64 research outputs found

    A proposal for a brief-term post-adoption intervention in the attachment-perspective. A single case study with a late-adopted child and his adoptive mother

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    A growing body of attachment literature has focused on bridging the gap between research and clinical applications, even in clinical work with adoptive families. A brief-term clinical intervention focused on a multi-method assessment of attachment relationships and representations was performed in the first year after placement. This single case study aimed at analysing the attachment outcomes, through a long-term follow-up, both for the adoptive mother and her late-adopted son. We assumed that this five-session attachment oriented intervention could help the mother enhance her sensitivity skills and her ability to understand both her own past attachment experiences and her child’s insecure attachment as a consequence of the failures of his previous experiences of care, supporting her six year old child in acquiring a positive image of himself and of others and the security of the caregiver’s availability up to adolescence

    La reazione dei genitori alla diagnosi di labio/palatoschisi dei figli: uno studio nella prospettiva della teoria dell’attaccamento

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    La labio e/o palatoschisi (L/PS) è una malformazione del labbro e/o del palato, che comporta la mancata chiusura o la chiusura incompleta di due tessuti embrionali. Può essere diagnosticata a partire dalla 12° settimana gestazionale, ma in alcune circostanze la malformazione viene comunicata ai genitori solo alla nascita del bambino (Allori, Mulliken, Meara, Shusterman e Marcus, 2017). Entro il primo anno di vita, il piccolo viene sottoposto ad un’operazione chirurgica per la riparazione del labbro e/o del palato. Tuttavia, nell’attesa dell’intervento, i genitori potrebbero dover affrontare diverse difficoltà, dovute sia alla componente funzionale della malformazione, come allattare il bambino al seno, sia alla componente estetica, come le reazioni emotive proprie e altrui all’aspetto esteriore deformato del bambino (Black, Girotto, Chapman e Oppenheimer, 2009; Lindberg e Berglund, 2014). Quando vengono a conoscenza della diagnosi di L/PS questi genitori, come i genitori di bambini affetti da altre patologie, possono vivere intensi sentimenti di shock, rabbia, tristezza, incredulità o colpa (Fonseca, Nazare´e Canavarro, 2013; Kuttenberger, Ohmer e Polska, 2010; Zeytinoglu, Davey, Crerand, Fisher e Akyil, 2017). In seguito ad un’iniziale reazione di disorientamento e dolore alcuni genitori riescono a elaborare l’esperienza della diagnosi di malattia del bambino, ad andare avanti nella vita e ad accettare i limiti e le peculiarità della situazione. Altri, invece, non riescono ad elaborare tale sofferenza e ne rimangono sopraffatti, oppure continuano a negare i sentimenti o le informazioni che si riferiscono alla diagnosi del bambino (Despart et al., 2011; Nelson, Nelson, O'leary e Weinman, 2009; Skrivan-Floincard e Habersaat, 2009; Pitt, McClaren e Hodgson, 2016). La letteratura (Baiocco, Castelli Gattinara, Cioccetti e Ioverno, 2017; Dolev, Sher–Censor, Baransi, Amara e Said, 2016; Krstić, Batić, Mihić e Milankov, 2016) che si è occupata della reazione genitoriale alla diagnosi di malattia del figlio ha indagato la relazione tra reazione genitoriale e alcune variabili che chiameremo “soggettive” del genitore, come ad esempio le strategie di coping, la percezione di supporto sociale, lo stress rispetto al proprio ruolo genitoriale e la percezione del funzionamento familiare. Un secondo aspetto che è stato messo in relazione con la reazione genitoriale alla diagnosi del figlio sono le caratteristiche della malattia di cui è affetto il bambino e che chiameremo “variabili oggettive”, come ad esempio la gravità o il numero ospedalizzazioni (Barnett et al., 2006; Milshtein, Yirmiya, Oppenheim, Koren–Karie e Levi, 2010; Popp, Robinson, Britner e Blank, 2014). Infine, alcuni studi si sono occupati di esplorare il nesso tra capacità dei genitori di elaborare l’esperienza di malattia del figlio e la relazione caregiver-bambino, facendo ipotizzare che la reazione emotiva dei genitori alla diagnosi possa fungere da fattore di rischio per lo sviluppo di un attaccamento sicuro nel piccolo (Kearney, Britner, Farrell e Robinson, 2011; Oppenheim, Koren‐Karie, Dolev e Yirmiya, 2009; Shah, Clements e Poehlmann, 2011). Il presente studio ha come focus principale l’indagine della reazione genitoriale, materna e paterna, all’esperienza della diagnosi di L/PS del figlio. In particolare, questo lavoro si prefigge di indagare la relazione tra risoluzione genitoriale alla diagnosi di L/PS del figlio e variabili “soggettive” e “oggettive”; analizzare il contributo delle variabili “oggettive” e di quelle “soggettive” nel predire la capacità genitoriale di elaborare la diagnosi di L/PS del bambino e di esplorare la qualità della relazione madre-bambino durante il pasto. Questi aspetti sono stati indagati nel campione totale, ma sono state anche esplorate le eventuali differenze tra i due gruppi di madri e padri. A tal fine è stato raccolto un campione di 60 genitori (30 madri e 30 padri) e i loro 30 bambini affetti da L/PS. Il campione è stato selezionato in base ai seguenti criteri d’inclusione: genitori conviventi e/o sposati; diagnosi di L/PS nel bambino; essere in attesa del primo intervento chirurgico per la riparazione del labbro e/o del palato. Il presente progetto trasversale ha utilizzato un approccio multi-metodo, che prevedeva l’utilizzo d’interviste, self-report e videoregistrazioni. Ad entrambi i genitori è stata somministrata una batteria di strumenti, che comprendeva: - un’intervista semi-strutturata, la Reaction to Diagnosis Interview (RDI); - i questionari self-report: Parenting Stress Index-Short Form (PSI-SF); Difficulties in Emotion Regulation Scale (DERS); Multidimensional Scale of Perceived Social Support (MSPSS); Dyadic Adjustment Scale (DAS); Family Adaptability and Cohesion Scale-IV (FACES–IV); -L’interazione madre-bambino durante il pasto è stata videoregistrata in un sotto-campione di 20 diadi madre-bambino, ed è stata codificata con il sistema di codifica S.V.I.A. Sono state quindi individuate una serie di variabili oggettive: momento in cui i genitori hanno ricevuto la diagnosi del figlio, distinto in gravidanza o nascita; tipo di allattamento, ovvero al seno o con tettarella; tipo di malformazione, diviso in labioschisi, palatoschisi e labiopalatoschisi e schisi in sindrome; facial appareance, intesa come una malformazione al viso oppure solo al palato; e una serie di varabili soggettive: reazione genitoriale alla diagnosi, percezione dello stress genitoriale, del supporto sociale, disregolazione delle emozioni, adattamento di coppia e funzionamento familiare. A partire dalla disamina della letteratura, abbiamo formulato tre serie di ipotesi. 1) Ipotesi sulle differenze tra genitori Risolti e Non risolti alla diagnosi del figlio, che riguardavano anche la scheda di codifica dimensionale dell’RDI. E’ stato, per di più, esplorato il contributo delle variabili “oggettive” oltre a quelle “soggettive”, nello spiegare la varianza della reazione genitoriale alla diagnosi del figlio. 2) Ipotesi sulle differenze tra madri e padri, per le variabili oggetto della nostra indagine. 3) Ipotesi sulla qualità dell’interazione madre-bambino durante il pasto, ovvero abbiamo esplorato le differenze tra genitori Risolti e Non risolti rispetto alla qualità dell’interazione alimentare e la correlazione tra la qualità dell’interazione madre-bambino durante il pasto e le variabili “soggettive” investigate. I risultati hanno messo in luce che il 59,3% dei genitori è Risolto e il 40,7% dei genitori è Non risolto alla diagnosi di malattia del figlio, percentuale che sembra in linea con quanto riportato dagli studi che hanno utilizzato la medesima intervista e che riportano un range di risoluzione che va dal 33% all’82%. A conferma delle nostre ipotesi su una relazione tra risoluzione della diagnosi e variabili “oggettive”, i risultati hanno messo in luce che la non risoluzione risulta associata alla comunicazione della diagnosi alla nascita, al tipo di malformazione e all’allattamento con tettarella. Al contrario, il tempo trascorso dalla diagnosi e la facial appareance non sembrano associato alla risoluzione/non risoluzione della diagnosi del figlio. Nel nostro campione, non emergono differenze tra madri e padri per le variabili “soggettive” investigate, in accordo con una parte della letteratura qualitativa e quantitativa (Stock e Rumsey, 2015; Zeytinoğlu, Davey, Crerand e Fisher, 2016) che ha trovato nei padri reazioni emotive simili a quelle delle madri, nei casi di diagnosi di L/PS dei loro bambini. Ciononostante emergono differenze statisticamente significative tra i due gruppi, per gli indici della reazione genitoriale alla diagnosi del figlio “coartazione” e “dolore”, per cui le madri tenderebbero ad esprimere maggiore dolore e i padri ad essere maggiormente coartati nell’espressione delle emozioni inerenti la diagnosi del piccolo. La differenza tra i due gruppi per gli indici “coartazione” e “dolore” è in linea con quanto emerso dalla letteratura sull’RDI per cui sembrerebbe che le madri mostrino con maggiore probabilità uno stile emotivo e i padri uno stile cognitivo alla reazione alla diagnosi (Barak-Levy e Atzaba-Poria, 2013; Guerriero, Gnazzo, de Campora, Vegni e Zavattini, 2017). I risultati del nostro studio mettono, inoltre, in luce punteggi medi significativamente più alti nell’adattamento di coppia per il gruppo di genitori Non risolti, rispetto ai genitori Risolti. Questo dato suggerisce nei genitori Non risolti un iperinvestimento nella relazione di coppia, che potrebbe nascondere una difficoltà ad investire nella relazione con il bambino affetto da L/PS. Ciononostamnte non mergono differenze tra i gruppi rispetto alle altre aree indate, facendo ipotizzare una tendenza dei genitori non risolti a negare oppure una difficoltà di questi genitori a mostrare le loro problematicità. D’altro canto non si può negare l’ipotesi per cui questi genitori abbiano un funzionamento simile a quello dei genitori risolti per le aree indagate, oppure che i questionari self-report utilizzati non riescano a cogliere tali differenze. In aggiunta, il nostro campione riporta più bassi livelli di stress genitoriale e disregolazione delle emozioni, e più alti livelli di supporto sociale e coesione familiare rispetto ai campioni normativi, evidenziando un buon adattamento di questi genitori nonostante la diagnosi di L/PS del figlio. Tuttavia, emergono più bassi livelli di Flessibilità familiare, che indicano qualche difficoltà nella percezione della capacità di adattamento familiare, rispetto al campione normativo. In aggiunta, questi dai potrebbero dipendere da una difficoltà genitoriale di esprimere le proprie difficoltà oppure una tendenza deliberata a minimizzarle che, invece, la procedura multi-metodo e, in particolare, l’uso di un’intervista ci ha permesso di osservare. La regressione a due passi ha messo in luce il ruolo significativo delle variabili “oggettive” (tipo di malformazione, momento della diagnosi, tipo di allattamento e facial appareance) nello spiegare la varianza dell’RDI, oltre a quanto già spiegato dalle variabili “soggettive” (supporto sociale, disregolazione delle emozioni, adattamento di coppia e funzionamento familiare). Ha, inoltre, messo in luce il peso “unico” sull’RDI della percezione genitoriale del funzionamento familiare. Dall’utilizzo della scheda di codifica dell’RDI e le successive analisi dei dati è emerso che dei 17 indici di Risoluzione e Non risoluzione quelli maggiormente correlati con la classificazione RDI riguardano il riconoscimento dei cambiamenti emotivi e cognitivi dal momento della notizia della diagnosi e delle difficoltà della situazione, la mancanza dei ricordi del momento della diagnosi, la negazione dell’impatto della diagnosi sul genitore, i comportamenti di spostamento dell’attenzione verso argomenti diversi dalla diagnosi del bambino e la difficoltà ad esprimere le emozioni vissute in relazione alla diagnosi di L/PS. Questi dati fanno riflettere sulla possibilità che, a latere di una codifica categoriale, si possa pensare ad una scheda adattata alla specifica situazione che riesca a cogliere le sfumature della reazione emotiva dei genitori in merito alla peculiare patologia del bambino. Infine, non sono emerse differenze statisticamente significative tra genitori Risolti e Non risolti rispetto alla qualità dell’interazione madre-bambino, ma abbiamo messo in luce che una migliore interazione tra madre e bambino durante il pasto sembra essere correlata ad una maggiore capacità della famiglia ad adattarsi al cambiamento e alla migliore capacità materna di regolare le emozioni negative. In media, le diadi madre-bambino del nostro sotto-campione hanno mostrato una buona qualità dell’interazione alimentare durante il pasto, nella direzione degli studi che hanno evidenziato una buona qualità delle interazioni di attaccamento madre-bambino affetto da L/PS (Coy et al., 2002; Endriga e Speltz, 1997; Koomen e Hoeskman, 1991; Slade et al., 1999; Speltz et al., 1997). In conclusione, quanto messo in luce dal nostro studio segnala l’importanza di rivolgere l’attenzione sia alle caratteristiche oggettive della malformazione del bambino sia alle caratteristiche soggettive del funzionamento del genitore. In particolare, la diagnosi alla nascita, l’allattamento con tettarella e la diagnosi di labiopalatoschisi sembrano essere associate con la capacità genitoriale di elaborare l’esperienza della diagnosi di malattia del figlio. Un altro aspetto peculiare tra i genitori del presente studio, sono i più alti livelli di adattamento di coppia dei genitori Non risolti rispetto ai genitori Risolti e i livelli di flessibilità familiare del campione totale più bassi di quelli della popolazione normativa, che fanno ipotizzare un maggiore investimento nella relazione con il partner da parte dei genitori Non risolti e una minore capacità di adattamento alla nuova situazione nel campione totale. Per le altre variabili “soggettive” oggetto d’esame, il nostro campione ha mostrato un buon funzionamento, nonostante l’esperienza della diagnosi del figlio. Sembra, inoltre, che le madri tendano ad esprimere maggiore dolore e i padri ad essere maggiormente coartati nell’espressione delle emozioni in merito alla diagnosi del piccolo. Questo aspetto andrebbe fortemente tenuto in considerazione dagli specialisti che si occupano di comunicare la diagnosi o di aiutare i genitori ad elaborarla, in quanto esprime una diversa modalità delle madri e dei padri, seppure in entrambi i casi disfunzionale, di gestire le emozioni dolorose che riguardano l’esperienza della diagnosi di L/PS del figlio. Infine, le variabili “soggettive” e “oggettive” prese in esame sembrerebbero predire la capacità genitoriale di risoluzione dell’esperienza della diagnosi di malattia del bambino. Tuttavia, la reazione genitoriale non sembra essere in relazione con la qualità dell’interazione madre-bambino durante il pasto, mentre la flessibilità familiare e la capacità di regolare le emozioni negative sono aspetti correlati con una buona regolazione interattiva tra madre e bambino durante il pasto. Tali risultati per la natura trasversale di questo studio, non consentono di stabilire nessi causali tra le variabili esaminate, ma permettono di fare delle riflessioni rispetto al focus degli interventi precoci di carattere preventivo sui genitori dei bambini che ricevono una diagnosi di L/PS del figlio. Alcune considerazioni verranno presentate in merito alla struttura che ha preso in carico i partecipanti al nostro studio e che potrebbe aver positivamente influito sulla reazione emotiva di questi genitori. Indagini future, dovrebbero tenere conto della possibilità di meglio comprendere gli specifici aspetti che caratterizzano la relazione medico-paziente nei casi di bambini affetti da L/PS, e che potrebbero fungere da fattore di protezione per la capacità genitoriale di elaborare l’esperienza della diagnosi del figlio e, in ultima analisi, la qualità della relazione madre-bambino

    Late-adopted children grown up:A long-term longitudinal study on attachment patterns of adolescent adoptees and their adoptive mothers

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    This paper reports on a long-term follow-up of a longitudinal study conducted in Italy that assessed attachment patterns of late-adopted children (placed between 4 and 8 years old) and their adoptive mothers, in three phases: T1, at placement; T2, in childhood (7\u20138 months after adoption); and T3, in adolescence (current study). The following hypotheses were tested: 1) children\u2019 IWMs will shift from insecurity towards security in a long-term follow-up; and 2) there will be a significant association between adoptees\u2019 and adoptive mothers\u2019 IWMs in adolescence. Participants were 22 late-adopted adolescents (aged 11\u201316) and their adoptive mothers, all assessed in previous phases. Participants completed several measures of attachment, including the Separation-Reunion Procedure (T1, T2), Manchester Child Attachment Story Task (T2), Friends and Family Interview (T3), and Adult Attachment Interview (T1, T3). Late-adopted adolescents showed both an increase in attachment security and a decrease in disorganized attachment from childhood to adolescence. Adoptive mothers\u2019 (T3) secure states of mind were associated significantly to their adopted children attachment security in adolescence. These findings reinforce the importance of taking attachment into account for adoptive families from the beginning of adoption

    Skin to skin interactions. Does the infant massage improve the couple functioning?

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    Transition to parenthood is a critical stage of life due to several changes the couple has to handle. A large body of studies described how transition to parenthood can be linked to the onset of depressive symptoms, as well as the perception of a low social support, and an increased stress, representing a risk for the early mother—baby relationship. Infant Massage (IM) emerged as an helpful tool to improve maternal skills in interacting with the baby, and leading toward a decreasing of post partum symptoms. However, a growing body of literature highlights that men also may experience post-partum diseases, representing an additional risk for the development of the baby. To date, no study observed the impact of the infant massage on both partners. The aim of the current qualitative research is to observe the impact of the IM on a single couple of parents at childbirth. Pre (Time 1) and post-intervention (Time 3) procedure has been established to observe the changes occurring over the time in the couple. In particular, each member of the couple filled out the EPDS, the BDI-II, the MSPSS and the PSI-SF both at Time 1 and at Time 3. The treatment (Time 2) was represented by the IM training, and lasted 4 weeks. Findings revealed a decrease in depressive symptoms in both partners, as well as an improvement of their perception of stress related to parental role. No changes has been detected with respect to the perception of social support. The IM seems to be a helpful approach to prevent the establishment of pathological conditions in new parents. Although no direct measures on the child were used, the current qualitative data seem to suggest that the IM may represent a valuable tool to prevent the onset of early negative outcomes of the baby. Further investigations and empirical data are needed to improve the knowledge in this field

    Development and Implementation of the AIDA International Registry for Patients With Undifferentiated Systemic AutoInflammatory Diseases

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    Objective: This paper points out the design, development and deployment of the AutoInflammatory Disease Alliance (AIDA) International Registry dedicated to pediatric and adult patients affected by Undifferentiated Systemic AutoInflammatory Diseases (USAIDs). Methods: This is an electronic registry employed for real-world data collection about demographics, clinical, laboratory, instrumental and socioeconomic data of USAIDs patients. Data recruitment, based on the Research Electronic Data Capture (REDCap) tool, is designed to obtain standardized information for real-life research. The instrument is endowed with flexibility, and it could change over time according to the scientific acquisitions and potentially communicate with other similar tools; this platform ensures security, data quality and data governance. Results: The focus of the AIDA project is connecting physicians and researchers from all over the world to shed a new light on heterogeneous rare diseases. Since its birth, 110 centers from 23 countries and 4 continents have joined the AIDA project. Fifty-four centers have already obtained the approval from their local Ethics Committees. Currently, the platform counts 290 users (111 Principal Investigators, 179 Site Investigators, 2 Lead Investigators, and 2 data managers). The Registry is collecting baseline and follow-up data using 3,769 fields organized into 23 instruments, which include demographics, history, symptoms, trigger/risk factors, therapies, and healthcare information access for USAIDs patients. Conclusions: The development of the AIDA International Registry for USAIDs patients will facilitate the online collection of real standardized data, connecting a worldwide group of researchers: the Registry constitutes an international multicentre observational groundwork aimed at increasing the patient cohort of USAIDs in order to improve our knowledge of this peculiar cluster of autoinflammatory diseases

    Italian Guidelines in diagnosis and treatment of alopecia areata

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    Alopecia areata (AA) is an organ-specific autoimmune disorder that targets anagen phase hair follicles. The course is unpredictable and current available treatments have variable efficacy. Nowadays, there is relatively little evidence on treatment of AA from well-designed clinical trials. Moreover, none of the treatments or devices commonly used to treat AA are specifically approved by the Food and Drug Administration. The Italian Study Group for Cutaneous Annexial Disease of the Italian Society of dermatology proposes these Italian guidelines for diagnosis and treatment of Alopecia Areata deeming useful for the daily management of the disease. This article summarizes evidence-based treatment associated with expert-based recommendations

    Understanding Factors Associated With Psychomotor Subtypes of Delirium in Older Inpatients With Dementia

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