98 research outputs found

    Impact and a Novel Representation of Spatial Data Uncertainty in Debris Flow Susceptibility Analysis

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    In a study of debris flow susceptibility on the European continent, an analysis of the impact between known location and a location accuracy offset for 99 debris flows demonstrates the impact of uncertainty in defining appropriate predisposing factors and consequent analysis for areas of susceptibility. The dominant predisposing environmental factors, as determined through Maximum Entropy modeling, are presented and analyzed with respect to the values found at debris flow event points versus a buffered distance of locational uncertainty around each point. Maximum Entropy susceptibility models are developed utilizing the original debris flow inventory of points, randomly generated points, and two models utilizing a subset of points with an uncertainty of 5 km, 1 km, and a model utilizing only points with a known location of “exact”. The AUCs are 0.891, 0.893, 0.896, 0.921, and 0.93, respectively. The “exact” model, with the highest AUC, is ignored in final analyses due to the small number of points and localized distribution, and hence susceptibility results are likely non-representational of the continent. Each model is analyzed with respect to the AUC, highest contributing factors, factor classes, susceptibility impact, and comparisons of the susceptibility distributions and susceptibility value differences. Based on model comparisons, geographic extent, and the context of this study, the models utilizing points with a location uncertainty of less than or equal to 5 km best represent debris flow susceptibility for the continent of Europe. A novel representation of the uncertainty is expressed and included in a final susceptibility map, as an overlay of standard deviation and mean of susceptibility values for the two best models, providing additional insight for subsequent action

    Evoluzione quaternaria del bacino di Leonessa (Rieti)

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    Il bacino di Leonessa è una delle maggiori depressioni tettoniche intermontane dell’Appennino Centrale. A differenza dalle altre depressioni, disposte in direzione appenninica con la faglia bordiera principale sul lato orientale, il bacino è orientato in senso WNW - ESE ed ha la faglia bordiera principale sul suo margine sud-occidentale. Il più antico deposito di origine continentale che riempie la depressione non è affiorante ed è stato rinvenuto solo in alcuni sondaggi. E’ costituito da alternanze di sabbie-argillose e ghiaie (attribuite da GE.MI.NA. ad un generico Pliocene). I sedimenti affioranti sono stati distinti in sintemi. Quello stratigraficamente più basso è il Sintema di Villa Pulcini, costituito da un alternanza di argille, argille torbose, marne e sabbie argillose di ambiente deposizionale da lacustre a piana a canali intrecciati (braided plain), attribuibili alla parte alta del Pleistocene inferiore. Il Sintema di Villa Pulcini è parzialmente coperto dal Sintema di Leonessa, costituito da depositi di conoide alluvionale (conoide della Vallonina) a ovest e da depositi lacustri a est, ambedue contenenti, nella parte alta, intercalazioni di vulcaniti risedimentate. Il ritrovamento di un molare di M. (M.) trogontherii all’interno di depositi alluvionali consente di riferire al Galeriano (U.F. Slivia - ? U.F. Fontana Ranuccio) la porzione basale del sistema. I due sintemi precedenti sono coperti a tratti da sabbie e sabbie argillose rossastre (Sintema di Terzone), con spessore che raramente supera i 5 metri, ricche di elementi vulcanici rimaneggiati. Nella parte più meridionale del bacino, all’interno della profonda incisione del Fosso Tascino, sono localmente presenti due ordini di terrazzi alluvionali. Attualmente il Fosso Tascino mostra un tipico esempio di letto a canali intrecciati (braided), con una piana che supera i 100 m di larghezza. Nella zona di raccordo tra il versante NE del Monte Tilia e i Sintemi di Leonessa e di Terzone, sono stati riconosciuti due ordini di conoidi alluvionali sovrapposti, costituiti in prevalenza da sedimenti ghiaiosi con una minore componente sabbiosa, poggianti in discordanza sui sedimenti più antichi. La definizione degli eventi erosivo-deposizionali che hanno contraddistinto l’evoluzione del paesaggio nel bacino di Leonessa costituisce un passo ulteriore verso un più preciso inquadramento temporale dell’attività tettonica distensiva, del sollevamento regionale e dei cambiamenti climatici che hanno portato all’attuale assetto geomorfologico dell’Appennino Centrale

    Geomorphic signatures of recent normal fault activity versus geological evidence of inactivity: case studies from the central Apennines (Italy)

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    We have here analysed two normal faults of the central Apennines, one that affects the south-western slopes of theMontagna dei Fiori–Montagna di Campli relief, and the other that is located along the south-western border of the Leonessa intermontane depression. Through this analysis, we aim to better understand the reliability of geomorphic features, such as the fresh exposure of fault planes along bedrock scarps as certain evidence of active faulting in the Apennines, and to define the Quaternary kinematic history of these tectonic structures. The experience gathered from these two case studies suggests that the so-called ‘geomorphic signature’ of recent fault activity must be supported by wider geomorphologic and geologic investigations, such as the identification of displaced deposits and landforms not older than the Late Pleistocene, and/or an accurate definition of the slope instabilities. Our observations indicate that the fault planes studied are exposed exclusively because of the occurrence of non-tectonic processes, i.e. differential erosion and gravitational phenomena that have affected the portions of the slopes that are located in the hanging wall sectors. The geological evidence we have collected indicates that the Montagna dei Fiori–Montagna di Campli fault was probably not active during the whole of theuaternary, while the tectonic activity of the Leonessa fault ceased (or strongly reduced) at least during the Late Pleistocene, and probably since the Middle Pleistocene. The present lack of activity of these tectonic structures suggests that the fault activation for high magnitude earthquakes that produce surface faulting is improbable (i.e.Mw5.5–6.0, with reference to the Apennines, according toMichetti et al. [Michetti, A.M., Brunamonte, F., Serva, L.,Vittori, E. (1996), Trench investigations of the 1915 Fucino earthquake fault scarps (Abruzzo, Central Italy):geological evidence of large historical events, J. Geoph. Res.,101, 5921–5936; Michetti, A.M., Ferreli, L., Esposito, E.,Porfido, S., Blumetti, A.M., Vittori, E., Serva, L., Roberts, G.P. (2000)]). If, according to the current view, the shifting of the intra-Apennine extension towards the Adriatic sectors is still active, the Montagna dei Fiori–Montagna di Campli fault might be involved in active extensional deformation in the future

    Permafrost-based geomorphology of the Mt. Foscagno - Mt. Forcellina ridge (Adda–Inn River basins, Central Italian Alps)

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    The permafrost-based geomorphological map of the Mt. Foscagno–Mt Forcellina ridge (Central Italian Alps) shows the distribution of permafrost probability (high, medium, low probability, and probable absence) obtained by the application of PERMACLIM (Guglielmin et al., 2003), a GIS-based model integrating Digital Elevation Model (DEM) topographic data and the Climatic DataBase (CDB) available from Automatic Weather Stations (AWS). In addition, the map provides information on the outcropping bedrock, the genesis and grain size of near-surface deposits, and geomorphological features with particular reference to periglacial and glacial landforms. Moreover, the map represents locations and values of ground measurements, Bottom Temperature of winter Snow cover (BTS) and Vertical Electric Soundings (VES), and the Mean Annual Air Temperature (MAAT; Guglielmin et al., 2003)

    Analisi dell’attività quaternaria delle faglie normali della Montagna dei Fiori e del bacino di Leonessa

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    La definizione dell’attività di strutture tettoniche è un pre-requisito fondamentale per la comprensione delle caratteristiche sismotettoniche di un settore del territorio italiano che, come l’Appennino centrale, è stato interessato in tempi storici da eventi sismici di elevata magnitudo. Dunque, l’individuazione e la caratterizzazione dell’attività tardopleistocenica-olocenica di faglie potenzialmente responsabili di forti terremoti è di cruciale importanza in un’ottica di valutazione della pericolosità sismica. Nel presente lavoro vengono analizzate due faglie normali che interessano l’Appennino centrale, la faglia normale che delimita ad ovest la Montagna dei Fiori, uno dei rilievi più esterni della catena, e quella che borda a sud-ovest il bacino di Leonessa, con l’obiettivo di dare un contributo per una migliore definizione delle caratteristiche sismotettoniche di questo settore del territorio nazionale. La faglia normale della Montagna dei Fiori è una struttura lunga almeno 15 km la cui attività è stata responsabile della dislocazione di circa 900 m del substrato carbonatico. Il piano di faglia e la scarpata ad esso associata sono visibili in modo discontinuo lungo il versante. I rilevamenti geologici e geomorfologici effettuati chiariscono come l’esposizione del piano di faglia sia esclusivamente legata a fenomeni gravitativi, anche di grandi dimensioni, che interessano le formazioni calcareo-marnose (Scaglia Cinerea, Marne con Bisciaro, Marne con Cerrogna) affioranti al tetto della struttura, e a fenomeni di erosione selettiva fra le formazione della successione umbro-marchigiana affioranti al letto ed al tetto. La faglia, inoltre, è sigillata da una paleosuperficie di origine erosiva sospesa varie centinaia di metri al di sopra del fondovalle attuale del fiume Salinello (in località Colle Osso Caprino) e da brecce di versante (in località Pozzoranno) associabili a quelle riconosciute in modo ubiquitario in Appennino entrale ed attribuite al Pleistocene inferiore. Come per il caso della Montagna dei Fiori, il piano della faglia bordiera del bacino di Leonessa è visibile in modo discontinuo lungo i versanti che delimitano il settore meridionale della depressione. I nostri rilevamenti di terreno ci consentono di attribuire l’esposizione del piano i) a fenomeni gravitativi che interessano la fascia detritica depostasi alla base della scarpata di faglia e ii) a fenomeni di erosione selettiva fra i detriti ed il substrato carbonatico affiorante al letto della struttura tettonica, ad opera di corsi d’acqua perpendicolari al versante. Depositi di conoide alluvionale (“conoide alluvionale di Leonessa”) attribuiti da alcuni autori ad un contesto cronologico compreso fra la fine del Pleistocene inferiore ed il Pleistocene medio e che determinano una superficie terrazzata chiaramente visibile in tutto il bacino, non sembrano essere stati interessati (né dislocati né basculati) dall’attività di tale faglia. Inoltre, ulteriori due ordini di conoide alluvionale depostisi al di sopra di quello sopra citato ed attribuibili tentativamente al Pleistocene superiore, sigillano chiaramente la struttura tettonica. Dunque, dalle nostre osservazioni si evince che, per quello che riguarda la faglia normale della Montagna dei Fiori, tale struttura tettonica non risulta essere attiva almeno a partire dal Pleistocene inferiore e che l’esposizione del piano di faglia è esclusivamente legata a fenomeni gravitativi e di morfoselezione. Ciò corroborerebbe quanto proposto da altri autori che attribuiscono a questa struttura tettonica esclusivamente un’attività pre- e sin- fase tettonica compressiva. Per quello che riguarda il bacino di Leonessa, è possibile ipotizzare che la faglia bordiera sia stata attiva fino al Pleistocene inferiore, creando lo spazio per l’accumulo dei depositi del conoide alluvionale di Leonessa. L’attività sarebbe poi terminata, o quantomeno si sarebbe ridotta ad un tasso decisamente inferiore a quello degli agenti morfodinamici, a partire dal Pleistocene medio

    Evidenze di fagliazione inversa quaternaria nel settore ionico nord-orientale della Calabria (Rossano Calabro)

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    Il settore dell’arco Calabro è interessato da sistemi di faglie normali attive, responsabili di forti terremoti storici di Magnitudo superiore a 6. Gli eventi sismici maggiori sono avvenuti principalmente tra lo stretto di Messina e la valle del Crati. Tra questi il terremoto del 1783 (M=6.9), del 1905 (M=7.3), del 1638 (M=6.7), del 1832 (M=6.5) e del 1836 (M=6.2) (Working Group CPTI 04). Alcuni di questi eventi sono stati associati all’attivazione di alcune strutture tettoniche (Galli & Scionti 2006; Galli & Bosi 2002; Valensise & Pantosti 2001). L’evento del 1836, che ha colpito il settore nord-orientale della Calabria, poco a sud della piana di Sibari, è stato associate tentativamente da Moretti (2000) all’attivazione di una serie di segmenti di faglia orientati E-W e NW-SE individuati tra Corigliano e Rossano. Questo lavoro ha come scopo quello di individuare strutture sismogenetiche attive nell’area colpita dall’evento sismico del 1836 ed, in particolare, quelle causative dell’evento sismico del 1836. A tal fine sono stati effettuati rilevamenti geologici e geomorfologici, con particolare riguardo alla zona dell’abitato di Mirto, poco a sud della città di Rossano Calabro, dove uno scavo ha messo in evidenza depositi di origine marina in facies deltizia, datati per via paleontologica ad un’età non più antica dell’Emiliano (Pleistocene inferiore), dislocati da una struttura tettonica ad orientazione circa NNW-SSE, a cinematica prevalentemente inverse, con senso di trasporto verso SSW. La dislocazione sembra interessare anche depositi continentali fluvio-colluviali incassati all’interno dei depositi deltizi e separati da questi da una superficie di erosione. Da questi sedimenti continentali è stato prelevato un campione per effettuare una datazione radiometrica, ancora in corso. La localizzazione di questa struttura tettonica è compatibile con l’ubicazione della zona epicentrale del terremoto del 1836, derivata dai dati macrosismici (CPTI 04). Inoltre, lungo il lineamento, pochi km a nord dello scavo studiato, in località Cento Fontane, viene segnalata risorgenza di acque calde in occasione dell’evento sismico menzionato

    The Paganica Fault and surface coseismic ruptures caused by the 6 april 2009 earthquake (L’Aquila, central Italy)

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    On 6 April 2009, at 01:32 GMT, an Mw 6.3 seismic event hit the central Apennines, severely damaging the town of L’Aquila and dozens of neighboring villages and resulting in approximately 300 casualties (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, http://www.ingv.it; MedNet, http://mednet.rm.ingv.it/proce- dure/events/QRCMT/090406_013322/qrcmt.html). This earth- quake was the strongest in central Italy since the devastating 1915 Fucino event (Mw 7.0). The INGV national seismic net- work located the hypocenter 5 km southwest of L’Aquila, 8–9 km deep. Based on this information and on the seismotectonic framework of the region, earthquake geologists traveled to the field to identify possible surface faulting (Emergeo Working Group 2009a, 2009b). The most convincing evidence of pri- mary surface rupture is along the Paganica fault, the geometry of which is consistent with seismological, synthetic aperture radar (SAR) and GPS data. Investigation of other known nor- mal faults of the area, i.e., the Mt. Pettino, Mt. San Franco, and Mt. Stabiata normal faults suggested that these structures were not activated during the April 6 shock (Emergeo Working Group 2009a, 2009b). In this report, we first describe the seismotectonic frame- work of the area, and then we present the field information that supports the occurrence of surficial displacement on the Paganica fault.Published940-9503.2. Tettonica attivaJCR Journalope
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