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    La aventura de la fotografía como arte de la moda

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    La moda y la fotografía, ya a mediados del siglo XIX, son dos fetiches perfectos paraexpresar el alma del Modernismo que se avecina y ambas incorporan, de manera ejemplar,ciertas transformaciones en el vestir y en la estética de la contemporaneidad que caracterizan,profundamente, el inicio del siglo XX. Durante el siglo XIX, sin embargo, la fotografía compite,ferozmente, con la tradición pictórica para compartir un espacio demasiado estrecho para dospretendientes exigentes: el del Arte. Por lo tanto, antes de convertirse en una de las herramientas claves para la construcción de un imaginario de la moda, la fotografía busca su identidad,durante varias décadas, en un proceso que la llevará a la industria de la moda entre la intuiciónbrillante de diseñadores geniales, pioneras empresas editoriales y primeros ejemplos de profesionalidad de autor.Since mid-nineteenth century, fashion and photography are two perfect fetishes forexpressing the soul of coming Modernism. Both incorporate, in an exemplary manner, certainchanges in dressing and contemporary aesthetics that characterize deeply, the beginning of thetwentieth century. During the nineteenth century, however, the photography competes fiercelywith the pictorial tradition to share a space too narrow for two demanding suitors. Therefore,before becoming one of the key tools for the construction of an imaginary fashion, photography seeks its identity for several decades, following a process that will take it to the fashion industry among the brilliant intuition of great designers, publishers and author design. pioneersA moda e a fotografia, já ao mediados do século XIX, são dois fetiches perfeitos paraexpressar a alma do Modernismo que se aproxima e as duas incorporam, de maneira exemplar,certas transformações no vestir e na estética da contemporaneidade que caracterizam, profundamente, o início do século XX. Durante o século XIX, sem embargo, a fotografia compete,ferozmente, com a tradição pictórica para compartilhar um espaço muito estreito para dois pretendentes exigentes: o espaço da Arte. Portanto, antes de se converter numa das ferramentaschave para a construção de um imaginário da moda, a fotografia procura sua identidade, durantevárias décadas, num processo que a levará à indústria da moda entre a intuição brilhante de designers geniais, pioneiras empresas editoriais e primeiros exemplos de profissionalismo de autor

    Album di famiglia e scrapbook vittoriani. Fotografia e femminismo nella seconda metà dell’Ottocento

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    Nel contesto vittoriano di metà Ottocento, la possibilità di acquistare e collezionare piccoli ed economici ritratti fotografici diede vita alla moda di realizzare album di famiglia e scrapbook giustapponendo fotografie a disegni a scritture. Le donne aristocratiche che sperimentarono queste pratiche gli attribuirono la forza di uno strumento identitario e di gender politics in cui corpo, performatività e azione costituirono la possibilità di manipolare in modo trasgressivo le dimensioni dello spazio e del tempo. Il saggio approfondisce queste esperienze di tipo fotografico prendendo in esame due casi studio principali: l’album di Lady Charlotte Milles (1835-1927), e quello di Georgina Berkeley (1831-1919), per darne una lettura in cui la storia della fotografia e dell’arte contemporanea intrecciano i gender e i feminist studies. In quest’ottica, il recupero di attività marginali e amatoriali permette di valorizzare sperimentazioni extra-artistiche, quali furono gli scrapbook vittoriani, nel loro aurorale uso concettuale della fotografia. Pur trattandosi di un esercizio circoscritto storicamente e socialmente, gli album realizzati dalle donne vittoriane mostrarono la forza della fotografia nelle sue implicazioni autobiografiche, identitarie e dell’immaginario, con l’obiettivo di negoziare l’invisibilità a cui erano state destinate ma, al tempo stesso, dando vita ad azioni, esperienze e idee che solo l’arte contemporanea avrebbe reso praticabili.In the Victorian context of the mid-nineteenth century, the possibility of buying and collecting small and cheap photographic portraits gave life to the fashion of making family albums and scrapbooks by juxtaposing photographs with drawings and writings. The aristocratic women who experimented with these practices attributed the strength of an identity and gender politics tool to them, in which body and performativity uncovered the possibility of manipulating the dimensions of space and time in a transgressive way. This essay explores these photographic experiences by examining two case studies in particular: the album of Lady Charlotte Milles (1835-1927), and that of Georgina Berkeley (1831-1919), to give a reading in which the history of photography and contemporary art intertwine with the feminist and gender studies. From this point of view, the recovery of marginal and amateur activities makes it possible to enhance extra-artistic experiences, such as the Victorian scrapbooks, in their early conceptual use of photography. Although such practices were bound to a limited social and historical context, the albums made by Victorian women showed the power of photography in its autobiographical, identity and imaginary meanings, with the aim of negotiating the invisibility to which they were destined but, at the same time, giving life to actions, experiences and ideas that only contemporary art would have made possible

    Memorie cinefotografiche. La sindrome archiviale della modernità

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    La sindrome dell’uomo moderno, che Jacques Derrida ha definito “un mal d’archivio” e Hal Foster “un impulso archiviale”, dal 1839 ha generato un inedito stimolo al mantenimento visivo: dai grandi dispositivi di schedatura per il controllo e l’ordine fino alla volontà di cristallizzazione della propria identità nell’album di famiglia. Alcune esperienze visive della memoria cinefotografica sono utili a individuare due grandi necessità contigue e diverse che alimentano questa sindrome: il collezionismo e l’archiviazione. Necessità entrambe passate, contaminandola, in molta produzione dell’arte contemporanea

    riassunto esiti prove scritte frequantanti triennio 2010-2011

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    tra parentesi il numero di prove POSITIVE superate e di seguito col simbolo + il numero delle relative prove con esito molto positivo

    Il corpo delle donne e la censura: da Ida Dalser a Cindy Sherman

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    La dimensione della corporalit\ue0 \ue8 da sempre, da un punto di vista culturale come da quello filosofico e infine religioso, associata al mondo al femminile. In questo senso il corpo delle donne \ue8 stato tradizionalmente vissuto come l\u2019interfaccia della loro identit\ue0: sia che venisse collegato alla realt\ue0 mondana e terrena dell\u2019esperienza umana, sia che fosse vincolato alle perversioni del peccato come ai limiti dell\u2019irrazionalit\ue0, del disordine, del sentimentalismo. Dagli scritti di Simone de Beauvoir in poi il corpo delle donne \ue8 divenuto sinonimo di esperienza, conoscenza, definizione identitaria. E delle donne, si \ue8 detto, che sono culturalmente corporee. Cos\uec, tenute a margini della cultura ufficiale, le donne hanno spesso \u201ccoltivato\u201d quest\u2019isolamento come paradossale campo di rivendicazione di un\u2019autonomia borderline e di un\u2019attiva sperimentazione delle proprie esigenze esistenziali ed estetiche. Quella che avrebbe dovuto, e lo era, essere una condizione d\u2019inferiorit\ue0 e di frustrazione, di claustrofobia e di negazione, ha cos\uec potuto invece costituirsi come un\u2019arma di incredibile vantaggio su chi, gli uomini, erano gi\ue0 allineati al sistema, al sistema appartenevano naturalmente e culturalmente. Ma quando la rimozione che la cultura occidentale aveva effettuato nei confronti del gesto e del corpo subisce un ribaltamento, e questo avverr\ue0 in specie a partire dall\u2019estetica novecentesca (fenomenologica in primis e con il suo apice in autori quali John Dewey e Maurice Merleau-Ponty), allora la dimestichezza e la familiarit\ue0 delle donne con le dinamiche del corpo le predisporr\ue0 quasi in posizione di imprevedibile vantaggi

    Obiettivi di viaggio. Introduzione generale

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    Introduzione al tema del viaggio fotografico secondo le linee strutturali offerte da una riflessione di John Dewey e dalla sua defizione delle dimensioni dei transiti, delle partenze e dei ritorni individuabili soprattutto nelle poetiche degli anni Settanta e Novanta

    L'esotico fotografico. Il kitsch e l'animalier da Wilhelm Von Gloeden a David LaChapelle

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    Il termine esotico entrò nell’uso della lingua inglese nel XVI secolo per indicare la necessità di dover classificare e definire qualcosa che stava “fuori” (diverso, sconosciuto) rispetto a un “dentro” considerato la norma stabilita dalla cultura e dalla società del tempo1. In questo senso lo stile occidentale (che era normale e abitudinario) si oppose a quello orientale (che era esotico ed eccentrico) in modo complementare, e progressivamente due immaginari si contrapposero l’un l’altro: uno definito dal moralismo che caratterizzerà l’azione civilizzatrice delle future potenze coloniali, e l’altro dalla fascinazione erotica per un Oriente ancora nei fatti poco conosciuto. Grandi autori come Gérard de Nerval e Gustave Flaubert contribuirono con le loro opere a costruire lo stereotipo dell’esotico e del lontano2, così come nelle parole di Victor Segalen l’esotismo si definì in una estetica del diverso: “tutto ciò che fino ad oggi è stato definito estraneo, insolito, inatteso, sorprendente, misterioso, amoroso, sovrumano, eroico e perfino divino, tutto ciò che è Altro”.3 Questo territorio mentale del sogno e del desiderio era popolato da animali, uomini e donne mostruosi e stravaganti, immaginati secondo una combinazione complessa di finzione e realtà che contaminò le espressioni artistiche e le produzioni creative dell’abbigliamento, degli arredi, delle decorazioni e dei tessuti
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