63 research outputs found

    Agronomic, nutritional and nutraceutical aspects of durum wheat (Triticum durum Desf.) cultivars under low input agricultural management

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    Among cereals, durum wheat has a central role in the Italian diet and economy, where there is a historical tradition of pasta making. In the present study, we evaluated the nutrient and nutraceutical properties of 2 old and 6 modern durum wheat varieties grown under low input agricultural management. Considering the lack of available data on the adaptability of existing durum wheat varieties to the low input and organic sectors, the research aimed at providing a complete description of the investigated genotypes, considering the agronomic performance as well as the nutrient and phytochemical composition. The experimental trials were carried out at the same location (Bologna, Northern Italy) for two consecutive growing seasons (2006/2007, 2007/2008). No clear distinction between old and modern varieties was observed in terms of grain yield (mean values ranging from 2.5 to 4.0 t/ha), highlighting that the divergence in productivity, normally found between dwarf and non-dwarf genotypes, is strongly reduced when they are cropped under low input management. All durum wheat varieties presented high protein levels and, in addition, provided remarkable amounts of phytochemicals such as dietary fibre, polyphenols, flavonoids and carotenoids. Some of the investigated genotypes, such as Senatore Cappelli, Solex, Svevo and Orobel, emerged with intriguing nutritional and phytochemical profiles, with the highest levels of dietary fibre and antioxidant compounds. The study provided the basis for further investigations into the adaptability of the durum wheat genotypes to low input management, for the selection of genotypes characterised by higher yield and valuable nutrient and nutraceutical quality

    Bovine Lactoferrin Counteracts Toll-Like Receptor Mediated Activation Signals in Antigen Presenting Cells

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    Lactoferrin (LF), a key element in mammalian immune system, plays pivotal roles in host defence against infection and excessive inflammation. Its protective effects range from direct antimicrobial activities against a large panel of microbes, including bacteria, viruses, fungi and parasites, to antinflammatory and anticancer activities. In this study, we show that monocyte-derived dendritic cells (MD-DCs) generated in the presence of bovine LF (bLF) fail to undergo activation by up-modulating CD83, co-stimulatory and major histocompatibility complex molecules, and cytokine/chemokine secretion. Moreover, these cells are weak activators of T cell proliferation and retain antigen uptake activity. Consistent with an impaired maturation, bLF-MD-DC primed T lymphocytes exhibit a functional unresponsiveness characterized by reduced expression of CD154 and impaired expression of IFN-γ and IL-2. The observed imunosuppressive effects correlate with an increased expression of molecules with negative regulatory functions (i.e. immunoglobulin-like transcript 3 and programmed death ligand 1), indoleamine 2,3-dioxygenase, and suppressor of cytokine signaling-3. Interestingly, bLF-MD-DCs produce IL-6 and exhibit constitutive signal transducer and activator of transcription 3 activation. Conversely, bLF exposure of already differentiated MD-DCs completely fails to induce IL-6, and partially inhibits Toll-like receptor (TLR) agonist-induced activation. Cell-specific differences in bLF internalization likely account for the distinct response elicited by bLF in monocytes versus immature DCs, providing a mechanistic base for its multiple effects. These results indicate that bLF exerts a potent anti-inflammatory activity by skewing monocyte differentiation into DCs with impaired capacity to undergo activation and to promote Th1 responses. Overall, these bLF-mediated effects may represent a strategy to block excessive DC activation upon TLR-induced inflammation, adding further evidence for a critical role of bLF in directing host immune function

    Produzione ed impiego delle piante officinali

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    L\u2019evoluzione scientifica, culturale ed economica del genere umano, ha portato alla definizione di modelli alimentari basati sull\u2019utilizzo di poche specie, vegetali ed animali, dalle quali si ottengono le materie prime necessarie alla preparazione di alimenti. Lo sfruttamento, sempre pi\uf9 spinto e razionale, di un ben definito gruppo di specie vegetali, non include, oggi, le piante officinali, ovvero quelle piante utilizzate, in passato, nelle officine farmaceutiche per la preparazione di medicinali. Le piante officinali, nell\u2019accezione pi\uf9 ampia, includono anche quelle per uso aromatico e cosmetico, alle quali potrebbero essere aggiunte, oggi, anche quelle coloranti, ad attivit\ue0 biocida e funzionale. Le specie officinali hanno avuto, in passato, grande diffusione ed interesse per l\u2019uomo poich\ue9, mancando i prodotti di sintesi, erano le uniche fonti dalle quali trarre medicamenti, aromi, cosmetici, e molte altre sostanze di uso comune. Il progresso della chimica ha permesso di produrre, per via sintetica, gran parte delle sostanze ottenute dalle piante officinali; l\u2019interesse per questa categoria di piante, di conseguenza, si \ue8 molto ridotto, fino a scomparire, in alcuni casi. Nonostante l'attuale disponibilit\ue0 di un gran numero di prodotti artificiali, idonei a sostituire efficacemente i medicamenti, gli aromi, i cosmetici e molte altre sostanze ottenibili dal mondo vegetale, si assiste, oggi, ad un rinnovato interesse per le piante officinali. Tale fenomeno \ue8 dettato, in parte, da mode che sono destinate a mutare, ma anche dalla crescente richiesta di disporre di prodotti naturali, in grado di produrre effetti complessi che le molecole di sintesi non sempre assicurano. Per il momento, non \ue8 dato sapere se l'attuale maggiore richiesta di produzioni per impiego officinale possa raggiungere dimensioni tali da interessare, significativamente, l'agricoltura moderna. Riteniamo, tuttavia, che tale settore possa meritare, anche in Italia, un interesse maggiore rispetto al passato, da parte di ricercatori ed operatori. Questa convinzione \ue8 l\u2019elemento fondamentale che ha stimolato la preparazione del presente volume: Produzione ed impiego delle piante officinali. Esso vuole sostituire il volume: Coltivazione delle piante medicinali e aromatiche preparato, nel 1986, da Catizone, Marotti, Toderi, T\ue9t\ue9ny e stampato da P\ue0tron. Il testo di Produzione ed impiego delle piante officinali \ue8 organizzato in una parte generale nella quale vengono, inizialmente, trattati gli elementi di base dell\u2019agronomia al fine di fornire, soprattutto ai non agronomi, conoscenze utili al governo delle colture. Successivamente, sono approfonditi gli aspetti relativi al mercato, all\u2019economia e alla normativa delle piante officinali. Si \ue8 ritenuto che tale parte della trattazione potesse incontrare l\u2019interesse di coloro che, per la prima volta, si avvicinano a tale comparto produttivo ma anche di coloro che gi\ue0 vi operano, oltre che degli studenti dei numerosi corsi di tecniche erboristiche, di nutrizione e fitoterapia, presenti, oggi, in molti atenei. Considerevole attenzione \ue8 stata dedicata alla trattazione dei principi attivi di maggiore interesse contenuti nelle piante officinali ed al ruolo che i fattori agro-ambientali svolgono su di essi. Lo studio di questi aspetti \ue8 di grande importanza tecnologica ed economica dato che essi, in definitiva, influenzano la qualit\ue0 oltre la quantit\ue0 delle produzioni. Ai processi post-raccolta \ue8 stata dedicata una trattazione alquanto ampia poich\ue9 si \ue8 ritenuto che questa fase della filiera produttiva, spesso poco nota, dovesse avere una adeguata considerazione, dato che essa pu\uf2 influenzare il risultato finale della produzione sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. L\u2019ultimo capitolo della parte generale \ue8 stato dedicato all\u2019utilizzazione, nella cura della salute umana, dei prodotti ottenuti dalle piante officinali. In particolare, i vari principi attivi sono messi in relazione con la pianta che li contiene e l\u2019azione che essi svolgono su un determinato organo o funzione, tenendo, tuttavia, sempre presente che per ogni utilizzo terapeutico la competenza rimane di stretta competenza medica. Si \ue8 cos\uec ottenuto una sorta di manuale di facile consultazione in grado di fornire precise informazioni, ma anche di soddisfare gli interessi e le curiosit\ue0 del lettore. La parte speciale include la trattazione di 73 specie che interessano diversi settori d\u2019impiego

    Gene flow between oilseed rape (Brassica napus L. oleifera) and black mustard (Brassica nigra L.)

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    Over the past decade, plant genetic engineering techniques have been developed where specific characters (genes) can be introduced into a plant in a relatively straightforward manner, provided the genes coding for the character have been identified. Canola crops (Brassica napus L.) can suffer severe yield loss due to weed infestation. Since Brassica species can be readily transformed, and specific genes have been identified for herbicide resistance, it is no surprise that genetic engineers have targeted herbicide resistance in canola. (Moloney et al., 1989). A major concern of introducing herbicide resistant crops into agriculture is the spread of the engineered gene, particularly by pollen, to related weed species. The opportunity for gene escape via hybridization depends upon the presence of wild relatives capable of crossing with the crop under natural conditions (Ellstrand, 1988). There is substantial recent literature on intergeneric crosses within the Brassicaceae family, and an even larger number on hybridization between different Brassica species. Most of these hybrids do not produce mature seed; however normally incompatible interspecific hybridization can spontaneously produce a few seeds which usually yield true F1 plants as a result of unexpected ploidy changes (Nashiyama et al., 1991) This phenomenon has been documented between B. napus and B. nigra. The objectives of the present study were to determine the feasibility and frequency of gene flow between canola (B. napus) and a related weed species (B. nigra) by means of ISSR (Inter Simple Sequence Repeat) markers
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