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    Bioabsorbable poly-d,l-lactic acid (PDLLA) interference screws fixation in anterior cruciate ligament reconstruction: clinical, arthrometric, radiographic and imaging evaluation at medium-term follow-up

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    INTRODUCTION: The standard treatment of ACL lesions has mainly lied on metal interference screws until the introduction of bioabsorbable materials. Fixation of autologous bone-patellar-tendon-bone with bioabsorbable screws has showed results comparable with metal screws without their disadvantages at short-term follow-up. Aim of this study was to analyse the medium-term clinical results and arthrometric, radiographic and imaging findings of PDLLA screws. MATERIAL AND METHODS: Twenty patients have been included in this study. At time of ACL reconstruction, in 9 patients was performed partial meniscectomy (7 medial and 3 lateral). The average follow-up was 5,5 years (range, 4 to 7.8 yrs.). The final evaluation was performed according to the following clinical scores: IKDC, Tegner and Lysholm. All patients were submitted to KT-2000 test, comparative radiographic plains and MRI (FSE T2 FATSAT, SE T1, GRE T2*) study in order to investigate the longevity of the implant and adverse effects of this material. Statistical analyses were carried out using Student\u2019s t test and \uf0632. RESULTS AND CONCLUSION: 85% of patients showed good or excellent clinical results. In 18 cases KT-2000 test was less than 3 mm in comparison with the opposite knee. Radiographic evaluation showed initial degenerative changes in 7 patients, 6 of whom underwent meniscectomy (p<0,005). At MRI, the screws were completely reabsorbed in all cases without any foreign body reaction. An average of 2.1 mm (range, 0.6 to 5 mm) at femoral side and 2.3 (range 0.7 to 7.6 mm) at tibial side enlargement was detected. In axial plain, the tunnel was shaped like an \u201c8\u201d in 3 cases at femoral and in 4 at tibial level. These findings were not statistically correlated to knee stability. In conclusion, the PDLLA interference screws represent a valid alternative to metal implants in ACL reconstructive surgery

    Impianto di menisco collagenico (CMI): risultati preliminari ed analisi ultrastrutturale e biochimica dell'impianto

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    Introduzione: L'impianto di menisco collagenico (CMI) è una tecnica di ingegneria tissutale per il trattamento delle lesioni meniscali non riparabili. Scopo dello studio è la valutazione dei risultati clinici preliminari e l'analisi ultrastrutturale e biochimica dell'impianto. Materiale e metodi: Trentaquattro pazienti di età media di 38,3 anni sono stati trattati con il CMI presso il nostro Dipartimento dal marzo 2001. Ventotto presentavano una lesione primaria mentre 6 riferivano persistenza di dolore in esiti di pregressa meniscectomia parziale. La misura media della lesione era di 4.1 cm (da 2.5 a 5 cm). In 11 pazienti lo scaffold è stato suturato con tecnica inside-out, in 9 con tecnica all-inside, in 14 con tecnica mista. Sono state associate procedure chirurgiche comprendenti: 11 ricostruzioni del LCA, 2 HTO, 1 impianto di condrociti autologhi su membrana. A 6 e 12 mesi dall'intervento, i pazienti sono stati valutati utilizzando le schede di Lysholm II e Tegner e la RM (GE e FSE Fat suppressed T2-w scans). Sono stati eseguiti 2 second look con biopsia dell'impianto a 6 mesi, 1 a 15 mesi. I campioni, così come lo scaffold, sono stati analizzati con metodiche di microscopia ottica, immunoistochimica, SEM, TEM, EDAX ed elettroforetiche (FACE). Risultati: Il follow-up medio è di 10.3 mesi (min. 3, max 22 mesi). A 3 mesi, 32 pazienti hanno mostrato un miglioramento clinico. Il tipo di sutura non ha influenzato il risultato finale. Alla RM si è osservata l'integrità dell'impianto ed un segnale progressivamente simile a quello delle fibrocartilagini. Nei second look a 6 mesi, l’impianto si è ridotto del 10% in diametro. Non sono state riscontrate ulteriori riduzioni nel controllo a 15 mesi. In tutti i casi si è apprezzata una buona integrazione con il paramenisco ed il residuo meniscale così come una buona consistenza e stabilità alle forze in trazione. Nei controlli a 6 mesi, l'analisi morfologica ed ultrastrutturale ha mostrato la presenza di tessuto ialino infiltrato da cellule e vasi e circondato da fibre dello scaffold. A 15 mesi, si è osservato una maggiore organizzazione strutturale della matrice neoprodotta, ben integrata con il residuo meniscale. L'analisi biochimica ha evidenziato la presenza di molecole di GAG, collagene tipo II, acido ialuronico e condroitinsolfato che non erano presenti prima dell'impianto. Conclusioni: I dati morfologici e biochimici, così come i risultati clinico-funzionali, dimostrano che il CMI è una tecnica promettente nel trattamento delle lesioni meniscali

    Impianto di menisco collagenico (CMI): risultati preliminari ed analisi ultrastrutturale e biochimica dell'impianto

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    Introduzione: L'impianto di menisco collagenico (CMI) \ue8 una tecnica di ingegneria tissutale per il trattamento delle lesioni meniscali non riparabili. Scopo dello studio \ue8 la valutazione dei risultati clinici preliminari e l'analisi ultrastrutturale e biochimica dell'impianto. Materiale e metodi: Trentaquattro pazienti di et\ue0 media di 38,3 anni sono stati trattati con il CMI presso il nostro Dipartimento dal marzo 2001. Ventotto presentavano una lesione primaria mentre 6 riferivano persistenza di dolore in esiti di pregressa meniscectomia parziale. La misura media della lesione era di 4.1 cm (da 2.5 a 5 cm). In 11 pazienti lo scaffold \ue8 stato suturato con tecnica inside-out, in 9 con tecnica all-inside, in 14 con tecnica mista. Sono state associate procedure chirurgiche comprendenti: 11 ricostruzioni del LCA, 2 HTO, 1 impianto di condrociti autologhi su membrana. A 6 e 12 mesi dall'intervento, i pazienti sono stati valutati utilizzando le schede di Lysholm II e Tegner e la RM (GE e FSE Fat suppressed T2-w scans). Sono stati eseguiti 2 second look con biopsia dell'impianto a 6 mesi, 1 a 15 mesi. I campioni, cos\uec come lo scaffold, sono stati analizzati con metodiche di microscopia ottica, immunoistochimica, SEM, TEM, EDAX ed elettroforetiche (FACE). Risultati: Il follow-up medio \ue8 di 10.3 mesi (min. 3, max 22 mesi). A 3 mesi, 32 pazienti hanno mostrato un miglioramento clinico. Il tipo di sutura non ha influenzato il risultato finale. Alla RM si \ue8 osservata l'integrit\ue0 dell'impianto ed un segnale progressivamente simile a quello delle fibrocartilagini. Nei second look a 6 mesi, l\u2019impianto si \ue8 ridotto del 10% in diametro. Non sono state riscontrate ulteriori riduzioni nel controllo a 15 mesi. In tutti i casi si \ue8 apprezzata una buona integrazione con il paramenisco ed il residuo meniscale cos\uec come una buona consistenza e stabilit\ue0 alle forze in trazione. Nei controlli a 6 mesi, l'analisi morfologica ed ultrastrutturale ha mostrato la presenza di tessuto ialino infiltrato da cellule e vasi e circondato da fibre dello scaffold. A 15 mesi, si \ue8 osservato una maggiore organizzazione strutturale della matrice neoprodotta, ben integrata con il residuo meniscale. L'analisi biochimica ha evidenziato la presenza di molecole di GAG, collagene tipo II, acido ialuronico e condroitinsolfato che non erano presenti prima dell'impianto. Conclusioni: I dati morfologici e biochimici, cos\uec come i risultati clinico-funzionali, dimostrano che il CMI \ue8 una tecnica promettente nel trattamento delle lesioni meniscali
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