74 research outputs found

    Formule proverbiali latine nei <i>Sonetti</i> di G. G. Belli

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    Non è infrequente incontrare, nei Sonetti di G. G. Belli, l'uso di frasi latine che ricalcano motti proverbiali e che, nel corso dei singoli componimenti, vengono riportate o nella formulazione originale, o in traslitterazione romanesca. Nel primo caso la loro forma rimane sostanzialmente immutata (salvo rari casi di voluta deformazione o di sostituzione burlesca di uno o più termini, come si vedrà più avanti), nel secondo invece, per mezzo del gioco sottile dell' assonanza e della omofonia, il risultato sarà quello della deformazione fonetica o semantica che, di volta in volta, si presterà a soluzioni ora umoristiche e divertenti, ora collocate su di un piano di pensosa considerazione sulle vicende descritte. Il linguaggio popolare cui il Belli si ispira è, per sua stessa natura, arguto e sentenzioso anche quando si parla di cose senza importanza; perciò il ricorso al motto proverbiale - soprattutto in chiusura di sonetto - è frequentissimo nel corso di tutta la raccolta nella quale di gran lunga più numerosi sono i proverbi in romanesco, rarissimi quelli imprestati dalla lingua italiana e, infine, abbastanza frequenti quelli suggeriti da un'analoga frase o modo di dire latino

    La Tabula bronzea di Esterzili: CIL X, 7852 = ILS 5947

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    L'autore offre la trascrizione della Tavola bronzea e la sua traduzione italiana, dandone inoltre un'analisi dettagliata del contenuto

    Il Tema del viaggio nella commedia di Plauto

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    Nella commedia di Plauto, non diversamente da quanto accade per molti altri autori di teatro, la vicenda narrata in genere si sviluppa su due diversi livelli: o come sovrapposizione dell'immaginario sul reale oppure, talvolta, come rappresentazione anche caricaturale della realtà che permette allo spettatore di cogliere, attraverso le vicende dei personaggi che agiscono sulla scena, taluni aspetti di vita quotidiana nei quali chiunque potrebbe verisimilmente essere coinvolto. In questa sede ci si propone di analizzare, nella palliata plautina, il tema del viaggio inteso non solo come racconto di luoghi visitati, di gente incontrata, di eventi accaduti, ma anche e soprattutto presentato in chiave metaforica. Le funzioni primarie del viaggio in Plauto - oltre, naturalmente, quella del topos letterario - consistono nell'allontanare un personaggio dalla scena teatrale, o nel farlo improvvisamente ritornare a seconda dell'esigenza scenica, della necessità di movimentare una situazione divenuta troppo statica o, al contrario, di ridare ordine ad eventi che, senza un accadimento improvviso, rischierebbero di divenire troppo caotici oppure di impedire la soluzione finale della trama. Il viaggio non interviene mai come elemento estraneo o come variante al racconto ed alla trama, ma si inserisce in un disegno ordinato ed organico e secondo uno schema che, in quel preciso momento, prevede proprio quel determinato elemento

    Il Latino biblico ed ecclesiastico nei sonetti di G. G. Belli

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    In una nota autografa ad un sonetto Belli afferma che «non è infrequente, in una Roma, l'uso di modi latini, dove tutta la vita si conduce all'uopo di adagi, accomodati ad ogni sorta di avvenimenti». Ed in realtà al lettore che affronti la lettura del «Commedione» belliano accade non di rado di imbattersi in parole, frasi intere, adagi e motti tratti non dalla conoscenza diretta di autori della letteratura latina, bensì, per la maggior parte dei casi, dal linguaggio burocratico-pontificio, da quello ecclesiastico e liturgico e da quello biblico, evangelico e delle preghiere e litanie in lingua latina assai diffuse anche presso i ceti popolari, dei quali Belli è il portavoce, nella Roma della prima metà dell'800

    Umanisti e cultura classica nella Sardegna del '500: 1.: Il "Llibre de spoli" di Nicolò Canyelles

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    Il manoscritto di cui offro qui la trascrizione integrale e la prima edizione critica è conservato nella biblioteca privata degli eredi del prof. Ovidio Addis a Cagliari: se ne ignora la provenienza. Se ne deve la segnalazione, in primo luogo, al canonico Giovanni Spano, emerito studioso della Sardegna e delle sue antichità; e, poi, a E. Toda y Güell e a L. Balsamo: ma, come avrò modo di precisare in seguito, l'indicazione offerta dallo studioso spagnolo, lungi dall'essere precisa, solleva una serie di problemi circa la sua attendibilità e fa sorgere legittimamente il dubbio se egli intendesse realmente indicare il manoscritto in questione; l'ultima, infine, appare imprecisa e probabilmente deriva da una notizia di seconda mano

    Lingua latina e lingua sarda nella <i>In Sardiniae Chorographiam</i> di Giovanni Francesco Fara

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    La Chorographia Sardiniae di Giovanni Francesco Fara può considerarsi a pieno diritto la prima opera geografica, basata su criteri scientifici, scritta sulla Sardegna. E' ben vero che, prima del Fara, già Sigismondo Arquer aveva intrapreso, nell'operetta intitolata Sardiniae brevis historia et descriptio, inclusa nella Cosmographia Universalis di Sebastiano Münster, un primo tentativo di tracciare una storia dell'isola insieme ad una sommaria descrizione geografica: si tratta, però, di poco più che un abbozzo che l'autore - se altre e drammatiche circostanze non ve l'avessero distolto - si riprometteva di completare, ampliare e riscrivere completamente. In questa sede, mi propongo di fornire alcuni cenni sulla lingua della Chorographia Sardiniae di Giovanni Francesco Fara

    Studi sul <i>De compendiosa doctrina</i> di Nonio Marcello

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    Con questo studio si è ritenuto utile affrontare la problematica relativa alla composizione del De compendiosa doctrina, confrontando sempre la ricostruzione fornita da Lindsay con l'effettivo stato del testo. Ne scaturisce un quadro che, pur non stravolgendo del tutto le teorie dello studioso inglese (al quale, vogliamo ribadirlo, gli studi su Nonio devono tanto), mostra tuttavia quanto di aleatorio, di incerto e di ancora da verificare vi sia in esse, sia per quanto riguarda l'individuazione delle sequenze di autori, sia per quanto riguarda l'identificazione stessa di alcune fonti, talora proposte da Lindsay senza alcun supporto sicuro

    Umanisti sassaresi del '500: le "biblioteche" di Giovanni Francesco Fara e Alessio Fontana

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    Questo libro avvia un piano molto ambizioso articolato su due direttrici: la prima vorrebbe avere come punto d'arrivo la pubblicazione di tutti gli inventari librari redatti in Sardegna nel corso del XVI secolo, al fine di offrire agli studiosi della cultura scritta nell'isola un corpus il piu possibile completo di tutto il patrimonio librario esistente in questo stesso periodo in Sardegna. La seconda, che si spera di completare entro il 1991, si propone l'edizione critica (ormai già avviata) ddle opere di Giovanni Francesco Fara, il fondatore della conoscenza scientifica della storia e della geogrofia della Sardegna. In particolare questo volume è dedicato a due personalità sassaresi che si formarono culturalmente prima che nella nostra città venisse aperto il collegio gesuitico destinato a diventare, nei primi decenni del 1600, l'Università di Sassari. Essi sono rappresentativi di un gruppo non molto folto di intellettuali sardi che compirono gli studi in uno dei due versanti allora aperti ai giovani desiderosi di istruzione, quello spagnolo e quello italiano. Al primo si rivolse Alessio Fontana che, pur inserito nella burocrazia imperiale al servizio del principe reggente Filippo e dello stesso imperatore Carlo V, si mantenne costantemente attento ai fermenti della cultura classica del tardo Rinascimento mediata attraverso la visione erasmiana. Giovanni Francesco Fara invece, attratto dal versante culturale italiano, fu uno dei circa 150 studenti sardi che si graduarono nello Studium pisano. La sua formazione accademica lo portava ad essere un cultore del diritto: di fatto, proprio l'esigenza di una più approfondita conoscenza del giure lo stimolò, nel contesto specifico sardo, allo studio della storia dell'isola, per la prima volta sostanziato da un'ampia documentazione archivistica. L'ulteriore stadio di tale processo lo condusse infine ad una minuziosa e realistica descrizione geografica della Sardegna, essa stessa indispensabile sostrato e completamento della ricerca storica. Di entrambi gli autori viene offerta, in questo volume, l'edizione critica dell'inventario delle rispettive biblioteche, sinora inedito

    Umanisti e cultura classica nella Sardegna del '500: 2.: Il "Llibre de spoli" del arquebisbe don Anton Parragues de Castillejo

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    La presente edizione si colloca all'interno del progetto, iniziato a metà degli anni '80, di pubblicare tutti gli inventari librari della Sardegna del XVI secolo; perciò dopo quelli di Alessio Fontana e Giovanni Francesco Fara e di Nicolò Canyelles vede ora la luce lo spoglio dei beni dell'arcivescovo di Cagliari Antonio Parragues de Castillejo che contiene una delle più interessanti attestazioni sulla circolazione libraria sarda della seconda metà del Cinquecento

    Umanisti e cultura classica nella Sardegna del '500: 3.: L'inventario dei beni e dei libri di Monserrat Rosselló

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    Nel 1987, nel corso di una visita all'Archivio di Stato di Cagliari alla ricerca di documenti inediti su Giovanni Francesco Fara, avemmo modo di prendere visione del ricchissimo inventario (dei beni e librario) di Monserrat Rosselló e di ottenerne poco tempo dopo una copia fotografica. Prendeva allora corpo il progetto, che ormai si avvia a compimento, di pubblicare tutti i principali inventari librari della Sardegna del XVI secolo, in particolare quelli di Fontana, Fara, Canyelles, Parragues e Rosselló, al fine di indagare su due problematiche principali, quella della circolazione libraria e della diffusione della cultura classica nell'isola. Con l'opera che ora presentiamo, a cura di chi scrive e di Maria Teresa Laneri che ha preparato l'edizione critica dell'inventario, si chiude il ciclo iniziato con la pubblicazione del volume di Fara e Fontana (Sassari 1988), di Canyelles (Sassari 1989) e di Parragues (Sassari 1993), nella speranza che la nostra fatica possa risultare utile a chiarire i rapporti complessi che corrono tra la cultura europea del XVI secolo e quella della nostra isola. Sino a non molto tempo fa si credeva che l'isolamento - geografico e culturale - del quale la Sardegna soffriva e l'assenza di strutture sociali e civili al livello delle altre regioni del vecchio continente avessero creato una sorta di barriera alla circolazione delle idee e della cultura, il che è forse stato delineato meglio attraverso la pubblicazione di una serie di opere con le quali crediamo di aver offerto il nostro contributo negli ultimi anni
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