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    Il coinvolgimento cardiaco nella malattia mitocondriale

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    Background: Le mutazioni che compromettono la funzione mitocondriale causano patologie solitamente sistemiche, con coinvolgimento preferenziale degli organi con maggiori richieste energetiche. La miopatia scheletrica è molto frequente, come riscontrabile mediante valutazioni cliniche, istologiche e immunoenzimatiche. L’impegno cardiaco si può manifestare sotto forma di cardiomiopatia (più frequentemente ipertrofica) e/o di anomalie dell’attività elettrica. La patogenesi del danno cardiaco è sostanzialmente sconosciuta. In tutti i pazienti con malattia mitocondriale viene effettuato uno screening cardiologico, composto da elettrocardiogramma (ECG), ecocolor-Doppler cardiaco e se possibile risonanza magnetica (RM) cardiaca con mezzo di contrasto (m.d.c.); ECG ed ecocolor-Doppler sono poi ripetuti a cadenza annuale o pluriennale. Scopo della tesi: In questo studio abbiamo sottoposto pazienti con malattia mitocondriale e senza impegno cardiaco noto ad una valutazione cardiologica esaustiva. Ci siamo proposti di verificare la presenza di una cardiopatia morfologica e/o funzionale in questi pazienti e di ricercare l’attivazione di meccanismi sistemici caratterizzati nello scompenso cardiaco; tali meccanismi possono contribuire ai sintomi di dispnea da sforzo e affaticamento, nonché promuovere l’insorgenza e la progressione del danno cardiaco. Metodi: Tra il gennaio 2014 e il maggio 2015 sono stati arruolati 25 pazienti con malattia mitocondriale. In base alla precedente caratterizzazione neurologica, un danno muscolare era un reperto pressoché costante in questa popolazione. La valutazione cardiologica ha previsto gli accertamenti di routine: ECG, ecocolor-Doppler, risonanza magnetica (RM) cardiaca con mezzo di contrasto (m.d.c.). I pazienti sono stati sottoposti a test ergometrico cardiopolmonare e misurazione delle massime pressioni respiratorie; è stata analizzata la funzione respiratoria ed è stato eseguito un monitoraggio cardiorespiratorio nelle 24 ore. La funzione autonomica è stata indagata mediante analisi spettrale dell’ECG dinamico secondo Holter, dosaggio delle catecolamine, misurazione della sensibilità barocettiva. Sono stati inoltre indagati l’ergoriflesso e il chemoriflesso. Risultati: I pazienti erano per il 32% maschi; l’età media era 42 anni (39-54 anni); 4 pazienti soffrivano di ipoacusia (16%), 6 di ipertensione (24%), 6 di diabete (24%). Le alterazioni elettrocardiografiche sono risultate relativamente frequenti ma aspecifiche. All’ecocolor-Doppler, i volumi e la funzione delle camere cardiache sono risultate nei limiti in tutti i pazienti, tranne un caso di iniziale riduzione della frazione di eiezione (53%); due pazienti (8%) presentavano un’ipertrofia ventricolare, 6 (24%) un rimodellamento ipertrofico. La RM cardiaca con m.d.c. è stata eseguita in 18 pazienti (72%), col riscontro di ipertrofia in 2 pazienti (11%) e di late gadolinium enhancement (LGE, reperto indicativo di fibrosi) in 8 pazienti (32%). Al test cardiopolmonare, i pazienti presentavano una precoce interruzione dello sforzo (espressa in termini di lavoro massimo e consumo di ossigeno/kg al picco) a causa di dispnea e fatica muscolare. Si riscontravano inoltre evidenze di compromissione del metabolismo aerobico e riduzione dell’efficienza ventilatoria (espressa dalla slope ventilazione/produzione di anidride carbonica). Il lento incremento della frequenza cardiaca durante sforzo (incompetenza cronotropa) era riconducibile ad una disautonomia con aumento del tono simpatico e riduzione del tono parasimpatico. Confermavano la presenza di disautonomia la riduzione talora marcata della variabilità della frequenza cardiaca (valutata mediante ECG Holter) e la depressione del baroriflesso nei pazienti. L’ergoriflesso è un meccanismo neurale che origina dal muscolo e che adatta la ventilazione e la funzione emodinamica all’intensità di esercizio. Nei pazienti, la sensibilità ergocettiva era nettamente maggiore rispetto ai controlli e risultava correlata con un indice di sovvertimento strutturale del muscolo scheletrico (rapporto tessuto adiposo/acqua, valutato mediante spettroscopia RM con 1H). La sensibilità ergocettiva era correlata con una precoce interruzione del test cardiopolmonare e con l’inefficienza ventilatoria. Il confronto fra sottogruppi (controlli vs. pazienti con ergoriflesso normale vs. pazienti con ergoriflesso attivato; pazienti con ergoriflesso normale vs. pazienti con ergoriflesso attivato) supportava un’influenza dell’ergoriflesso sulla funzione autonomica in questi pazienti. La presenza di LGE alla RM cardiaca è stata associata con i livelli circolanti di noradrenalina e con quelli di galectina-3, un biomarcatore di fibrosi miocardica. Non è stata riscontrata un’associazione fra LGE e livelli di troponina T HS altamente sensibile (high sensitivity, HS), nonostante quest’ultima sia considerata un biomarcatore specifico di necrosi miocardica, il cui esito ultimo è la fibrosi. Nella nostra popolazione, i livelli di troponina T HS sono risultati superiori al cut-off nel 40% dei pazienti, mentre i livelli di troponina I erano normali in tutti i casi. Questi risultati suggerivano che, in questi pazienti miopatici, la troponina T HS fosse rilasciata dal muscolo scheletrico. Supportava questa ipotesi il riscontro di una forte correlazione fra i livelli di troponina T HS e quelli di vari indici di danno muscolare: creatinfosfochinasi, latticodeidrogenasi, mioglobina. Conclusioni: In questo studio preliminare su pazienti con malattia mitocondriale, la RM con m.d.c. ha rilevato la presenza di fibrosi e/o ipertrofia in una percentuale significativa di casi, nonostante l’anamnesi cardiologica fosse muta. Sono stati riscontrati una riduzione della sensibilità barocettiva, un aumento della sensibilità ergocettiva e un imbalance autonomico con aumento del tono simpatico e riduzione del tono parasimpatico. La troponina T HS si è dimostrata un biomarcatore accurato di danno muscolare scheletrico. Come sviluppo del presente lavoro, è stato intrapreso un programma di training fisico per influire positivamente sulle alterazioni sistemiche ascrivibili alla deplezione del muscolo scheletrico

    Imágenes de inervación miocárdica: MIBG en práctica clínica

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    La 123I-metayodobencilguanidina (MIBG) es un análogo de norepinefrina radiomarcado que se puede usar para investigar la inervación simpática del miocardio. La gammagrafía con 123I-MIBG se ha investigado con interés en muchos contextos patológicos. En pacientes con insuficiencia cardiaca (IC) sistólica, la gammagrafía con 123I-MIBG puede detectar el deterioro funcional y la rarefacción de las terminales simpáticas (que se manifiestan como reducción de la relación corazón-mediastino [H/M] temprana y tardía en la gammagrafía planar) y aumento del flujo de salida simpático (que puede visualizarse como una alta tasa de lavado). Estos hallazgos se han asociado consistentemente con un peor resultado: más notablemente, un ensayo de fase 3, encontró que los pacientes con un H/M tardío 1.60, poseen una mayor incidencia de mortalidad cardiovascular y por todas las causas y arritmias potencialmente mortales durante un seguimiento de menos de 2 años. A pesar de estos hallazgos prometedores, la gammagrafía con 123I-MIBG aún no ha sido recomendada por las principales guías de IC como una herramienta para la estratificación del riesgo aditivo y nunca ha entrado en la etapa de adopción generalizada en la práctica clínica actual. La gammagrafía con 123I-MIBG también se ha evaluado en pacientes con infarto de miocardio, trastornos genéticos caracterizados por una mayor susceptibilidad a las arritmias ventriculares y varias otras condiciones caracterizadas por alteración de la inervación miocárdica simpática. En la presente revisión, se resumirá el estado del arte de la gammagrafía cardíaca con 123I-MIBG, los problemas actuales sin resolver y las posibles direcciones de la investigación futura.

    What Is Hidden Behind Inferior Negative T Waves: Multiple Cardiac Glomangiomas

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    Abstract Negative T waves in the inferior leads in an asymptomatic 17-year-old female patient prompted a diagnostic evaluation disclosing the presence of multiple cardiac glomangiomas. The combination of different imaging modalities (echocardiography, magnetic resonance, and positron emission tomography/computed tomography) and myocardial biopsy was crucial to establishing the correct diagnosis. (Level of Difficulty: Advanced.

    Redefining the epidemiology of cardiac amyloidosis. A systematic review and meta-analysis of screening studies

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    Aims An algorithm for non-invasive diagnosis of amyloid transthyretin cardiac amyloidosis (ATTR-CA) and novel disease-modifying therapies have prompted an active search for CA. We examined the prevalence of CA in different settings based on literature data. Methods and results We performed a systematic search for screening studies on CA, focusing on the prevalence, sex and age distribution in different clinical settings. The prevalence of CA in different settings was as follows: bone scintigraphy for non-cardiac reasons (n = 5 studies), 1% (95% confidence interval [CI] 0%-1%); heart failure with preserved ejection fraction (n = 6), 12% (95% CI 6%-20%); heart failure with reduced or mildly reduced ejection fraction (n = 2), 10% (95% CI 6%-15%); conduction disorders warranting pacemaker implantation (n = 1), 2% (95% CI 0%-4%); surgery for carpal tunnel syndrome (n = 3), 7% (95% CI 5%-10%); hypertrophic cardiomyopathy phenotype (n = 2), 7% (95% CI 5%-9%); severe aortic stenosis (n = 7), 8% (95% CI 5%-13%); autopsy series of 'unselected' elderly individuals (n = 4), 21% (95% CI 7%-39%). The average age of CA patients in the different settings ranged from 74 to 90 years, and the percentage of men from 50% to 100%. Many patients had ATTR-CA, but the average percentage of patients with amyloid light-chain (AL) CA was up to 18%. Conclusions Searching for CA in specific settings allows to identify a relatively high number of cases who may be eligible for treatment if the diagnosis is unequivocal. ATTR-CA accounts for many cases of CA across the different settings, but AL-CA is not infrequent. Median age at diagnosis falls in the eighth or ninth decades, and many patients diagnosed with CA are women

    Restrictive cardiomyopathy: definition and diagnosis

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    Restrictive cardiomyopathy (RCM) is a heterogeneous group of diseases characterized by restrictive left ventricular pathophysiology, i.e. a rapid rise in ventricular pressure with only small increases in filling volume due to increased myocardial stiffness. More precisely, the defining feature of RCM is the coexistence of persistent restrictive pathophysiology, diastolic dysfunction, non-dilated ventricles, and atrial dilatation, regardless of ventricular wall thickness and systolic function. Beyond this shared haemodynamic hallmark, the phenotypic spectrum of RCM is wide. The disorders manifesting as RCM may be classified according to four main disease mechanisms: (i) interstitial fibrosis and intrinsic myocardial dysfunction, (ii) infiltration of extracellular spaces, (iii) accumulation of storage material within cardiomyocytes, or (iv) endomyocardial fibrosis. Many disorders do not show restrictive pathophysiology throughout their natural history, but only at an initial stage (with an evolution towards a hypokinetic and dilated phenotype) or at a terminal stage (often progressing from a hypertrophic phenotype). Furthermore, elements of both hypertrophic and restrictive phenotypes may coexist in some patients, making the classification challenge. Restrictive pathophysiology can be demonstrated by cardiac catheterization or Doppler echocardiography. The specific conditions may usually be diagnosed based on clinical data, 12-lead electrocardiogram, echocardiography, nuclear medicine, or cardiovascular magnetic resonance, but further investigations may be needed, up to endomyocardial biopsy and genetic evaluation. The spectrum of therapies is also wide and heterogeneous, but disease-modifying treatments are available only for cardiac amyloidosis and, partially, for iron overload cardiomyopathy

    Cardiovascular toxicity from therapies for light chain amyloidosis

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    : Amyloid light-chain (AL) amyloidosis is a hematological disorder characterized by abnormal proliferation of a plasma cell clone producing monoclonal free light chains that misfold and aggregate into insoluble fibrils in various tissues. Cardiac involvement is a common feature leading to restrictive cardiomyopathy and poor prognosis. Current first-line treatments aim at achieving hematological response by targeting the plasma cell clones, and these have been adapted from multiple myeloma therapy. Patients with AL amyloidosis often exhibit multiorgan involvement, making them susceptible to cancer therapy-related cardiovascular toxicity. Managing AL amyloidosis is a complex issue that requires enhanced knowledge of the cardio-oncological implications of hematological treatments. Future research should focus on implementing and validating primary and secondary prevention strategies and understanding the biochemical basis of oncological therapy-related damage to mitigate cardiovascular toxicity

    Cardiovascular disease and COVID-19 : les liaisons dangereuses

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    Patients with cardiovascular risk factors or established cardiovascular disease have an increased risk of developing coronavirus disease 19 and have a worse outcome when infected, but translating this notion into effective action is challenging. At present it is unclear whether cardiovascular therapies may reduce the likelihood of infection, or improve the survival of infected patients. Given the crucial importance of this issue for clinical cardiologists and all specialists dealing with coronavirus disease 19, we tried to recapitulate the current evidence and provide some practical recommendations
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