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    Contratto preliminare, opzione ed eccessiva onerosità sopravvenuta

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    a) Risolvibilità del preliminare puro e del preliminare ad effetti anticipati. Per lungo tempo la dottrina si è interrogata sull’applicabilità del rimedio dell’art. 1467 c.c. al contratto preliminare c.d. puro, nelle ipotesi in cui tra la sua conclusione e il perfezionamento del definitivo sopraggiungano avvenimenti straordinari e imprevedibili, tali da alterare irrimediabilmente il sinallagma originariamente prefissato dalle parti, provocando uno squilibrio economico tra le prestazioni. La questione è stata risolta in senso positivo, col riconoscimento in favore del contraente la cui obbligazione sia divenuta abnormemente gravosa, della facoltà di liberarsi dall’obbligo de contrahendo. Qualche dubbio persiste, invece, riguardo al preliminare a effetti anticipati. Il dato normativo, invero, qualificando l’eccessiva onerosità come una vicenda concernente prestazioni ad esecuzione futura, sembrerebbe non consentire di invocare il rimedio de quo alla parte che abbia già eseguito la propria obbligazione, ad esempio mediante l’integrale pagamento del prezzo al momento del preliminare. b) Preliminare unilaterale, tra eccessiva onerosità e riduzione ad equità. Secondo alcuna dottrina gli estremi dell’eccessiva onerosità sopravvenuta non sarebbero valutabili con riferimento al preliminare unilaterale, non essendo questo un contratto a prestazioni corrispettive, giacché l’obbligazione di concludere il definitivo investe una parte soltanto, la quale potrebbe, tutt’al più, domandare una riduzione della sua prestazione ai sensi dell’art. 1468 c.c. c) La tutela del proponente il patto d’opzione. Il problema dell’applicabilità dell’art. 1467 c.c. si è posto anche in relazione al patto d’opzione, col quale, similmente al preliminare unilaterale, uno solo dei contraenti si impegna verso l’altro. La giurisprudenza moderna sembra orientata nel senso di ritenere l’opzione soggetta all’art. 1467 c.c. o al rimedio della riconduzione ad equità dell’art. 1468 c.c., a seconda che dal patto discendano obbligazioni corrispettive, oppure obbligazioni ex uno latere

    Minori, capacità di discernimento ed esercizio della sorveglianza da parte degli insegnanti

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    a) Vigilanza, capacità di discernimento apprezzabile e doveri di protezione. L’insegnante può essere chiamato a rispondere dell’illecito dell’allievo in forza di diversi titoli: a) dell’art. 2047 c.c. nell'ipotesi in cui lo scolaro, per la giovanissima età, sia privo di una apprezzabile capacità di discernimento; b) dell’art. 2048 c.c. allorquando lo studente sia in grado di rapportarsi correttamente con il mondo esterno e abbia, per ciò stesso, la cognizione circa le conseguenze dei propri comportamenti. Accanto a queste ipotesi, che hanno esclusivo riguardo al danno che l’allievo abbia procurato a terzi, è configurabile anche una ulteriore responsabilità dell’insegnante per le lesioni che lo studente si sia autocagionato: la giurisprudenza, invero, è sempre più propensa all'idea che il docente sia investito di un generale ‘‘obbligo di protezione’’ in favore dello stesso scolaro, quale esplicazione dell’inderogabile dovere di solidarietà dell’art. 2 Cost., nascente dal contatto sociale (giuridicamente qualificato) con il minore. b) Natura della responsabilità. Sebbene buona parte della giurisprudenza di legittimità si esprima ancora in termini di culpa in re ipsa, ricollegando l’imputazione alla presunzione di una negligente sorveglianza, sta di fatto che la responsabilità cui l’insegnante è esposto ha natura oggettiva. Invero, tanto l’art. 2047 c.c., quanto il 2048 c.c., non contengono alcun riferimento alla diligenza profusa dal docente nell'esercizio della vigilanza, richiedendo piuttosto, quanto alla prova liberatoria, la dimostrazione positiva del caso fortuito che abbia reso impossibile l’impedimento del fatto illecito dello studente. E anche quando il titolo dell’imputazione sia il contatto sociale insegnante-allievo, la responsabilità ha natura oggettiva, richiedendosi al docente la prova dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione (vale a dire del dovere di protezione), per causa non imputabile. c) Diversi titoli di responsabilità, un’unica prova liberatoria. Ritengo che, come la più recente e accreditata dottrina sostiene, l’onere probatorio incombente sull'insegnante per andare esente da responsabilità sia, tanto nell'ipotesi dell’art. 2047 c.c., quanto dell’art. 2048 c.c., e a maggior ragione del contatto sociale, decisamente prossima a quella richiesta dall'art. 1218 c.c., non essendo sufficiente la dimostrazione di aver diligentemente e prudentemente vigilato sulla condotta dell’allievo. Il danneggiato ne risulta, evidentemente, avvantaggiato, anche sotto il profilo della prescrizione del diritto al risarcimento: cinque anni nelle prime due ipotesi, dieci anni nella seconda

    La responsabilità della banca per erogazione «abusiva» del credito ad un’impresa in situation désperée

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    L’erogazione di credito ad un’impresa insolvente anziché condurre ad un superamento della crisi, concretizza, in molti casi, un pregiudizio sia per i creditori, frustrati nelle loro ragioni dalla progressiva diminuzione della massa attiva, sia per l’impresa stessa che, continuando ad operare sul mercato, assiste alla riduzione del proprio patrimonio. Di recente, sulla scia dei più precoci insegnamenti dell’ordinamento francese, si è registrato, in dottrina e in giurisprudenza, un sensibile ampliamento del terreno della responsabilità degli istituti di credito, nelle ipotesi di reiterato finanziamento ad imprese in stato di crisi. Ma l’assenza di una disciplina specifica in materia, ha condotto gli interpreti ad interrogarsi sulle regole a presidio del sostegno economico delle imprese insolventi, onde operare un discrimine tra concessione legittima e concessione «abusiva» di fido . Discrimine che è stato ravvisato nella irrecuperabilità dell’insolvenza: non è sufficiente, in altre parole, a configurare la concessione abusiva del credito il supporto ad un’impresa in crisi; occorre, ulteriormente, che l’impresa versi in una situation déspéreé, ossia ineluttabile e senza alcun margine di risanamento. Il profilo più delicato è, indubbiamente, quello che attiene agli effetti che il reiterato sostegno economico all’impresa ormai decotta produce nel caso di apertura di una procedura concorsuale

    La responsabilità della pubblica amministrazione per danni da emotrasfusioni infette

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    a) L’affermazione della responsabilità per colpa del Ministero della Salute . Dopo qualche oscillazione sulla natura della responsabilità del Ministero della Salute per il danno da emotrasfusioni contagiose, la giurisprudenza ha progressivamente affinato i criteri di imputazione, sino ad ammettere la praticabilità della sola clausola generale dell’art. 2043 c.c., ponendone a fondamento la colposa omissione di controllo e di vigilanza sull’attività di raccolta e distribuzione di sangue ed emoderivati. b) Prevedibilità dell’evento e nesso causale. Controversa è la problematica della prevedibilità dell’eventus damni da parte della pubblica amministrazione e, dunque, dell’esistenza del rapporto di causalità tra l’omissione della dovuta attività di vigilanza e controllo ed il contagio post-trasfusionale. Al riguardo la propensione sembra quella di estendere la responsabilità ministeriale al contagio di virus conosciuti in epoca successiva al 1978, anno di individuazione, da parte della comunità scientifica, degli agenti causa dell’HBV, trattandosi, comunque, di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica, dovuto a virus veicolati dal sangue infetto che il Ministero aveva omesso di controllare, pur essendovi istituzionalmente preposto. c) Il decorso della prescrizione dell’azione di risarcimento coincide con il momento in cui la malattia è percepibile dal contagiato, tenuto conto dello stato dell’arte medica. Circa l’individuazione del dies a quo ai fini della decorrenza della prescrizione dell’azione risarcitoria, un primo equilibrio sembra essere stato raggiunto dalla pronuncia a Sezioni Unite, n. 581 del gennaio 2008, che la fa coincidere con il momento in cui la malattia viene percepita dal danneggiato o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo dell’amministrazione, usando l’ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche

    Cose in custodia: incendio, caso fortuito e aggravamento della prova liberatoria

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    a) Incendio e caso fortuito: rilevanza delle misure precauzionali adottate. Per andare esente da responsabilità il custode deve individuare, positivamente, il caso fortuito, ossia l’intervento di un fattore esterno di per sé solo capace di produrre l’eventus damni, onde restano a suo carico le c.d. «cause ignote». Gli eventi naturali possono integrare, sempreché imprevedibili ed inevitabili, il fortuitus; ma la loro semplice eccezionalità, di per sé sola, non è sufficiente ad escludere la responsabilità, dovendosi anche valutare (congiuntamente) il comportamento adottato dal custode, essendo a questi richiesto di adoperarsi mediante l’adozione di tutte le misure precauzionali che, in relazione allo stato della cosa, alla sua destinazione e alle circostanze del caso concreto, appaiono ordinariamente idonee a tutelare i terzi da pregiudizi. b) Le ondivaghe posizioni della giurisprudenza della natura dolosa dell’incendio. Recentemente la giurisprudenza ha osservato che l’accertamento della natura dolosa dell’incendio non è, di per sé, sufficiente a fornire la prova liberatoria a favore del custode, qualora il relativo procedimento penale sia stato archiviato per essere rimasti ignoti i responsabili; in altre pronunce, invece, il custode è stato assolto, anche in mancanza di identificazione del responsabile, ritenendosi sufficiente la prova dell’attività del terzo, sì da permettere l’imputazione a questi dell’evento. c) Incendio di veicolo in sosta: responsabilità ex art. 2051 c.c. o ex art. 2054 c.c.? Esulano dall’ambito di applicazione dell’art. 2051 c.c., i beni per i quali il legislatore ha individuato una disciplina specifica, come è per i mezzi adibiti al trasporto terrestre a guida libera, che trovano puntuale normazione nell’art. 2054 c.c. Qualora, tuttavia, il danno non sia in alcun modo collegabile, causalmente, alla circolazione stradale, intesa quale utilizzazione della via pubblica o della strada privata aperta al pubblico, compresa la sosta del mezzo, il regime della responsabilità è quello, generale, previsto per le cose in custodia, e non quello della disciplina specifica

    A proposito degli impianti fotovoltaici: tra indici di immobilità, collegamento funzionale al suolo e disponibilità delle aree di installazione

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    SOMMARIO: 1. La qualificazione dei beni nell’art. 812 c.c. e gli indici di «immobilità». – 2. Gli impianti fotovoltaici: beni mobili o immobili? – 3. Segue. Classamento catastale delle centrali di grandi dimensioni. – 4. Le fattispecie contrattuali atte a procurare la disponibilità delle aree di installazione

    Uccisione del congiunto, danno catastrofale, danno tanatologico e danno parentale: a che punto siamo?

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    a) Risarcibilità del danno in favore dei congiunti. Il risarcimento del danno, sia patrimoniale che non patrimoniale, derivante dalla morte ex delicto di un individuo va liquidato in favore dei familiari più stretti della vittima e dei congiunti meno prossimi, ma con essa effettivamente conviventi, o comunque alla stessa legati da uno stretto rapporto caratterizzato da affetto reciproco e solidarietà, che abbiano subito un grave perturbamento sul piano economico e/o su quello morale, a cagione sia del trauma affettivo sofferto, che della perdita di un valido sostegno materiale, attuale o verosimilmente potenziale. b) Titolo della legittimazione. La legittimazione all’azione di risarcimento va riconosciuta iure proprio ai congiunti del de cuius, sempreché non sia decorso un apprezzabile intervallo di tempo tra la lesione da quello subita e la sua morte, che permetta di riferire ad esso stesso il danno, dovendosi, in tal caso, ammettere una legittimazione iure successionis in capo agli eredi. c) La lesione del rapporto parentale. Al fine di colmare i pericolosi vuoti di tutela esistenti, da qualche tempo è stata elaborata una nuova figura di danno non patrimoniale, quella del danno da lesione del rapporto parentale, per la cui risarcibilità gli stretti congiunti della vittima sono legittimati iure proprio, senza che ciò precluda loro la possibilità di lamentare, oltre al danno patrimoniale ed al danno morale transeunte, anche il danno alla salute sofferto dal defunto nell’apprezzabile lasso di tempo trascorso tra l’evento lesivo e la morte

    L’alea nei contratti differenziali

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    a) Il contratto aleatorio e i rimedi della giustizia commutativa. Il codice civile vigente dedica ai contratti aleatori l’art. 1469 senza, tuttavia, offrirne alcuna definizione, limitandosi piuttosto a dichiarare inapplicabili ad essi le norme sull’eccessiva onerosità e quelle sulla rescissione, essendo il rischio dell’alterazione economica dell’affare e dei termini del rapporto il connotato intrinseco dello schema causale. Da questa alea (c.d. alea giuridica), che colora e qualifica il contratto aleatorio, si distingue la c.d. alea normale, che è il rischio prevedibile, proprio di ogni contrattazione, al quale le parti si sottopongono instaurando una qualsiasi relazione negoziale. b) Contratti differenziali e mercati finanziari a termine. I contratti c.d. differenziali sono storicamente legati allo sviluppo dei mercati finanziari a termine: il contratto di compravendita differita viene utilizzato non più e soltanto per trasferire ricchezza, ma per allocare il rischio inerente alle oscillazioni di valore della stessa e quale vera e propria scommessa sull’andamento dei prezzi, offrendo agli investitori di operare allo scoperto. c) L’aleatorietà dei contratti differenziali semplici. Per molti anni si è dubitato della natura, oltre che della validità, dei contratti differenziali, stante la difficoltà di ricondurre tali operazioni ad una figura unitaria. Il legislatore italiano ha assunto una esplicita posizione al riguardo dapprima con la l. 30.3.1913, n. 272, decisiva per l’affermazione della validità ed efficacia dei contratti differenziali, da allora ricompresi nel novero dei contratti di borsa; poi con il testo unico dell’intermediazione finanziaria del 24.2.1998, n. 58, che ricomprese tra gli strumenti finanziari e tra gli strumenti derivati i futures, gli swaps, le options. Circa questi ultimi, è decisamente prevalente l’opinione che li qualifica come contratti aleatori, assumendo l’oscillazione di valore dei beni dedotti in contratto sempre come normale, escludendo la possibilità di una risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta

    Il danno da trascrizione illegittima: art. 96 c.p.c. o art. 2043 c.c.?

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    SOMMARIO: 1. Il problema. – 2. Trascrizione illegittima e trascrizione ingiusta. – 3. Il caso. – 4. (segue) I motivi del ricorso. – 5. (segue) Il contrasto nella giurisprudenza di legittimità e la rimessione alle Sezioni unite. – 6. La temerarietà della pretesa tra l’art. 96 c.p.c. e l’art. 2043 c.c. – 7. (segue) La trascrizione illegittima: un comune illecito aquiliano, risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c

    Immissioni intollerabili e serenità personale: quale interesse è meritevole di tutela?

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    Nota a Cass. civ., sez. II, 19 agosto 2011, n. 17427 a) L’esistenzialismo milanese. All’interno della figura di recente creazione del danno esistenziale, la giurisprudenza di merito, specialmente quella meneghina, ha ricondotto, in mancanza degli estremi del danno biologico, una serie estremamente ampia di ipotesi, tra le quali le immissioni intollerabili che determinano una degenerazione delle normali qualità di vita della persona. b) Sì alla riparazione, ma solo se c’è la lesione di un diritto costituzionalmente protetto. L’interpretazione evolutiva dell’art. 2059 c.c., a ben vedere, non ha comportato il definitivo abbandono della riserva di legge contenuta nella norma medesima: il nuovo concetto di danno non patrimoniale che ne è risultato, invero, presuppone pur sempre la violazione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente protetto, essendo insufficiente la lesione di un semplice diritto soggettivo. c) Inammissibilità di un danno biologico in re ipsa. Non è condivisibile la tesi, accolta da alcuna giurisprudenza, della ammissibilità di un danno biologico in re ipsa conseguente all’accertato superamento dei limiti di tollerabilità delle immissioni, occorrendo la prova di uno specifico danno riconducibile, pur sempre, all’onnicomprensivo danno biologico per menomazione dell’integrità psicofisica. Ne consegue che la prolungata esposizione ad immissioni rumorose intollerabili non determina, in assenza di detto accertamento e sempreché il fatto non costituisca reato, la ricorrenza di un danno risarcibile corrispondente alla degenerazione delle qualità della vita, non assurgendo la tranquillità familiare a interesse della persona costituzionalmente rilevante
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