Università degli studi di Sassari, [Istituto di Filologia classica] – Edizioni Gallizzi
Abstract
Non è infrequente incontrare, nei Sonetti di G. G. Belli, l'uso
di frasi latine che ricalcano motti proverbiali e che, nel corso dei singoli
componimenti, vengono riportate o nella formulazione originale, o in
traslitterazione romanesca. Nel primo caso la loro forma rimane sostanzialmente
immutata (salvo rari casi di voluta deformazione o di sostituzione
burlesca di uno o più termini, come si vedrà più avanti), nel secondo
invece, per mezzo del gioco sottile dell' assonanza e della omofonia, il
risultato sarà quello della deformazione fonetica o semantica che, di
volta in volta, si presterà a soluzioni ora umoristiche e divertenti, ora
collocate su di un piano di pensosa considerazione sulle vicende descritte.
Il linguaggio popolare cui il Belli si ispira è, per sua stessa natura,
arguto e sentenzioso anche quando si parla di cose senza importanza;
perciò il ricorso al motto proverbiale - soprattutto in chiusura di sonetto
- è frequentissimo nel corso di tutta la raccolta nella quale di
gran lunga più numerosi sono i proverbi in romanesco, rarissimi
quelli imprestati dalla lingua italiana e, infine, abbastanza frequenti
quelli suggeriti da un'analoga frase o modo di dire latino