomorbidità.I crimini di questi malati si mostrano spesso all’insegna dell’impulsività e correlati ai sintomi psicotici.Le autrici riportano i casi di tre uomini che hanno commesso crimini violenti in quanto affetti da un disturbo dell’umore, avevano abusato di sostanze, ed avevano inoltre sviluppato convinzioni di tipo delirante.Si sottolinea la necessità di maggiore attenzione scientifica sul rapporto fra disturbi dell’umore e la criminalità violenta

    GLI SMEMORATI DELLA CURVA NORD. SENTIMENT ANALYSIS DI UN EPISODIO ANTISEMITA IN AMBITO CALCISTICO

    Get PDF
    L’Italia, negli ultimi anni, è stata purtroppo testimone di una preoccupante crescita di episodi di richiamo antisemita. Ruolopeculiare in tutto ciò ha avuto il web: una piattaforma dai confini illimitati che, a causa delle problematiche che lo caratterizzano, connesse all’attribuzione d’identità degli utenti e nella gestione della privacy, ha purtroppo agevolato la condivisione di pensieri, post, video e commenti razzisti, portando come risultato ad un aumento esponenziale, negli ultimi anni, dei siti di matrice apertamente antisemita. Gli Autori, in questo contributo, propongono un approfondimento su questo complesso tema, includendo i risultati di una ricerca svolta attraverso una specifica tecnica di analisi chiamata sentiment analysis, utilizzata al fine di analizzare la reazione sociale, condivisa sulle diverse piattaforme online, ad uno specifico episodio antisemita avvenuto durante una partita di calcio.&nbsp

    Is obedience still a virtue? An Italian research during COVID-19 pandemic

    Get PDF
    The authors examine some criminological theories that explain adherence to the rules, and in particular those that have been used to account for whether or not the rules imposed or proposed to contain the contagion from COVID-19 are considered. Then, they show the results of their own research, carried out by interviewing a sample of 1,004 Italians using an online questionnaire. The aim of this research: understand who complied with the anti COVID-19 measures and, if so, for what reasons. If the given answer was no, the authors asked the respondents the reasons why them didn’t. After showing the results, the authors discussed them comparing theme with other similarresearches made abroad, underlying also the emerged limits. In conclusion, the authors propose their own thoughts on the subject

    Dall'ibristofilia al narcisismo: il fascino del male

    Get PDF
    Two cases of parenticide in Italy, which had a wide echo and which are briefly reported, provide the Authors with the opportunity to describe the phenomenon of hybristophilia, that is the attraction for a criminal as such, and to report what is proposed by the scientific literature on the subject. Both cases were followed by the creation of "fan groups". In the most recent case, the attraction for the parenticide led to the creation of a Facebook group: the Authors analyze 575 messages from this group, elaborate a typology, and draw conclusions about the motivations, the potential dangerousness of the group members, the narcissism underlying the type of communication analyzed.Due casi di parenticidio avvenuti in Italia, che hanno avuto vasta eco e che vengono brevemente riferiti, forniscono agli Autori l'occasione per descrivere il fenomeno dell'ibristofilia, cioè l'attrazione per il criminale in quanto tale, e per riportare quanto proposto dalla Letteratura scientifica in materia. Ciò in quanto entrambi i casi sono stati seguiti dalla creazione di gruppi di "fans". Nel secondo caso l'attrazione per il parenticida si è manifestata attraverso la creazione di un gruppo social di cui gli Autori analizzano 575 messaggi, elaborando una tipologia e traendo conclusioni in merito alle motivazioni, all'eventuale pericolosità dei partecipanti al gruppo, al sottostante narcisismo che muove il tipo di comunicazione analizzato

    Lo psicopatico dietro la scrivania

    Get PDF
    Corporate Psychopaths are described by several authors as egocentric people, with no capacity for empathy, unscrupulous,manipulative, Machiavellian, incapable of remorse, narcissistic, dishonest and deceitful. In certain companies abroad, sometop managers, during their careers, have shown features ascribable to Psychopathy. Their high offices and peculiar personalitiescan lead to both economic and company’s public image damages.The aim of this study was to deepen this topic startingfrom theory, but without leaving out the empirical data. This is the reason why a lot of foreign studies have been analysedand the PPI-R test has been administered to some Italian top managers the PPI-R test, in order to identify possible psychopathsin the companies. Regarding our sample, the scores have exceeded in most cases the values of the average of population,but any of them met the criteria for prototypical Psychopath Personality.Gli psicopatici aziendali sono descritti da diversi Autori come persone egocentriche, prive di capacità empatiche, spregiudicate,manipolatorie, machiavelliche, incapaci di rimorso, narcisistiche, disoneste e menzognere. In alcuni Paesi è stato riscontratoche taluni di coloro che rivestono cariche importanti all’interno di aziende evidenziano tali caratteristiche, sono appuntodefinibili come psicopatici, e la loro presenza può portare a ingenti danni economici, ed anche d’immagine alle aziendestesse. Oltre ad approfondire il tema dal punto di vista teorico, questo studio ha voluto vagliare i risultati delle ricerchestraniere somministrano il test Psychopathic Personality Inventory-Revised (PPI-R) ad alcuni manager italiani, per individuarel’eventuale presenza di psicopatici all’interno delle aziende. I punteggi ottenuti hanno superato nella maggior parte dei casii valori della media della popolazione, senza però che nessuno dei soggetti del campione abbia soddisfatto i criteri per laprototipica personalità psicopatica
    corecore